Food Supplement Forum

L’appuntamento annuale per l’aggiornamento professionale di chi opera nel settore dei Food Supplements è rappresentato dal Food Supplement Forum in programma per il prossimo mese di ottobre.

La giornata viene organizzata da Pharma Education Center, per l’approfondimento di temi attuali. I partecipanti
avranno la possibilità di confrontarsi, nello spirito del Forum, con un panel di autorevoli esperti relatori, provenienti dal mondo delle Istituzioni, delle Associazioni, dell’Università e delle Aziende del settore.

I temi trattati saranno i seguenti:

Integratori, Prodotti per Gruppi specifici, Novel Food: aggiornamenti normativi con Sessione Q&A alle Istituzioni;

Botanicals: normativa, tradizione d’uso, dossier tecnico – Tavola rotonda con gli esperti;

Ricerca & Sviluppo di un integratore – case study;

Health Claim e comunicazione

Il seminario è rivolto a tutti coloro che sono coinvolti nelle attività di sviluppo, produzione e commercializzazione degli integratori; in particolare, sono coinvolte le figure di Direzione Affari Regolatori, Direzione Medica, Area Sviluppo-Marketing, Quality e Manufacturing.

Per informazioni

Ente Organizzatore PEC – Pharma Education Center

tel +39 055 7224076 – info@pharmaeducationcenter.it – www.foodsupplementsforum.it

Una svolta nel dibattito sull’olio di palma

Ferrero vince la battaglia legale contro Delhaize per Nutella. La Corte d’appello di Bruxelles ha dato ragione al gruppo di Alba, capovolgendo la sentenza di primo grado del 2015, ed ha ordinato al gruppo della grande distribuzione belga di cessare la campagna sulla cioccolata spalmabile certificata “senza olio di palma”, fissando un plafond di penalità di un milione di euro. Ferrero accusava la campagna della società belga di essere “menzognera, ingannevole, e denigratoria” verso Nutella.

Secondo i giudici, Delhaize facendo credere che la propria cioccolata spalmabile fosse migliore per la salute poiché priva di olio di palma, ha alterato il comportamento del consumatore.

In una lettera al quotidiano la Repubblica, Giuseppe Allocca, Presidente Unione Italiana per l’Olio di Palma Sostenibile, dichiara:

…..Ritengo doveroso segnalare che nessun Istituto o Ente o Organizzazione nazionale o internazionale ha mai ritenuto di vietare l’uso dell’olio di palma o raccomandato di eliminare questo ingrediente dalla alimentazione. Lo stesso parere dell’EFSA, che peraltro si riferisce a contaminanti di processo che si formano nella lavorazione di tutti i grassi, e non al solo olio di palma afferma che “Non sono stati identificati dati rilevanti relativi alla tossicità di questo ingrediente” (pag. 92). Inoltre, la stessa EFSA sta rivedendo il suo studio alla luce delle più recenti e più rassicuranti indicazioni fornite in merito da FAO e OMS. Ad oggi la comunità medico-scientifica concorda nell’affermare che l’olio di palma può fare parte a pieno titolo della nostra alimentazione e non presenta rischi per la salute in una dieta bilanciata – come si legge peraltro dal recente parere pubblicato sull’International Journal of Food Sciences and Nutrition sottoscritto da 24 esperti italiani……. La sentenza sul caso Ferrero vs Delhaize, si aggiunge alla decisione dell’AGCM presa pochi mesi fa di dichiarare infondate le accuse contro le comunicazioni e la campagna a favore dell’olio di palma sostenibile promosse dall’Unione da me presieduta. In quella occasione, in particolare, erano stati ritenuti corretti i claim che citavano “la sua coltivazione sostenibile aiuta a rispettare la natura” e “non presenta rischi per la salute in una dieta bilanciata”. I due provvedimenti, qualora ce ne fosse stato ancora bisogno, rappresentano una vera e propria “svolta” nel dibattito in corso sull’olio di palma e, speriamo, che sempre più realtà si attivino per chiarire una volta per tutte che i prodotti con olio di palma sono a norma e, quindi, sicuri”.

Per informazioni  www.ferrero.itwww.oliodipalmasostenibile.it

Biosfered

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D. Come è nata l’idea di questo nuovo spin-off e qual è la mission di Biosfered?

Risposta: da oltre trent’anni mi occupo di estrazione, isolamento e caratterizzazione di molecole bioattive vegetali formando laureati e dottori di ricerca. Nel 2013 abbiamo partecipato e vinto il Made in Research, un’iniziativa promossa dall’Incubatore d’Impresa dell’Università degli Studi di Torino 2i3T. Abbiamo partecipato alla Start Cup del Piemonte e Valle d’Aosta (classificandoci al terzo posto) e poi al Premio Nazionale dell’Innovazione (accedendo alla finale fra le quattro migliori idee innovative in campo Cleantech). Nel 2013 abbiamo fondato Biosfered Srl. La mission è produrre estratti da piante medicinali con un elevato livello qualitativo e di standardizzare i principi bioattivi supportandoli con studi clinici e pilota. La nostra filosofia è espressamente Cleantech (Biosferd è socio del Cluster Tecnologico Nazionale della “Chimica Verde” SPRING http://www.clusterspring.it/).

D. Quali tipi di estratti produce Biosfered?

Risposta: per le proprietà analgesiche estraiamo i furanodieni bioattivi dalle gommoresine di mirra (Commiphora myrrha) (1) e dalle gommoresine di Boswellia serrata e B. sacra (syn B. carteri) estraiamo sia gli acidi boswellici (AKBA) che i cembreni (serratolo e incensolo) (2). Ma il nostro prodotto di punta è un estratto di cramberry (Vaccinium macrocarpon) che vanta il più alto contenuto al mondo di proantocianidine dimere e trimere di tipo A (PAC-A, valutato con DMAC e LC-MS/MS) efficace nel controllo delle infezioni delle vie urinarie (3). Produciamo antiossidanti con una formula brevettata che lega le antocianine di mirtillo alle proteine di Spirulina. Infine, produciamo un estratto di pepe nero con un elevato contenuto standardizzato di β-cariofillene, un endo-cannabinoide agonista del recettore CB2.

D. Quali sono le caratteristiche degli estratti di Biosfered?

Risposta: con tecnologie innovative nel campo dell’estrazione (a temperatura ambiente) e analisi (GC-MS e LC-MS) produciamo estratti vegetali di elevata purezza, caratterizzazione e standardizzazione, indipendentemente dalla normale variabilità della materia prima di origine. Estraiamo le materie prime con etanolo (Direttiva 2009/32/CE).

L’esperienza accademica e la collaborazione costante con l’Università di Torino ci permettono di utilizzare le più avanzate tecniche per il controllo qualità delle materie prime, delle lavorazioni intermedie e dei prodotti finali e di pubblicare i risultati sulle più prestigiose riviste internazionali o di settore.

D. Qual è il mercato di riferimento e l’offerta di Biosfered?

Risposta: il mercato di riferimento è rappresentato da industrie: farmaceutica, degli integratori alimentari, alimentare, cosmetica e pet-care. L’offerta proposta si basa sulla garanzia di qualità del prodotto, con elevati gradi di purezza e un basso impatto ambientale.

D. Ci sono già molte realtà consolidate nel mercato degli estratti vegetali. Quali sono gli obiettivi che Biosfered si propone per differenziarsi e come può emergere nella competizione?

Risposta: Biosfered ha brevettato un sistema innovativo per l’estrazione e la polverizzazione a bassa temperatura che consente di mantenere le caratteristiche tipiche e naturali della materia prima senza alterarne le qualità. La ricerca universitaria, la pubblicazione su riviste scientifiche internazionali, la sperimentazione clinica, l’innovazione tecnologica nelle tecniche estrattive e la produzione di brevetti su processi e prodotti sono i punti di forza di Biosfered.

D. A quasi quattro anni dalla fondazione, quale è la capacità produttiva di Biosfered?

Risposta: oltre al centro all’avanguardia di R&D abbiamo creato una nuova unità di produzione che ci ha consentito di ampliare la nostra capacità a numerose tonnellate di prodotto/anno.

D. Biosfered è conosciuta anche all’estero?

Risposta: oltre al distributore francese Unipex, abbiamo agenti e distributori in Polonia, Sud America, Germania, Malesia, Australia e Nuova Zelanda. Biosfered è accreditata presso la FDA e uno dei nostri prodotti è registrato presso la FDA come New Dietary Ingredient.

D. Anche se si tratta di un’azienda giovane, quali sono le prospettive per il futuro?

Risposta: abbiamo una solida base scientifica e di ricerca e una capacità produttiva che intendiamo impiegare per dare forza ai nostri prodotti e infondere fiducia nei clienti che apprezzano sempre di più la qualità e la standardizzazione. Abbiamo nel “cassetto” nuove versioni migliorate di estratti di piante molto note che stiamo perfezionando e che presto metteremo sul mercato.

Bibliografia

1. Maffei M (2017) Proprietà analgesiche dei furanodieni della mirra, Commiphora myrrha (Nees) Engl. Studio pilota con MyrLiq®, un estratto di mirra ad elevato contenuto di furanodieni. L’Integratore Nutrizionale 20(3) 16-23

2. Maffei M (2017) BosLiq®-AKBA e BosLiq®-BA. Estratti di Boswellia sacra e Boswellia serrata con un alto contenuto di acidi boswellici e diterpeni. L’Integratore Nutrizionale 20(1):87-89

3. Maffei M (2016) Oximacro®, a natural cranberry extract with a very high content of proanthocyanidin A. Prevention of urinary tract infections and antiviral activity. Nutrafoods 15:N1-N4

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α-Galattoligosaccaridi di origine vegetale

Riassunto
Gli α-Galattoligosaccaridi (α-GOS) sono una fibra solubile innovativa ottenuta dai piselli, costituita da unità saccaridiche connesse da legami α e che si differenzia dai GOS tradizionali per l’origine vegetale e per l’assenza di allergeni del latte. Questo ingrediente, il cui processo di produzione è brevettato, è stato valutato in studi pre-clinici e clinici sia per il potenziale bifidogenico, sia per un altro effetto salutistico, ovvero la capacità di indurre sensazione di sazietà attraverso meccanismi diversi da quelli caratteristici delle fibre insolubili. Il quadro emergente è di un prodotto sicuro, dal chiaro carattere prebiotico e con interessanti prospettive nell’ambito del controllo dell’appetito e del weight management.

Introduzione
I galattoligosaccaridi (GOS) sono oligosaccaridi (polisaccaridi a corta catena) costituiti da unità di glucosio e galattosio, solitamente caratteristici del latte e da cui vengono anche usualmente ottenuti per produzione industriale. In ambito nutraceutico appartengono alla categoria delle fibre solubili ovvero fibre che, al contrario delle comuni fibre alimentari, è possibile sciogliere completamente in acqua. I GOS non vengono degradati dagli enzimi digestivi dell’intestino e giungono indigeriti nel colon dove vengono fermentati dal microbiota residente, principalmente dalla popolazione di bifidobatteri, che li utilizza come fonte di carbonio.
Attraverso questa funzione bifidogenica i GOS svolgono un’attività prebiotica e trofica della flora batterica residente, promuovendone uno stato normale, incrementando la massa fecale e stimolando quindi la regolare funzione intestinale (1).
Recentemente è stata sviluppata una versione innovativa di GOS: tale versione consiste nei cosiddetti α-GOS ed è costituita da galattoligosaccaridi a 2, 3 e 4 unità (un glucosio legato a 1, 2 o 3 molecole di galattosio, rispettivamente denominati melibiosio, manninotriosio e verbascotetraosio) in cui le unità costitutive sono connesse tra loro da legami di tipo alfa-glicosidico. Gli α-GOS sono ottenuti mediante un processo brevettato da una fonte interamente vegetale, ovvero i comuni piselli di campo (Pisum sativum L.), dall’azienda francese Olygose, e distribuiti in Italia da C.F.M. Co. Farmaceutica Milanese. Gli α-GOS rappresentano quindi un’alternativa vegetale ai comuni GOS largamente diffusi sul mercato, vantando assenza di allergeni e possibilità di essere consumati anche dalla popolazione vegana. Con i GOS tradizionali, gli α-galattoligosaccaridi condividono invece l’ottima solubilità in acqua, l’indigeribilità da parte dell’intestino umano e quindi la fermentabilità da parte del microbiota intestinale e la funzione bifidogenica; come la versione di origine lattica possono quindi essere utilizzati come fibra solubile in un’ampia gamma di formulazioni prebiotiche e simbiotiche.
Oltre a dette caratteristiche, vi sono evidenze che le fibre solubili, analogamente a quelle insolubili, siano in grado di influire sul senso di sazietà e di conseguenza sull’introito calorico; un tale effetto si configura potenzialmente come un importante contributo nel controllo del peso corporeo in un contesto di penetrazione sempre più diffusa dell’obesità, sia nei paesi sviluppati sia in paesi in via di sviluppo.
Diversamente dalle fibre insolubili, che concorrono ad un aumento della sensazione di sazietà attraverso diversi meccanismi, quali una ridotta densità energetica degli alimenti che le contengono, una maggiore necessità di masticazione e una maggiore distensione gastrica e attraverso un prolungamento del tempo di svuotamento dello stomaco, l’interazione tra fibre solubili e senso dell’appetito non sarebbe spiegabile allo stesso modo, bensì sarebbe mediato dall’azione del microbiota intestinale. Recentemente si sta investigando la relazione tra la flora intestinale e l’obesità; in particolare la produzione di acidi grassi a catena corta (SCFA) sembra poter influenzare la secrezione di ormoni peptidici da parte dell’apparato gastrointestinale (2), responsabili poi della regolazione dell’appetito.
Nella presente pubblicazione vengono quindi valutati il potenziale bifidogenico, l’interazione con il microbiota e i possibili effetti di moderazione dell’appetito degli α-galattoligosaccaridi, sia in esperimenti pre-clinici in vitro e in modelli animali, sia in test nell’uomo per somministrazione di α-GOS* come integratore alimentare a soggetti volontari.

Materiali e metodi
Studi pre-clinici
Gli esperimenti di coincubazione con fibre prebiotiche sono stati effettuati aggiungendo le diverse fibre a microbiota fecale umano (di soggetti adulti, obesi e magri in tre ripetizioni o di neonati, in 6 ripetizioni) ad una concentrazione di 4mg/mL per un tempo di coltura di 24 ore. Il DNA batterico è stato isolato ed estratto attraverso un kit commerciale di purificazione (AGOWA mag Mini DNA Isolation Kit AGOWA, LGC genomics, Germany) e successivamente sottoposto ad amplificazione per qPCR e sequenziamento per quantificare e identificare la popolazione microbica. Il medium di co-incubazione è stato anche sottoposto ad analisi HPLC per l’identificazione e la quantificazione di acidi grassi a corta catena (SCFA, acetato, propionato, butirrato, isobutirrato). I campioni di microbiota infantile sono anche stati sottoposti a spiking con Clostridium difficile per valutare un eventuale effetto inibitorio sul batterio da parte delle fibre prebiotiche: clostridio e fibre/controllo sono stati co-incubati con il microbiota fecale per 24 ore (6 ripetizioni per ciascuna condizione) e al termine dell’incubazione le copie di genoma batterico del clostridio sono state enumerate, sempre mediante tecnica qPCR.
La sicurezza e il potenziale bifidogenico degli α-GOS sono stati confermati in un test in vivo condotto in maialini da latte, un modello animale utilizzato per la valutazione di alimenti nella popolazione neonatale: a 2 gruppi da 12 animali pre-svezzamento è stata somministrata quotidianamente una formula contenente 8 g/L di α-GOS o un controllo. Il trattamento, condotto in condizioni di stabulazione controllate, ha avuto una durata di 3 settimane a partire dal momento in cui gli animali hanno raggiunto 1,5 kg di peso. Durante il periodo di trattamento gli animali sono stati monitorati per crescita, consumo di cibo, mortalità e segnali clinici anormali. Alla fine del trattamento è stata valutata la popolazione microbica fecale, misurando attraverso qPCR il contenuto di bifidobatteri e lattobacilli in campioni di feci e le eventuali differenze tra popolazione trattata e di controllo. Gli animali sono stati infine sacrificati e il sangue e i tessuti raccolti e valutati per eventuali anomalie cliniche.

Studi clinici
La caratterizzazione della popolazione di bifidobatteri fecali nello studio nell’uomo è stata effettuata come descritto altrove (3). In breve è stato prima estratto il DNA batterico attraverso kit commerciale (Stool Mini Kit, Qiagen) a seguito di preparazione chimica e meccanica dei campioni; la quantificazione è stata effettuata mediante PCR real-time quantitativa, attraverso l’uso di primer specifici per il genus dei Bifidi.
Per lo studio sulla relazione tra assunzione di α-GOS e appetito, 88 volontari in lieve sovrappeso sono stati divisi in 4 gruppi. Ciascun gruppo ha ricevuto due volte al giorno per due settimane una bevanda non zuccherata contenente un placebo o 3, 6 o 9 g di α-GOS disciolti, per un totale di 6, 12 o 18 g/die.
L’endpoint primario dello studio è stata la valutazione dell’appetito sulla base di 5 parametri: fame, sensazione di pienezza, sazietà, consumo potenziale e desiderio di mangiare. Le sensazioni sono state valutate e confrontate tra loro attraverso scale VAS (Visual Analog Scales) nel contesto di due momenti di test distinti, al giorno 0 e alla fine del periodo di somministrazione al giorno 15. Ciascun test della durata complessiva di 480 minuti ha previsto la valutazione di ciascuna sensazione ogni 60 minuti; al t0 e al t=240 minuti sono stati consumati rispettivamente una colazione e un pasto standard. La curva di percezione nel tempo di ciascuna sensazione è stata quantificata calcolandone l’Area sotto la Curva (AUC); l’area della curva al giorno 0 è stata poi confrontata con quella al giorno 15 per valutare l’impatto sull’appetito del trattamento di 15 giorni con α-GOS. L’introito di cibo e calorie è stato calcolato conteggiando con precisione il cibo effettivamente assunto nel pasto standard di ciascuno dei due giorni di test.
Per la valutazione dei livelli di lipopolisaccaride (LPS) plasmatico, è stato condotto un prelievo sanguigno a digiuno al giorno 0 e 15 in provette apirogene con EDTA; dopo la conservazione a -70°C la misura è stata effettuata con kit cromogenico Limulus Amebocyte Lysate HIT302 (Hycult).

Risultati
Studi pre-clinici
La quantificazione (espressa in copie di DNA/g misurate attraverso PCR quantitativa) dei bifidobatteri nel microbiota di neonati (ottenuto da campioni fecali) incubato con α-GOS, beta-GOS, 2-fucosil-lattosio, inulina e con un controllo negativo (Fig.1), ha evidenziato per incubazione con α-GOS un incremento rispetto al trattamento con il controllo e livelli paragonabili con quelli ottenuti con beta-GOS, fibra prebiotica comunemente utilizzata. È anche interessante osservare che il potenziale bifidogenico e l’incremento dell’abbondanza relativa dei bifidi, ascrivibile al trattamento con α-GOS e altri prebiotici, ha anche provocato un’inibizione della crescita di C. difficile (noto agente causativo di fenomeni diarroici soprattutto nei neonati) quando co-incubato nelle stesse colture in vitro. Simili esperimenti sono stati condotti co-incubando microbiota ottenuto da campioni fecali di soggetti adulti, sia magri che obesi (dati non mostrati); in questo esperimento si è osservato un comparabile incremento di circa due logaritmi della conta di bifidi ad opera di α-GOS e beta-GOS (circa 106 copie DNA/mL) rispetto al controllo (circa 104 copie DNA/mL). Inoltre la misurazione cromatografica dei livelli di acidi grassi a catena corta negli stessi campioni di feci precedentemente co-incubate con diversi tipi di fibre alimentari ha mostrato che acetato e butirrato erano quelli alle concentrazioni mediamente più elevate. Sia in soggetti magri che in soggetti obesi l’incubazione con α-GOS ha sempre determinato un incremento significativo di acetato e butirrato rispetto al controllo non incubato, evidenziando effetti paragonabili a quelli ottenuti con un oligosaccaride di riferimento come beta-GOS.

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Gli α-GOS sono stati anche valutati in un test in vivo in maialini da latte pre-svezzamento. Gli endpoint principali dello studio sono stati l’esame della sicurezza del trattamento per gli animali, ovvero eventuali differenze in termini di crescita e di incidenza di fenomeni clinici anomali tra animali trattati e non, e la valutazione del potenziale bifidogenico e l’effetto sull’apparato gastrointestinale. Il consumo di α-GOS con formula non ha provocato differenze significative nel peso corporeo e nel tasso di aumento dello stesso e nell’assunzione di cibo rispetto al controllo; anche la feed efficiency, ovvero la misura dell’efficienza in accrescimento dell’animale in base alla quantità di cibo consumato, è risultata paragonabile (16% per α-GOS contro 15,1% controllo, differenza non significativa). È stato riportato un numero superiore di casi di diarrea in animali alimentati con formula addizionata (11 contro 3, nelle tre settimane), ma la maggior parte dei casi si è verificata nella prima settimana. In Figura 2 si può osservare come il trattamento con α-GOS abbia incrementato significativamente la popolazione di bifidi rispetto al controllo, a fronte di un sostanziale bilanciamento dei gruppi al t0, mentre non vi è stato effetto sulla frazione di lattobacilli. Si è anche osservato un incremento significativo del microbiota totale nei trattati rispetto al controllo, oltre ad un pH inferiore, un peso superiore del cieco-colon e un livello più elevato di acetato e propionato nel colon (dati non mostrati).

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Studi clinici
L’effetto bifidogenico degli α-GOS è stato anche valutato nell’uomo: un primo test è stato condotto su un totale di 88 soggetti, volto a rilevare eventuali differenze tra oligosaccaridi a crescente grado di polimerizzazione (2, 3 o 4 unità saccaridiche) in relazione all’effetto sull’organismo. Dopo due settimane di somministrazione quotidiana di 12 g di ciascun tipo di fibra, tutte e tre le formulazioni hanno provocato nei soggetti un incremento significativo della conta di bifidobatteri fecali rispetto al t0 (circa +8,5%), al contrario del ramo del placebo che è risultato indistinguibile (differenza significativa tra ramo placebo e ciascuno dei tre trattamenti a t=15d, p<0,05). Le tre formulazioni non hanno invece evidenziato differenze significative tra loro; le quattro coorti dello studio non erano distinguibili al t0. Al contrario di quanto osservato nella popolazione di bifidobatteri, la conta complessiva batterica fecale non ha mostrato differenze al termine dello studio. Si segnala che anche al termine di un altro studio interventistico nell’uomo, condotto per somministrazione di α-GOS (12 g/die) o di un placebo ad un totale di 98 persone per 4 settimane, si è osservato un arricchimento significativo della popolazione di bifidi del microbiota.

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In una diversa valutazione clinica, anch’essa condotta su 88 soggetti divisi in quattro rami, un placebo e tre dosi crescenti di α-GOS (dose giornaliera di 6, 12 o 18 g disciolti in una bevanda non zuccherata in due somministrazioni) sono state somministrate a volontari sani, questa volta con lo scopo di valutare l’impatto di questa fibra prebiotica solubile sull’appetito. La misura è stata fatta confrontando i dati al t0 e al t=15d dopo due settimane di somministrazione, come valutazione di 5 differenti sensazioni secondo una scala VAS (Visual Analogue Scale). La Figura 3 mostra la differenza tra t0 e t= 15d della misura delle 5 sensazioni in un arco temporale di 480 minuti (area sotto la curva); è possibile osservare come il placebo non abbia mai prodotto differenze mentre, al contrario, per i soggetti che sono strati integrati con α-GOS si sono rilevati aumenti significativi delle sensazioni di sazietà e pienezza e delle riduzioni significative delle sensazioni di fame, consumo potenziale e desiderio di mangiare; per le variazioni rilevate si è anche osservato un interessante trend dose/risposta, ove il dosaggio ottimale appare essere rappresentato da 12 g/die.

In Figura 4 è illustrato come l’assunzione per due settimane di α-GOS possa anche essere correlata con una riduzione della quantità di cibo e di calorie assunti durante un pasto test. La figura mostra il delta di introito di diversi alimenti e calorie tra due pasti standard consumati a t0 e t=15d; ancora una volta il controllo con placebo non risulta influenzato positivamente, mentre il trattamento con prebiotico mostra una riduzione significativa di assunzione di alcuni nutrienti e calorie, con un interessante trend dose/risposta.
Nello stesso studio è stato misurato anche il lipopolisaccaride (LPS) plasmatico, un’endotossina indicatrice di uno stato infiammatorio sistemico. In accordo con altri studi in merito al ruolo modulatorio dell’infiammazione da parte dei prebiotici (4,5), il trattamento per due settimane con α-GOS ha comportato una riduzione significativa dei livelli di LPS plasmatico, con un effetto più marcato alle dosi più elevate (approssimativamente -50% tra controllo e trattamento con 12 g/die, dati non mostrati) mentre i gruppi non differivano significativamente alla baseline.

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Discussione e Conclusioni

Le fibre sono un alimento importante nel contesto di una corretta alimentazione per l’uomo; le fibre insolubili contribuiscono a incrementare la massa fecale e a regolarizzare l’alvo, ma un ruolo importante è riconosciuto anche alle fibre solubili, che si distinguono per la loro attività prebiotica, ovvero di sostegno della crescita del microbiota residente nell’intestino. Un corretto apporto di prebiotici è necessario e benefico negli adulti ed è anche pratica comune nei neonati, in particolare come complemento in caso di alimentazione con formule artificiali, per simulare gli oligosaccaridi naturalmente presenti nel latte materno. Gli α-GOS sono una fibra alimentare innovativa, recentemente ottenuta attraverso un procedimento produttivo brevettato; rappresentano un’alternativa ai comuni GOS (beta-GOS) ottenuti a partire dal latte e offrono il vantaggio di avere origine vegetale poiché ottenuti dai piselli per separazione dal cosiddetto pea-whey, la componente da cui è anche estratta la frazione proteica per altre applicazioni nutraceutiche.
Diversi esperimenti in vitro sono stati dedicati alla valutazione del potenziale di stimolazione della flora microbica, in particolare del genere Bifidobacterium, da parte degli α-GOS; i test sono stati condotti su microbiota ottenuto da campioni fecali sia di adulti che di neonati, co-incubando la flora batterica con diverse fibre prebiotiche ed in entrambi i casi si è osservata una stimolazione significativa del pool di bifidi, in termini paragonabili o superiori all’effetto ottenuto con altre fibre solubili, in particolare con beta-GOS tradizionali. Si riscontra quindi che i bifidobatteri sono in grado di fermentare gli α-GOS e questo è stato anche confermato nello studio con microbiota di adulti, monitorando i livelli di produzione degli acidi grassi a corta catena (SCFA), principali by-products degli eventi fermentativi e considerati molecole importanti anche per il benessere dell’apparato gastrointestinale, del sistema immunitario e dell’organismo nel suo complesso (6,7). Nello studio in vitro condotto su microbiota di neonati si è anche riscontrato un interessante effetto di inibizione della crescita del clostridio dopo spiking dello stesso nella co-coltura, probabilmente per competizione con le specie microbiche benefiche.
Lo studio in maialini da latte pre-svezzamento, volto a confermare la sicurezza degli α-GOS anche in un modello animale che simula l’utilizzo dei nutrienti nella sotto-popolazione umana dei neonati, ha offerto un quadro di sostanziale efficacia e sicurezza in tre contesti importanti: gli animali sono andati incontro ad uno sviluppo del tutto paragonabile a quello degli animali di controllo, alimentandosi adeguatamente; non si sono osservati eventi clinici di rilievo, né una maggiore incidenza di eventi avversi che destassero preoccupazione; è stato confermato il ruolo di stimolazione della sotto-popolazione di bifidi dell’intestino, per analisi del microbiota fecale. I dati preclinici evidenziano quindi per gli α-GOS un potenziale benefico, che posiziona questa fibra solubile prebiotica innovativa ad un livello comparabile con la controparte tradizionale di origine lattica, aprendo le porte per un utilizzo come agente prebiotico, sia in integrazione per adulti, sia come complemento in formule infant. Anche lo studio condotto nell’uomo ha permesso di riscontrare un significativo effetto bifidogenico come conseguenza della somministrazione di α-GOS come integrazione della dieta quotidiana. L’endpoint principale dello studio era tuttavia l’investigazione di un altro possibile effetto, ovvero la regolazione dell’appetito, coerentemente con simili evidenze disponibili in letteratura (8): la somministrazione per due settimane di fibre solubili α-GOS ha permesso di osservare una riduzione dell’appetito secondo una relazione dose risposta, oltre ad una diminuzione dell’introito calorico e di alimenti in corrispondenza di un pasto standard. La regolazione dell’appetito da parte di alimenti specifici, qui misurata valutando 5 distinte sensazioni secondo una metodologia largamente utilizzata, potrebbe rappresentare un interessante approccio anche per aumentare la probabilità di ottenere risultati positivi nel contesto di programmi di riduzione controllata del peso. Il meccanismo proposto per questo effetto è che sia l’interazione tra flora intestinale e tessuti, mediata in particolare dai metaboliti fermentativi batterici quali gli acidi grassi a corta catena (SCFA), a influire sull’appetito, modulando la secrezione di peptidi ormonali come grelina (oressigenico) e GLP-1/PYY (anoressizzanti) da parte dell’apparato gastrointestinale (9). Inoltre la riduzione dell’infiammazione sistemica rappresenta un potenziale beneficio rilevante per l’organismo, anche in relazione alla nutrizione e alle problematiche correlate (es. sindrome metabolica); quanto osservato nello studio, ovvero una diminuzione significativa dell’endotossina sistemica plasmatica LPS, può essere un ulteriore risultato indirettamente riconducibile al ruolo del microbiota attraverso la normalizzazione dell’effetto barriera promosso e supportato da un migliore stato di salute della flora microbica intestinale.
Sempre in relazione al potenziale salutistico degli α-GOS, l’Autorità Europea per la sicurezza alimentare EFSA ha approvato due rivendicazioni che riguardano i GOS: (i) contribuiscono alla corretta mineralizzazione dei denti e (ii) utilizzati in alimenti in sostituzione di carboidrati digeribili, contribuiscono ad una riduzione della glicemia post-prandiale, rispetto al consumo di alimenti contenenti zucchero. Gli α-GOS, in quanto galactoligosaccaridi non digeribili, possono vantare le stesse rivendicazioni, come concluso da specifiche opinoni di EFSA dedicate all’argomento (10,11). In conclusione, grazie al potere bifidogenico e al potenziale di regolazione dell’appetito, entrambi effetti documentati dai dati scientifici presentati, gli α-galattoligosaccaridi rappresentano un’interessante nuova frontiera nel campo dell’integrazione con fibre prebiotiche solubili.

Bibliografia
1. Niittynen L, Kajander K, Korpela R (2007) Galacto-oligosaccharides and bowel function. Scand J Food Nutr 51:62–66
2. Tolhurst G, Heffron H, Lam YS et al (2012) Short-chain fatty acids stimulate glucagon-like peptide-1 secretion via the G-protein-coupled receptor FFAR2. Diabetes 61:364-371
3. Fança-Berthon P, Hoebler C, Mouzet E, David A, Michel C (2010) Intrauterine growth restriction not only modifies the cecocolonic microbiota in neonatal rats but also affects its activity in young adult rats. J Pediatr Gastroenterol Nutr 51:402-413
4. Pourghassem Gargari B, Dehghan P, Aliasgharzadeh A, Asghari Jafar-Abadi M (2013) Effects of high performance inulin supplementation on glycemic control and antioxidant status in women with type 2 diabetes. Diabetes Metab J 37:140-148
5. Vulevic J, Juric A, Tzortzis G, Gibson GR (2013) A mixture of trans-galactooligosaccharides reduces markers of metabolic syndrome and modulates the fecal microbiota and immune function of overweight adults. J Nutr 143:324-331
6. Baothman OA, Zamzami MA1, Taher I et al (2016) The role of Gut Microbiota in the development of obesity and Diabetes. Lipids Health Dis 15:108
7. Boulangé CL, Neves AL, Chilloux J et al (2016) Impact of the gut microbiota on inflammation, obesity, and metabolic disease. Genome Med 8:42
8. Cani PD, Lecourt E, Dewulf EM et al (2009) Gut microbiota fermentation of prebiotics increases satietogenic and incretin gut peptide production with consequences for appetite sensation and glucose response after a meal. Am J Clin Nutr 90:1236-1243
9. Clarke G, Stilling RM, Kennedy PJ et al (2014) Minireview: Gut microbiota: the neglected endocrine organ. Mol Endocrinol 28:1221-1238
10. EFSA Panel on Dietetic Products, Nutrition and Allergies (2014) Scientific Opinion on the substantiation of a health claim related to AlphaGOS® and a reduction of post-prandial glycaemic responses pursuant to Article 13(5) of Regulation (EC) No 1924/2006. EFSA J 12(10):3838, 10 pp
11. EFSA Panel on Dietetic Products, Nutrition and Allergies (2013) Scientific Opinion on the substantiation of a health claim related to “non-fermentable”carbohydrates and maintenance of tooth mineralisation by decreasing tooth demineralisation pursuant to Article 13(5) of Regulation (EC) No 1924/2006. EFSA J 11(7):3329, 13 pp


*AlphaGOS®, prodotto da Olygose e distribuito in Italia da C.F.M. Co.Farmaceutica Milanese • francesco.zerilli@cofamispa.it

Farmasinara, l’immaginazione applicata

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Farmasinara2

Lavorare senza fretta, seguendo i bioritmi della natura, padrona di un territorio immenso e selvaggio. Farmasinara nasce così da un’idea di Giorgio Pintore, docente universitario di Farmacognosia nell’Ateneo di Sassari, con una grande passione: lo studio delle piante medicinali e delle sostanze naturali.
Piccoli passi, lo sguardo sempre rivolto a materie prime delicate, naturali e attive, e una costante voglia di crescere e migliorare, senza pericolosi voli pindarici.
Farmasinara, lo dice il nome, intreccia le sue origini e gran parte della sua storia all’isola dell’Asinara e al Parco nazionale che ha sposato in pieno la causa. E forte è anche il legame con l’Università di Sassari di cui la piccola azienda è una start up innovativa.

Un laboratorio aperto
Tra gli aromi di elicriso e quello tipico delle piante officinali endemiche ha origine l’ispirazione per un’avventura imprenditoriale unica nel suo genere, almeno in Sardegna, dove, negli ultimi anni, hanno visto la luce diverse realtà nel campo della cosmesi.
Sull’isola le porte del laboratorio cosmetico sono aperte ai visitatori occasionali e programmati.Perché la produzione di Farmasinara può essere seguita in diretta, passo dopo passo, accanto agli studenti dell’Università di Farmacia di Sassari o a quelli del master di Scienze cosmetologiche di Pavia che in Sardegna praticano lo stage obbligatorio.

Tra artigianato e ricerca innovativaFarmasinara4
Le formulazioni di Farmasinara, il loro studio e l’applicazione sul campo sono segnati da passaggi precisi, condotti in collaborazione con le principali scuole cosmetiche d’Italia. A volte le idee per un prodotto nascono proprio dalle tesi di laurea di futuri farmacisti, desiderosi di approfondire lo studio delle materie prime e della loro funzione. «E quelle che si trovano in natura qui in Sardegna – precisa Pintore – hanno potenzialità sbalorditive!”.
Si resta incantanti dalle saponette che prendono forma negli stampi, tagliati uno a uno e “timbrati” con lo stemma identificativo di Farmasinara. Segno di un processo di lavorazione paziente a fortissima vocazione artigianale. Stessa filosofia per tutte le altre preparazioni più complesse che compongono l’intera linea. La crema viso idratante ad esempio, ricavata dall’emulsione delle fasi oleosa e acquosa. Così per l’olio corpo, dalla profumazione intensa e ben riconoscibile, dove l’essenza di Sardegna non può che essere il tratto distintivo.
Interessante il richiamo del sapone da barba, Barberia, che riprende una vecchia e rudimentale insegna del patio all’interno della Diramazione centrale, il carcFarmasinara3ere che si trova nella collinetta, a due passi da Cala d’Oliva.

La natura in un simbolo
L’Asinara è un piccolo continente, un mondo a sé, per anni inaccessibile per l’attività delle carceri di massima sicurezza. Oggi quel mondo incantato è visibile a tutti e conserva nelle sue strade, nei suoi saliscendi tra costa e collina, un fascino travolgente. E se non esiste una stagione speciale da preferire ad altre, è altrettanto vero che la primavera ha quel qualcosa in più, in grado di investire ogni angolo di colori e profumi avvolgenti. Racchiudere queste emozioni cromatiche e sensoriali non è impresa da poco per restituire una carezza per l’anima, attraverso un cosmetico.
Sugli scaffali dei punti vendita il consumatore è attratto da un packaging pulito e chiaro, dallo stile moderno ed elegante, frutto di un complesso studio grafico. Il simbolo di Farmasinara, la stilizzazione del fiore dell’elicriso richiama l’idea del sole, il movimento degli elettroni. Il tutto raccordato in basso dalla sagoma dell’Asinara, il luogo magico da cui tutto ha avuto inizio.

Per informazioni: www.farmasinara.it

 

 

Schede Colturali

DragoncelloEstragone (o Dragoncello)

di Sauro Biffi

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Calendula

di Sauro Biffi

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Timo

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Echinacea

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Angelica

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Lavanda

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Ortica

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Tiglio

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Le due Santoregge,
annuale e montana

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Il tocco lieve della Piantaggine

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1990. La nave americana si dirige verso il porto di Genova (o forse è successo prima a Trieste?) con un carico di copertoni usati. I marinai attraccano; i copertoni vengono portati a terra e cominciano il loro viaggio per le strade d’Italia. Ma recano con sé dei clandestini. Migliaia di clandestini. Minuscoli, nascosti in quelle piccole pozze d’acqua piovana raccoltasi all’interno degli pneumatici. Sono larve acquatiche che si nutrono di batteri e respirano aria atmosferica grazie a lunghi sifoni respiratori. Attendono, nascoste nei copertoni. E presto si trasformeranno. Acquisite le ali, l’invasione può avere inizio. Una dopo l’altra cadono le principali città padane: Padova, Rovigo, Brescia, Torino, Bologna. Ed è solo il principio, la prima campagna d’Italia di Aedes albopictus. Ben presto, pochi sono i luoghi che possono dirsi al sicuro: solo la montagna, con i suoi inverni troppo freddi, o l’arido meridione. Vola poco la zanzara tigre, ma l’uomo ne trasporta inconsapevolmente le uova e le larve nascoste nei camion e nelle navi. È stato così fin dall’inizio, quando ha disboscato le sue sedi remote nel fitto delle foreste dell’Asia meridionale. Da lì è partita l’invasione. Ha conquistato dapprima l’Asia, crogiolo di vie commerciali, poi si è volta verso Occidente: le Americhe, e infine l’Europa. Non c’è scampo. Aedes albopictus attacca anche di giorno. E il nostro corpo non è ancora preparato a sopportare l’iniezione anticoagulante dell’insetto. Le punture gonfiano e prudono. Parecchio (1).

Non c’è scampo. Ma c’è una pianta che può aiutare a neutralizzare il fastidio. Basta sfregarne le foglie sulla puntura e, in breve, il prurito scompare. Ed è una pianta che, per certi versi, ha una storia simile e contraria a quella della zanzara: la Piantaggine.

Mucillagine, per aderire all’ambiente

Il genere Plantago (famiglia Plantaginaceae) comprende circa 275 specie annuali e perenni distribuite in tutto il mondo. Tre le specie più utilizzate: Plantago major L., Plantago lanceolata L. e Plantago asiatica L. Sono piante erbacee con foglie ellittiche che formano una rosetta basale dal cui centro si diparte l’infiorescenza, cilindrica, a spiga, con numerosi semi ermafroditi le cui grosse antere sporgono dalla corolla (2,3). La fioritura inizia in primavera e si protrae fino a settembre, e il polline dei suoi fiori può essere causa di allergie, spesso correlate a quelle delle Graminacee. Riniti, asma, congiuntiviti: un piccolo scotto che ad alcuni tocca pagare per una pianta altrimenti utilissima (4). Il frutto è una capsula ovale che contiene piccoli semi (ce ne sono quasi 20000 per scapo fiorale). E sono proprio questi semi la chiave del suo successo, ciò che le ha permesso di espandersi in ogni dove. Il rivestimento del seme presenta delle cellule particolari in grado di produrre mucillagini. La loro parete cellulare è ricca di pectine, che rigonfiano quando piove portando il seme ad aumentare di dimensione fino a 4 volte. Le mucillagini hanno una triplice funzione: forniscono una riserva d’acqua per l’embrione; proteggono il seme quando viene ingerito dagli uccelli e ne favoriscono l’espulsione; conferiscono al seme proprietà adesive, che gli permettono di attaccarsi alle zampe degli animali di passaggio. Gli uccelli sono ghiotti dei suoi semi, e la pianta ha sviluppato con essi un rapporto simbiotico: cibo in cambio di un aiuto nella germinazione. Se la germinabilità dei semi è normalmente del 56%, quando questi passano attraverso l’apparato digerente degli uccelli, diventa del 100%. Si parla, in questo caso, di diffusione endozoocora (5). Ma è l’altra diffusione, quella epizoocora, che si è resa protagonista di una grande invasione. E, come per la zanzara tigre, il vettore è Homo sapiens.

Schermata 2017-07-25 alle 11.29.28Una storia accanto agli uomini

Di nuovo una nave. Non più dall’America, ma per l’America. Da un qualche porto europeo un gruppo di coloni parte a cercare fortuna nel Nuovo Mondo. Non è passato molto dai viaggi di Colombo; l’America è un continente vergine, da conquistare, agli occhi degli Europei. Ma un’altra conquista ha luogo. Silenziosa. Eppure fulminea come quella dei Visi pallidi, che segue, è il caso di dirlo, a ruota. I coloni portano con sé dei semi di Piantaggine; la coltivano nei loro orti sulla costa americana, ma, ben presto, la pianta evade. I suoi semi si attaccano alle scarpe e ai pantaloni degli Europei, e alle ruote dei loro carri. E verdi macchie di Piantaggine spuntano ovunque essi vadano. L’impronta dell’uomo bianco: così la chiamano gli Indiani, che la vedono comparire dappertutto assieme agli invasori (6). Ma la conquista dell’America di questa specie di origine eurasiatica è solo uno dei tanti capitoli che essa occupa nella storia. I Greci e i Romani la conoscevano e ne apprezzavano le proprietà al punto che Temisone di Laodicea, fondatore della scuola metodica di medicina nel I secolo a.C., le dedicò un trattato apposito: De plantagine, che purtroppo non ci è pervenuto (7). Pochi secoli dopo (siamo tra il terzo e il quinto d.C.), i semi di Piantaggine compaiono negli stomaci delle cosiddette mummie di palude, antichi uomini dell’Europa del nord i cui corpi si sono conservati fino ad oggi, mummificati naturalmente grazie all’ambiente asfittico delle torbiere (8). In tempi più recenti veniva coltivata nei giardini dei monasteri e fa la sua comparsa, nonostante il suo aspetto umile e dimesso, anche nell’arte e nella letteratura. All’inizio del XVI secolo compare negli acquarelli Albrecht Dürer, dove, semplice erbaccia assieme ad altre erbacce, conquista la sublimità di ciò che è naturale e selvatico, espressa con vivido realismo dal pittore tedesco (9). Alla fine del secolo, invece, entra nei teatri grazie al genio di Shakespeare, che le dedica qualche verso in Romeo e Giulietta (10).

Schermata 2017-07-25 alle 11.30.01Un rimedio polivalente

Ma perché la Piantaggine è stata, da sempre, così apprezzata? Pare che abbia numerose proprietà benefiche, tanto da poter essere considerata una sorta di pronto soccorso da campo. Il medico greco Dioscoride (I sec. d.C.) la dice utile per una lunga serie di disturbi (11). Sarebbe ottima per asciugare le ferite e aiutarle a rimarginare, contro le ulcere, per stagnare il sangue e cicatrizzare i tagli, contro i morsi dei cani, le infiammazioni e la dissenteria. Ma anche per gli epilettici, gli asmatici e coloro che soffrono di piaghe in bocca. Il succo delle foglie aiuterebbe a eliminare il mal d’orecchie e darebbe sollievo agli occhi. A tal proposito, aggiunge il suo contemporaneo Columella, che si occupava di agricoltura, sarebbe utile creare un collirio mischiando il succo della Piantaggine con del miele estratto dai favi senza l’uso del fumo o, in mancanza di questo, con del miele di timo (12). Ma l’elenco di Dioscoride prosegue: la Piantaggine è utile per il sanguinamento delle gengive e per la dissenteria (somministrata per clistere). Bevuta assieme al vino è indicata per chi ha problemi intestinali e per chi sputa sangue. La radice, inoltre, allevierebbe il mal di denti. Anche Plinio il Vecchio ricorda le sue proprietà cicatrizzanti, e la dice utile contro il catarro (13). Dall’antichità al medioevo: tra gli altri impieghi, fa la sua comparsa nella letteratura medica la curiosa applicazione topica delle foglie di Piantaggine per ridare tono alla vagina ut etiam corrupta appareat virgo (14). E dal medioevo ai giorni nostri. Tralasciando il consumo delle foglie in insalata, gli impieghi che la medicina popolare ha per la Piantaggine sono numerosissimi. In Inghilterra viene usata per le sue proprietà emostatiche e antisettiche, per le vene varicose, per eliminare il pus, come sollievo contro le punture (tutti i tipi di punture, non solo quelle delle zanzare, di cui dicevamo prima), come tonico, per la tosse e per lenire le scottature. In Irlanda, invece, si ha la credenza che una pagina della foglia sia in grado di espellere il pus, mentre all’altra pagina sono attribuite le facoltà curative. È usata per gonfiori, screpolature, calli, verruche, mal di testa, gotta, problemi al fegato e, mischiata al latte, come ricostituente per i bambini deboli (15). E ancora. Le foglie di Plantago major sono usate in molti Paesi per la guarigione delle ferite, per le infezioni (della pelle e non solo), per i disordini digestivi e respiratori, per migliorare la circolazione e la riproduzione, come antidolorifico e per prevenire l’insorgenza del cancro. Plantago lanceolata è considerata anch’essa nel trattamento delle ferite e delle infiammazioni; inoltre è ritenuta antibatterica, diuretica, antiasmatica, in grado di contrastare artrite, gotta, problemi della bocca e della pelle. Plantago asiatica è usata nella medicina popolare come antipiretico, antitussivo, diuretico, cicatrizzante. Le fibre dei semi di numerose specie (Plantago afra L., Plantago ovata Forssk., Plantago indica L., Plantago major L.), inoltre, sono impiegate per promuovere la motilità intestinale. Alcune tribù messicane, poi, mischiano i semi di Piantaggine con acqua per formare un ammasso gelatinoso in grado di alleviare il mal di stomaco (16).

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Nuove prospettive dalle evidenze scientifiche

Una tradizione d’uso millenaria e variegata, dunque, quella della Piantaggine che, negli ultimi anni, si è confrontata con l’indagine scientifica. Le analisi hanno rivelato la presenza, nelle foglie, di un complesso cocktail di sostanze attive che la pianta ha sviluppato per proteggersi dai patogeni, dagli erbivori e con funzione allelopatica, regolando le interazioni tra piante diverse. Glicosidi fenilpropanoidi, iridoidi (come l’aucubina), triterpeni, flavonoidi, acidi fenolici: tutte sostanze che contribuiscono anche ai numerosi effetti che la Piantaggine sembra avere sul nostro organismo (17). Effetti che, a fronte della mole di dati etnobotanici, sono stati studiati con metodo scientifico, cercando di dare una spiegazione all’immensa fortuna di cui la Piantaggine gode a livello popolare. Numerose le proprietà della pianta che hanno trovato un riscontro scientifico. Innanzitutto la sua attività antiossidante (18). È in grado infatti, di stimolare il corpo a produrre quantità più elevate del normale di antiossidanti quali superossido dismutasi e glutatione (19). Connesse, l’attività antinfiammatoria che, grazie a composti come l’aucubigenina e gli acidi ursolico e oleanolico, riesce a inibire i mediatori dell’infiammazione, e quella cicatrizzante (20). Quest’ultima si esplica con un’accelerazione del tasso di contrazione e di epitelizzazione delle ferite. Ma non solo. È anche in grado di modulare l’immunità cellulo-mediata, di agire contro alcuni virus e cellule tumorali; ha effetti ematopoietici e, grazie alla stimolazione del sistema immunitario, antimicrobici. A questi si sommino moderati effetti antiparassitari nei confronti del protozoo responsabile della giardiasi, che dà sintomi di tipo gastrointestinale. È diuretica. E, per finire, nonostante il suo polline possa provocare allergie, gli estratti etanolici delle foglie si sono dimostrati in grado di inibire il rilascio di istamina IgE dipendente: effetti antiallergici, dunque (21). Un discorso a sé stante meritano i semi della Piantaggine. Come dicevamo sopra, sono ricchi di mucillagine, che ne rappresenta il principio attivo. Costituita di una porzione polisaccaridica solubile formata perlopiù (85%) da arabinoxilani, questa mucillagine non è utile soltanto per la dispersione dei semi: anche l’uomo ha saputo trarne vantaggio, impiegandola per regolarizzare le funzioni intestinali. In quanto lassativi formanti massa, i semi di Piantaggine sono in grado di richiamare acqua, una volta nell’intestino, e di rigonfiare grazie alla mucillagine in essi contenuta. L’aumento di volume stimola la peristalsi e favorisce l’espulsione delle feci nei soggetti affetti da costipazione. Le feci, inoltre, diventano più soffici, provocando meno dolore a chi è soggetto a emorroidi o ha subito un intervento chirurgico in loco. E tuttavia non servono solo per la costipazione, ma anche per il suo contrario: diarrea, sia cronica sia acuta. Gli effetti antidiarroici sono anch’essi dovuti all’azione delle mucillagini, che assorbono i liquidi in eccesso nell’intestino, aumentano la viscosità delle feci e, di conseguenza, il tempo di transito intestinale, regolarizzando la defecazione (22).

La Piantaggine e l’ambiente

Le virtù della Piantaggine non si limitano alla cura dell’uomo. È una pianta resistente e caparbia, che tollera bene il calpestio, così come i terreni inquinati, e prospera anche lungo le strade cittadine. E questa sua tolleranza fa sì che possa essere impiegata anche per risanare l’ambiente. Non solo tollera gli inquinanti, ma è anche in grado di accumularne alcuni, come i metalli pesanti, eliminandoli dal suolo. Il piombo prima di tutto, prevalentemente ad opera di Plantago major, ma anche rame e zinco (Plantago lanceolata) (23). Sembra quasi che sia la natura stessa a farla crescere in luoghi che necessitano di un risanamento. E se la sua capacità di ripulire il suolo non bastasse, di recente si sono studiate le sue applicazioni per eliminare i coloranti dalle acque di scarico. Le industrie tessili, della gomma, del cuoio, della carta, della plastica, dei cosmetici (ecc.) ogni anno rilasciano nella biosfera 1-2 milioni di kilogrammi di coloranti. Sono, questi, molecole sintetiche dalla complessa struttura aromatica resistenti alla degradazione biologica, stabili alla luce, al calore e all’ossidazione. Come eliminarli dalle acque in cui sono confluiti? Il metodo più utilizzato è quello della coagulazione-flocculazione. Ed è qui che entrano in gioco le mucillagini della Piantaggine, che fungono da agente coagulante in grado di riunire le molecole di colorante disperse in acqua perché possano poi essere rimosse con mezzi fisici (24). Un regalo in più che questa piccola pianta dall’aspetto così umile e trasandato è in grado di offrire all’uomo e al mondo intero. 

Bibliografia

1. Di Domenico M (2008) Clandestini. Animali e piante senza permesso di soggiorno. Bollati Boringhieri, Torino: 178-181
2. Gonçalves S, Romano A (2016) The medicinal potential of plants from the genus Plantago (Plantaginaceae). Industrial Crops and Products 83:213-226, pp. 213, 223
3. Appendino G, Luciano R, Salvo R (2012) Flora urbica. Erbe di città. Erbe spontanee su marciapiedi, muri, bordi strade nelle città. Volume primo: Erbe commestibili, medicinali, tossiche. Arabafenice, Boves: 170
4. Gademaier G, Eichhorn S, Vejvar E, Weilnböch L, Lang R et al (2014) Plantago lanceolata: An important trigger of summer pollinosis with limited IgE cross-reactivity. J Allergy Clin Immunol 134:2:475.e5
5. Kreitschitz A, Kovalev A, Gorb SN (2016) “Sticky invasion” – the physical properties of Plantago lanceolata L. seed mucilage. Beilstein J Nanotechnol 7:1918-1927
6. Mitich LW (1987) White Man’s Foot: Broadleaf Plantain. Weed Technology 1:3:250-251
7. È Plinio il Vecchio a darcene notizia: Naturalis Historia 25.80
8. Mitich LW (1987) op cit
9. Dürer A (1503), La grande zolla (Das große Rasenstück). Vedi immagine in apertura articolo.
10. Atto primo, scena seconda.
11. Dioscoride De materia medica 2.126
12. Columella De re rustica 6.33.2
13. Plinio il Vecchio, Naturalis Historia 25.80
14. Appendino G et al (2012) op cit: 170
15. Allen DE, Hatfield G (2004) Medicinal Plant in Folk Tradition. An Ethnobotany of Britain & Ireland. Timber Press, Portland – Cambridge: 247-248
16. Gonçalves S, Romano A (2016) op cit: 214
17. Ibidem
18. Ivi: 215
19. Hussan F, Haryani Osman Basah R, Rafizul Mohd Yusof M et al (2015) Plantago major treatment enhanced innate antioxidant activity in experimental acetaminophen toxicity. Asian Pacific Journal of Tropical Biomedicine 5:9:728-732
20. Riva E (2011) L’universo delle piante medicinali. Trattato storico, botanico e farmacologico di 400 piante di tutto il mondo. Tassotti Editore, Bassano (19951):246
21. Per una rassegna degli effetti di Piantaggine (P. major, nello specifico): WHO (2010) WHO monographs on medicinal plants commonly used in the Newly Independent States (NIS). WHO Press, Geneva: 318-322
22. WHO (1999) WHO monographs on selected medicinal plants. Vol.1 WHO Press Geneva:208-209
23. Romeh AA, Khamis MA, Metwally SM (2016) Potential of Plantago major L. for Phytoremediation of Lead-Contaminated Soil and Water. Water Air Soil Pollut 227:9
24. Chaibakhsh N, Ahmadi N, Zanjanchi MA (2014) Use of Plantago major L. as a natural coagulant for optimized decolorization of dye-containing wastewater. Industrial Crops and Products 61:169-175

L’attuazione del Protocollo di Nagoya in Europa: Il Regolamento ABS

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Il 9 giugno 2014, è entrato in vigore il Regolamento (UE) n.511/2014 “sulle misure di conformità per gli utilizzatori risultanti dal protocollo di Nagoya relativo all’accesso alle risorse genetiche e alla giusta ed equa ripartizione dei benefici derivanti dalla loro utilizzazione nell’Unione” (anche “Regolamento ABS”). Il Regolamento ha la finalità di attuare in modo uniforme nel territorio europeo una parte del Protocollo di Nagoya sull’accesso alle risorse genetiche e sulla giusta ed equa condivisione dei benefici derivanti dal loro utilizzo, in particolare il c.d. “user compliance pillar”. Con questa espressione si usa identificare l’insieme di regole del Protocollo che obbligano gli Stati parte a definire misure (leggi, norme amministrative ed altro) per garantire che gli utilizzatori che operano nell’ambito della rispettiva giurisdizione rispettino le norme sull’accesso dei Paesi fornitori. Il Regolamento si rivolge agli “utilizzatori” di risorse genetiche e di conoscenze tradizionali associate alle risorse genetiche, ovvero a “qualsiasi persona fisica o giuridica che utilizza risorse genetiche o conoscenze tradizionali associate alle risorse genetiche” (art. 3, par. 4 Regolamento ABS), indipendentemente dalle rispettive dimensioni o dall’uso cui sono destinate le risorse (commerciale o non commerciale). Il Regolamento ABS definisce “utilizzo” qualsiasi “attività di ricerca e sviluppo sulla composizione genetica e/o biochimica delle risorse genetiche, anche attraverso l’applicazione della biotecnologia”, riprendendo la definizione data dal Protocollo di Nagoya (art. 2 lett. c).

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Come si intuisce, il Regolamento ABS si rivolge a una platea molto ampia di destinatari che operano nel mondo della ricerca scientifica e accademica, in quello della conservazione (orti botanici, banche genetiche, collezioni…), e – nell’ambito della produzione e del mercato – nei settori biotecnologico, farmaceutico, cosmetico, agro alimentare, sementiero, zootecnico, dell’itticoltura, del biocontrollo e dei biostimolanti, della floricoltura, del vivaismo …

In tutti questi ambiti il Regolamento va a spiegare i suoi effetti nelle varie attività che si dipanano lungo tutta la catena di valore dei possibili “utilizzi” di risorse genetiche di origine vegetale, animale e microbica: dal “reperimento” e l’apprensione materiale della risorsa genetica, fino allo sviluppo finale del prodotto. È opportuno premettere che il Regolamento e il Protocollo di Nagoya si applicano solo laddove sia svolta un’attività di ricerca e sviluppo: non sono soggetti, quindi, alla disciplina dell’ABS il commercio e l’impiego di una risorsa genetica quale “bene di consumo” (“commodity”), come ad esempio l’importazione di un prodotto destinato al consumo diretto o di un materiale usualmente incorporato come ingrediente in un prodotto (ad esempio il burro di karitè in un cosmetico, laddove le proprietà del composto biochimico siano già note e non sia condotta alcuna attività di R&S). L’ampiezza dell’ambito di applicazione del Regolamento e la genericità della terminologia utilizzata dal legislatore europeo, ma anche dallo stesso Protocollo di Nagoya, hanno portato la Commissione Europea ad elaborare una serie di Documenti di orientamento per aiutare gli operatori nell’interpretazione dei basilari concetti di “risorsa genetica”, “derivato”, “conoscenza tradizionale”, “utilizzo”, “ricerca e sviluppo”, prevedendo anche specifiche linee guida focalizzate su ciascun settore di interesse. Questi Documenti di orientamento rappresentano un’utile guida per orientare l’utilizzatore nella interpretazione della normativa ABS e per adempiere al primo obbligo di “due diligence”, ovvero rispondere alla fondamentale domanda: l’attività che sto conducendo rientra nell’ambito di applicazione del Regolamento ABS e del Protocollo di Nagoya? Sono soggetto ai relativi obblighi? Il quadro normativo di fonte europea cui dobbiamo fare riferimento, per la specifica materia, è quindi, ad oggi composto da:

1. il regolamento (UE) n.511/2014, entrato in vigore il 9 giugno 2014 e applicabile in tutto il territorio dell’Unione europea dal 12 ottobre 2014; è prevista l’applicazione differita al 12 ottobre 2015, per gli articoli 4 (obblighi degli utilizzatori), 7 (monitoraggio della conformità dell’utilizzatore) e 9 (controlli sulla conformità dell’utilizzatore);

2. il regolamento di Esecuzione (UE) 2015/1866 della Commissione europea del 13 ottobre 2015, entrato in vigore il 9 novembre 2015, che dà una disciplina di dettaglio di alcune disposizioni del Regolamento ABS;

3. il “Documento di orientamento relativo all’ambito di applicazione e ai principali obblighi del regolamento (UE) n. 511/2014 del Parlamento europeo e del Consiglio sulle misure di conformità per gli utilizzatori risultanti dal Protocollo di Nagoya relativo all’accesso alle risorse genetiche e alla giusta ed equa ripartizione dei benefici derivanti dalla loro utilizzazione nell’Unione” – 2016/C 313/01, pubblicato in G.U. dell’Unione Europea il 27 agosto 2016, che consiste in una serie di indicazioni elaborate dalla Commissione europea sull’ambito di applicazione del Regolamento;

4. Linee Guida verticali per settore (animal breeding, biocontrol and biostimulants, biotechnologies, cosmetics, food and feed, pharmaceuticals, plant breeding) sul concetto di utilizzo, in corso di elaborazione.

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I contenuti del Regolamento ABS

Il nucleo della disciplina regolamentare si articola su un doppio binario di regole, “impositive” da un lato e “facilitative” dall’altro, con lo scopo di garantire che gli utilizzi di risorse genetiche e/o conoscenze tradizionali ad esse associate nel territorio dell’Unione europea avvengano in conformità alle norme sull’ABS del Protocollo di Nagoya.

Regole impositive:

• obblighi di due diligence in capo agli “utilizzatori”;

• sistema di monitoraggio degli “utilizzatori”;

• controllo degli “utilizzatori”;

• previsione di sanzioni a carico degli utilizzatori inadempienti.

Regole facilitative

hanno lo scopo di agevolare e promuovere il rispetto dei suddetti obblighi di due diligence:

• istituzione di un Registro europeo delle collezioni di risorse genetiche ritenute “affidabili”, sotto il profilo della loro acquisizione, conservazione e gestione;

• istituzione di un sistema di riconoscimento di “best practices” elaborate ed applicate nei vari settori interessati coerenti agli scopi del Regolamento ABS.

La due diligence dell’utilizzatore

Il principale obbligo per gli utilizzatori previsto dal regolamento consiste nell’esercitare “la dovuta diligenza per accertare se l’accesso alle risorse genetiche […] che utilizzano sia avvenuto in conformità delle disposizioni legislative e regolamentari applicabili in materia di accesso e di ripartizione dei benefici e che i benefici siano ripartiti in maniera giusta ed equa in base a termini reciprocamente concordati, in conformità delle disposizioni legislative o regolamentari applicabili” (art. 4 par. 1 Regolamento ABS). La due diligence si traduce innanzitutto nell’obbligo di “accertarsi”, attraverso una raccolta mirata ed analitica di informazioni, che la risorsa genetica in questione e/o la conoscenza tradizionale associata (ricadente nell’ambito di applicazione del Regolamento ABS) sia utilizzata sulla base di un PIC, o un analogo permesso rilasciato dal Paese fornitore, e di un MAT che preveda la ripartizione dei benefici.

L’esercizio della due diligence si estende poi all’obbligo di:

a) conservare tali informazioni (20 anni);

b) di trasferirle agli utilizzatori successivi ;

c) di attivarsi, nei casi in cui le informazioni possedute non risultino “sufficienti o persistano incertezze circa la legalità dell’accesso e dell’utilizzazione”, per rimediare a tali carenze, ottenendo il relativo PIC (o documento equivalente) e stipulando il MAT;

d) di interrompere l’utilizzo, nei casi in cui non sia possibile rimediare all’insufficienza o all’incertezza delle informazioni possedute.

Le Linee Guida della Commissione europea, di recente emanazione, precisano che “nello specifico contesto del regolamento ABS, la conformità all’obbligo di dovuta diligenza dovrebbe garantire che le informazioni necessarie relative alle risorse genetiche siano disponibili lungo tutta la catena di valore dell’Unione” (par. 3.1.).

Il monitoraggio dell’utilizzatore: i check-point e la c.d. “dichiarazione di due diligence

In base a questo complesso di regole, gli utilizzatori sono obbligati a presentare, in alcuni specifici momenti nel corso delle varie fasi della filiera (che vanno dallo stadio della “ricerca” a quello finale della commercializzazione di un prodotto), ad autorità specifiche individuate dagli Stati Membri (c.d. “Check-point”), una “dichiarazione”, con la quale dimostrino di ottemperare e/o di avere ottemperato agli obblighi di due diligence (la c.d. “dichiarazione di due diligence”). La dichiarazione di due diligence deve essere resa compilando un apposito modello allegato al regolamento di esecuzione (UE) 2015/1866 (All.II, Parte A e Parte B) e ha ad oggetto le informazioni reperite e conservate dall’utilizzatore a norma dell’art. 4 Regolamento ABS. Il meccanismo europeo di monitoraggio si articola su due livelli, che corrispondono alla suddivisione ideale in due fasi dell’intera “catena di valore” delle attività di ricerca e sviluppo nei vari settori interessati dall’ABS:

a) una fase “upstream”, che comprende attività di ricerca di base sulle risorse genetiche e/o sulle conoscenze tradizionali associate, sostenuta usualmente da finanziamenti pubblici e/o privati, i cui attori principali appartengono alla realtà accademica e della ricerca;

b) una fase “downstream”, che comprende il complesso delle attività di ricerca, di base e applicata, di sviluppo, produzione e commercializzazione del prodotto finito, i cui attori appartengono prevalentemente al mondo produttivo e industriale.

Nella fase upstream, gli utilizzatori “beneficiari di finanziamenti alla ricerca che implica l’utilizzazione di risorse genetiche e di conoscenze tradizionali associate” sono obbligati a presentare – in alcuni specifici momenti della ricerca finanziata – una dichiarazione di due diligence, su richiesta dello Stato membro o della Commissione europea, al check-point all’uopo designato.

Nella fase downstream dell’utilizzo, invece, il monitoraggio degli obblighi di due diligence si colloca temporalmente nella “fase finale dello sviluppo di un prodotto”: al verificarsi del primo tra una serie di eventi, identificati dall’art. 6, par. 2 regolamento di esecuzione (UE) 2015/1866, l’utilizzatore è obbligato a presentare al check-point, identificato dallo Stato membro, la dichiarazione di due diligence. Per la trasparenza del sistema ABS le informazioni acquisite dai check-point sono trasmesse all’ABS Clearing-House per la loro pubblicazione e, laddove richiesto dalle circostanze, alle autorità nazionali competenti del Paese fornitore.

Le disposizioni sul monitoraggio del Regolamento ABS prevedono particolari cautele nella trasmissione delle informazioni rilevanti per la tutela della riservatezza delle informazioni commerciali o industriali.

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La violazione degli obblighi di due diligence dell’utilizzatore: i controlli e le sanzioni

Il Regolamento ABS prevede un sistema di controlli e di sanzioni in caso di violazione degli obblighi di due diligence. Con riguardo a questi aspetti il Regolamento impone agli Stati membri di adottare specifiche norme di implementazione. L’articolo 9, infatti, prescrive agli Stati membri di adottare controlli “efficaci, proporzionati e dissuasivi” rispondenti a requisiti minimi ivi descritti. Si evidenzia che i controlli possono prevedere verifiche presso le sedi degli utilizzatori e possono includere l’esame delle misure, protocolli e procedure interne di due diligence adottate, di registri e documentazione rilevante, delle dichiarazioni di due diligence eventualmente presentate. In caso di “carenze” e a seconda della loro gravità, possono essere adottate “misure o interventi correttivi” da parte dell’Autorità competente, “misure provvisorie immediate”, ovvero “sanzioni” quando siano riscontrate violazioni agli obblighi di due diligence. Con riguardo a quest’ultimo aspetto, il legislatore europeo richiede a ciascuno Stato membro di prevedere un sistema di sanzioni “efficaci, proporzionate e dissuasive […] da applicare in caso di violazione degli articoli 4 e 7” e di adottare “tutte le misure necessarie per assicurarne l’applicazione”.

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Le regole facilitative della compliance al Regolamento ABS: il Registro europeo delle Collezioni e il riconoscimento europeo di “best practices” dell’ABS 

Il Regolamento prevede l’istituzione di un Registro europeo delle collezioni di risorse genetiche ritenute “affidabili”, sotto il profilo della loro acquisizione, conservazione e gestione. Gli utilizzatori che acquisiscono risorse genetiche da una collezione inclusa (interamente o parzialmente) in tale Registro sono considerati ottemperanti rispetto all’obbligo di dovuta diligenza per quanto riguarda la ricerca delle informazioni relative alle risorse ottenute da tale collezione (la parte pertinente inclusa nel registro). L’articolo 8 del Regolamento ABS istituisce un sistema di riconoscimento di “best practices(“pratiche”, “procedure interne”, “codici di condotta” “modelli di clausole contrattuali standard”) elaborate dalle Associazioni di utilizzatori (Associazioni di categoria o altre parti interessate) ed applicate nei vari settori interessati coerenti agli scopi del Regolamento ABS. L’attuazione di best practices riconosciute da parte di un utilizzatore riduce il rischio di non conformità dello stesso utilizzatore e, secondo quanto stabilisce lo stesso Regolamento, “giustifica una riduzione dei controlli di conformità” (Considerando 24) Premesse). Il regolamento (UE) di esecuzione n. 2015/1866 raccomanda anche alle Autorità competenti degli Stati membri di tenere in debito conto, nel monitorare la conformità dell’utilizzatore, dell’efficace attuazione di migliori prassi riconosciute da parte degli utilizzatori (Considerando n. 2).

L’implementazione del Regolamento ABS negli Stati membri

Il Regolamento, per essere efficacemente e pienamente attuato nel territorio dell’Unione, richiede da parte degli Stati Membri l’adozione di alcune specifiche misure, ovvero:

a) la designazione delle Autorità competenti ABS “responsabili dell’applicazione del Regolamento”;

b) la designazione dei Checkpoint (autorità deputate alla fase del monitoraggio);

c) l’adozione di un sistema di controlli per le Collezioni registrate e gli utilizzatori;

d) l’adozione di un quadro sanzionatorio per la violazione degli obblighi regolamentari.

L’Italia non ha ancora adottato alcuna misura legislativa di implementazione del Regolamento ABS, ponendosi in ritardo rispetto alla maggior parte dei Paesi europei che hanno in larga parte già adempiuto a questi obblighi (tra i quali, ad esempio, Danimarca, Finlandia, Francia, Spagna, Germania, Gran Bretagna, Ungheria). Uno schema di disegno di legge sulla ratifica ed attuazione del protocollo di Nagoya e sull’adeguamento in ambito nazionale di quanto disposto dal regolamento ABS UE n. 511/2014, è attualmente in corso di esame e discussione interministeriale. Nell’attesa della piena attuazione da parte dell’Italia del Regolamento ABS, è opportuno che i potenziali destinatari del Regolamento, che operano nel nostro Paese, si attivino per prendere consapevolezza dei nuovi obblighi di fonte comunitaria e internazionale, per determinare il livello di esposizione al rischio di “non compliance” con la normativa ABS per la propria attività e adottare le indispensabili cautele nella gestione di questi rischi. L’attuale assenza di uno specifico quadro sanzionatorio per la violazione del Regolamento non può essere considerato un elemento sufficiente per ritenersi esonerati dagli obblighi in materia di ABS. Molti Paesi fornitori di risorse genetiche, infatti, Parti del Protocollo di Nagoya (e anche non ancora Parti del Protocollo) hanno adottato da anni normative sull’accesso, la cui violazione espone il trasgressore a pesanti conseguenze sul piano sanzionatorio e di immagine. Inoltre, molte procedure di rilascio di autorizzazioni o di notifica per l’immissione al commercio di prodotti nel territorio europeo, come pure di finanziamento di attività di R&S, sono accentrate presso organi UE, che richiederanno agli interessati la specifica dichiarazione di “due diligence”, indipendentemente dallo stato della implementazione della nostra normativa nazionale. Ed ancora, nel caso in cui la propria attività (che comprenda R&S su risorse genetiche e conoscenze tradizionali associate) si collochi in uno specifico segmento della filiera produttiva per la messa in commercio di uno specifico prodotto, essere adempienti rispetto alla normativa ABS ed informati sulle sue implicazioni rappresenta sicuramente un requisito indispensabile e dirimente, in termini di competitività nel proprio settore di riferimento.

per contatti con l’autore: v.veneroso@anello.it

La ricerca della tranquillità

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L’utilizzo di derivati naturali di estrazione vegetale per contrastare stati di ansia, depressione, insonnia e simili disagi si perde nella notte dei tempi, ma è tuttora un popolare rimedio nelle situazioni in cui fatica e ansietà devono essere contrastate. Il ricorso a sostanze naturali ad azione calmante o stimolante si presenta, nel complesso, meno compromettente nei confronti di un naturale equilibrio fisiologico, rispetto a quello dell’uso di farmaci di sintesi. È di uso generalizzato ed antichissimo il ricorso agli estratti di piante conosciute per la loro azione ansiolitica, rilassante e in questo caso la forma di utilizzo più ricorrente è certamente quella dell’infuso. I tradizionali infusi ottenuti in genere da parti essiccate (ma anche fresche, appena colte) di queste erbe sono particolarmente indicati in sindromi ansiose non gravi, e si sono rivelati efficaci soprattutto ai fini di conciliare il sonno, per la loro azione sedativa nel trattamento di insonnia e anche di cefalea. La particolare composizione dell’associazione di ingredienti attivi degli estratti utilizzati consente una somministrazione anche prolungata, senza comparsa di indesiderati effetti collaterali spesso riscontrabili con l’uso, specialmente per lunghi periodi, di farmaci di sintesi. Infatti, il farmaco ansiolitico può ridurre ed anche in modo estremamente efficace i sintomi dell’ansia, ma il suo effetto è temporaneo, per cui l’esigenza di ulteriore assunzione può, oltre che creare disturbi, anche sfociare in una vera e propria forma di dipendenza.

Gli ansiolitici da piante

Non può sorprendere, quindi, l’interesse universale nella ricerca di ansiolitici naturali, cioè estratti da piante, veramente efficaci che possano utilizzarsi in alternativa a farmaci specifici, con la garanzia di una maggiore sicurezza di impiego, senza rischio dell’insorgere di effetti avversi, controindicazioni, assuefazione. Uno dei problemi, se così possiamo chiamarlo, correlato all’impiego di erbe nel contrastare stati di ansia è che gli estratti, nella quasi totalità dei casi, contengono un numero illimitato di componenti, per cui non sempre è facile distinguere e localizzare tra questi quale (o quali) sono quelli veramente efficaci ai fini dello sviluppo di effetto ansiolitico. La moderna ricerca scientifica si è preoccupata, e si sta occupando, anche di questa problematica ed ormai sono ben noti, e di volta in volta spesso identificati nei vari estratti, i componenti attivi a questi fini, quali flavonoidi, fenilpropanoidi, acidi fenolici, ed in particolare alcaloidi e oli essenziali che caratterizzano la funzionalità degli estratti della pianta. Tali molecole possono, di volta in volta, da pianta a pianta, operare secondo diversi meccanismi di azione tra cui, in particolare, quello legato alla via dei GABA-recettori ed a quello della inibizione di enzimi che possono degradare monoammine come serotonina. Non è escluso, comunque, che certi principi attivi possano sviluppare una loro specifica attività atipica od una azione sinergica complementare, integrativa a quella di farmaci di sintesi. La tabella acclusa alla fine del testo elenca un certo numero di piante di cui abbiamo reperito utile documentazione in letteratura circa loro funzionalità ansiolitica, antidepressiva. In tabella abbiamo segnato anche, ove reperiti, i principi attivi che gli autori delle varie ricerche hanno creduto di poter identificare come principali responsabili degli effetti richiesti.

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Le piante a funzione ansiolitica

In questo capitolo porteremo una descrizione più dettagliata delle piante più note e che oggi risultano maggiormente impiegate in preparati terapeutici ed integratori alimentari per combattere stati di ansietà. Per non sbilanciarci in preferenze, abbiano ritenuto opportuno elencarle in ordine alfabetico.

Schermata 2017-07-24 alle 16.15.03Calendula

Per quanto nella medicina popolare tradizionale siano ascritte proprietà ansiolitiche agli estratti da Calendula (Calendula officinalis L.), pure considerata a questi fini anche nella medicina ayurvedica, sono di data recente ricerche che ne hanno confermato scientificamente validi requisiti. Estratti metanolici ed acquosi da parti aeree della pianta, valutati in vari dosaggi (test su topini) hanno rivelato una attività ansiolitica, antispasmodica già quando utilizzata a dosaggio di 100 mg/kg pc, con un effetto, a queste condizioni, paragonabile a quello di diazepam (2 mg/kg). Screening fitochimico ha confermato che l’effetto indotto è da attribuirsi alla presenza nella droga delle parti aeree della pianta di alcaloidi e polifenoli.

Schermata 2017-07-24 alle 16.15.24Camomilla

L’attività ansiolitica, calmante, ipnotica della Camomilla (Matricaria chamomilla L.) è universalmente e scientificamente nota e declamata da tempi immemorabili. Per quanto concerne la sua azione conciliante il sonno, la sua assunzione sotto forma di infuso riduce i tempi di latenza della fase di addormentamento e prolunga il periodo di sonno, riducendo anche l’attività motoria. Anche in questo caso, gli studi più recenti assimilano l’azione ansiolitica e ipnoinducente ad un’azione simile a quella svolta dalle principali categorie di farmaci tradizionalmente impiegati nel trattamento di disturbi ansiogeni: le benzodiazepine. Gli attivi della droga (crisina, apigenina) si legano ai recettori GABA, così come possono avere influenza su altri neurotrasmettitori come le monoammine (dopamina, serotonina).

Centella asiatica

Sono numerose le referenze reperibili in letteratura anche per Centella asiatica L., circa le sue proprietà ansiolitiche e miglioranti le funzioni cognitive. Questi autori non fanno che supportare teorie della dottrina ayurvedica, decisa sostenitrice delle proprietà ansiolitiche di questa pianta. Tale funzione viene attribuita per buona parte alla ricca frazione triterpenica della droga della pianta. Asiaticoside di questi triterpeni si ritiene sia quello più abbondante ed anche il più attivo, ma non è da escludere che possano essere altri componenti della droga ad agire in azione sinergica ai triterpeni incrementandone l’attività.

Gelso bianco

Con funzione ansiolitica, si è potuto verificare che al test HBT (Hole Board Test), un metodo sperimentale utilizzato per valutare livelli di ansietà, stress, emotività e neofilia, il trattamento del soggetto con estratti di Gelso bianco (Morus alba L.) fornisce risultati paragonabili a quelli con trattamento con farmaco specifico (diazepan). Secondo alcuni ricercatori, l’attività ansiolitica degli estratti da Gelso è da ascrivere alla funzione di un agente steroideo della droga.

Ginkgo biloba

Ginkgo biloba (Ginkgo biloba L.) è certamente una delle più antiche piante che forniscono principi attivi da considerarsi “cibi per la mente”. Suoi estratti vengono infatti utilizzati contro una grande varietà di disordini mentali, per aumentare la funzione mnemonica e migliorare in genere il funzionamento della mente. L’effetto ansiolitico-simile accreditato agli estratti della pianta è da attribuirsi ad una serie di terpenoidi presenti nella droga, i ginkgolidi (ginkgolide-A, B,C e bilobalide). Si è potuto verificare che tra i quattro, quello che è in grado di sviluppare la maggiore attività ansiolitica a seguito di somministrazione di preparati che lo contengono, è il ginkgolide-A, che agisce al meglio dopo almeno cinque giorni di trattamento.

Griffonia

Griffonia simplicifolia, una pianta africana, un legume, è stata di recente classificata tra le piante ad attività ansiolitica. Le proprietà terapeutiche di questa pianta sarebbero da attribuire al fatto che nella sua droga si ritrova 5-idrossitritopfano (un derivato del triptofano); la molecola agisce nel nostro organismo da precursore della sintesi della serotonina. Serotonina, una triptammina, è un neurotrasmettitore sintetizzato nel sistema nervoso centrale e principalmente coinvolto nella regolazione dell’umore e del sonno (oltre che dell’appetito). Estratti di Griffonia sembra siano in grado di aumentare la quantità di serotonina in circolo.

Kava

Anche a questa pianta (Piper methisticum) della famiglia delle Piperaceae (come il Pepe nero), sono riconosciute proprietà sedative, ansiolitiche, miorilassanti, anestetizzanti, ampiamente documentate in letteratura con studi preclinici e clinici, meta-analisi, revisioni sistematiche. Si ritiene che i principi attivi della droga efficaci a tali fini siano rappresentati da una serie di kavalattoni (kavaina, diidrokavaina, metisticina, diidrometisticina). Il meccanismo biochimico che spiega la funzione ansiolitica è da identificarsi nella formazione di un legame di questi componenti con i recettori GABA di tipo A ed anche con inibizione di monoammina-ossidasi. Ricordiamo che tra le monoammine c’è serotonina, che ha effetto antidepressivo. Preparati a base di tale droga sembra non ingenerino pericolosa assuefazione e pertanto siano sicuri, con l’esplicarsi di una efficacia esaltante la funzione inibitoria del GABA, paragonabile a quella delle benzodiazepine. Peraltro, vale la pena ricordarlo, ultimamente sono state evidenziate le avvertenze contrarie all’impiego di tale droga in quanto epatotossica. 

Schermata 2017-07-24 alle 16.15.51Lavanda

Per la Lavanda (Lavandula officinalis L.), studi recenti hanno individuato proprietà sedative ed ansiolitiche, così come ne è stata confermata la positiva influenza su soggetti sia sani, sia su pazienti affetti da demenza senile e con manifestazioni di agitazione psicomotoria. In vari studi si è cercato di verificare l’influenza di stimolazione olfattiva dell’olio essenziale e come il sistema serotonergico sia coinvolto nell’effetto ansiolitico, quando inalato. Come per altri oli eterei, anche quello di Lavanda esplicherebbe la sua attività anti-ansietà con un meccanismo di azione diverso da quello GABA-benzodiazepine.

Loto sacro

Anche una pianta acquatica come il Loto sacro (Nelumbo nucifera Gaertner) è da annoverare nella categoria di piante ad attività ansiolitica. I vari autori che ne hanno verificata e confermata la funzione anti-ansietà, sedativa, ipnotica, sono concordi nell’affermare che essa è da ritenersi attribuibile alla frazione in alcaloidi (nelumbina, metarbina) della droga della pianta. Così come si dà per certo che induce l’effetto sedativo-ipnotico in ragione dell’incrementato livello di GABA nel cervello, e che già a dosaggi di 20 mg/kg induce effetto ansiolitico-simile ed aumenta significativamente la concentrazione di serotonina e dopamina. Questi dati dimostrano che la frazione alcaloidica dell’estratto del Loto esercita un’azione sedativa-ipnotica ed effetto ansiolitico, via legami ai recettori GABA ed attivazione del sistema monoaminergico.

Melissa

È questa un’altra pianta cui la pratica centenaria e la letteratura botanica e scientifica in genere riconoscono proprietà antistress ed ansiolitiche. Anche gli estratti di Melissa (Melissa officinalis L.), per queste loro specifiche proprietà, sono da considerarsi utile e sicura alternativa all’impiego di farmaci ansiolitici di sintesi. L’induzione di rilassamento nelle condizioni di stress, senza provocare compromissione di performance intellettuali e cognitive, è un’altra delle importanti prerogative attribuibili a questa pianta nota sino dai tempi più antichi. Melissa, rispetto ad altre piante utilizzate allo scopo, sembra essere quella che mostra il più elevato potenziale inibente GABA-transaminasi, l’enzima responsabile della degradazione del GABA. Ulteriori dati confermerebbero che l’acido rosmarinico è il componente della frazione attiva della pianta da considerarsi quale maggiore interferente ai fini di tale attività. Dati sperimentali riferiscono di un potenziale inibente del 40% di stress da parte di un estratto da Melissa titolato in acido rosmarinico, già ad un minimo dosaggio di 100 μg/mL.

Schermata 2017-07-24 alle 16.29.19Melograno

Al succo estratto dal frutto del Melograno (Punica granatum L.) si ascrive un’attività anti-ansietà. Gli studi fatti hanno dimostrato che il meccanismo di azione della droga della pianta è sicuramente da ascrivere ad un comportamento correlato alla funzione del GABA, come quello delle benzodiazepine. Ciò non toglie che la presenza di numerosi principi attivi nella droga (flavonoidi, saponine, tannini, steroli, polifenoli, ecc.) possa avere una sua interferenza e qualcuno di questi ingredienti attivi possa agire per suo conto in funzione di una sua particolare specifica funzionalità anche nel confronto di disturbi correlati al sistema nervoso centrale.

Noce moscata

Della Noce moscata (Myristica fragrans Houttuyn) è nota un’attività anti-ansietà. Nella droga della pianta, oltre un ricco olio essenziale (canfene, limonene, pinene…), è anche presente un fenilpropanoide, la miristicina, e pare sia proprio questo composto il “motore” più importante che muove il meccanismo di azione della droga della pianta. La miristicina non agisce come modulatore dei recettori del GABA ma riduce comunque lo stato di ansia. Anche se non ne è stato determinato appieno il vero meccanismo di azione, si ritiene che questo fenilpropanoide agisca su altri siti recettori del sistema nervoso, oltre a quelli correlati alla funzione del GABA, modulandone la funzione ed inducendo, quindi, ansiolisi.

Noni

Per noi Noni, botanicamente Morinda citrifolia, è una pianta indiana cui sono riconosciute varie proprietà farmacologiche, in particolare analgesiche, antinfiammatorie, antiossidanti. Recenti ricerche ne hanno validato una azione sui recettori del sistema nervoso centrale ed illustrata una attività ansiolitica, sedativa, ipnotica, sviluppabile secondo il meccanismo tipico di azione delle benzodiazepine, coinvolgente cioè i recettori del GABA.

Schermata 2017-07-24 alle 16.29.35Passiflora

Anche della Passiflora (Passiflora incarnata L.), con studi in vivo su animali, sono state confermate le qualità ansiolitiche, sedative ed ipnoinducenti, così come sono stati rilevati indubbi benefici sulla qualità del sonno e sui livelli di ansia a seguito di sua assunzione. Relativamente all’efficacia anti-ansietà e sedativa degli estratti della pianta si ritiene che i componenti della droga attivi a questo fine siano da identificarsi in flavonoidi (vitexina, isovitexina, orientina) che si legano con i recettori del GABA, inibendo l’attività dell’enzima che lo demolisce. Numerosi studi hanno fatto notare che l’attività della Passiflora riducente stato di ansia non induce sedazione o cambi nelle funzionalità psicomotorie del paziente, così come presenta una assai bassa incidenza di disturbi di performance lavorativa, se paragonata agli effetti di benzodiazepine. Si è anche ipotizzato che la Passiflora, così come la Valeriana, possano concorrere ad aumentare l’attività inibitoria delle benzodiazepine, legandosi con i recettori GABA e promuovendo un marcato effetto complementare. In sede europea si consiglia di usarla, nel caso di agitazione nervosa, in dosaggi da 4 a 8 g nelle preparazioni. Nella sua forma di impiego la si ritrova sminuzzata per la preparazione di infusi o altre formulazioni galeniche per uso interno. La Passiflora è nota anche per favorire il rilassamento muscolare, ha azione ansiolitica e risolve alcuni tipici sintomi stress-dipendenti, come la contrattura muscolare delle spalle e del rachide cervicale, facilitando condizioni di rilassamento fisico e psichico.

Pompelmo

Sono di recente data vari studi atti a verificare e validare la funzione anti-ansietà degli estratti del Pompelmo (Citrus paradisi). La funzione ansiolitica degli estratti dal frutto della pianta è stata attribuita al loro contenuto in flavonoidi. Infatti, in altri studi è stato dimostrato che glucosidi quercitrina e isoquercitrina sviluppano un effetto sedativo sul sistema nervoso centrale (test su topini). Test fitochimici su estratti di Pompelmo hanno rivelato presenza di flavonoidi e loro glucosidi, saponine, steroidi. Un possibile meccanismo di azione di tale estratto potrebbe essere quello che prevede legame di questi fitochimici ai recettori GABA o al complesso GABA-benzodiazepine. A parte il Pompelmo, riferimenti bibliografici relativamente a loro proprietà ansiolitiche, psicorilassanti, ecc. sono largamente reperibili per le numerose varietà della specie Citrus, dall’aurantium al limon, dal medica, al grandis, ecc., vale a dire per la maggior parte dei più tipici agrumi. Loro estratti, ed in particolare il loro olio essenziale, sono presentati come valide alternative all’uso di ansiolitici di sintesi. Vengono loro riconosciute proprietà ansiolitiche, ipnotiche, sedative, concilianti il sonno. 

Pratolina

Anche un grazioso piccolo fiore primaverile del prato, la Pratolina, o Margheritina (Bellis perennis), è da citare tra le piante a funzione ansiolitica. La detta funzionalità della pianta è validata da studi e positiva utilizzazione da decenni. Relativamente ai meccanismi di azione di questa pianta sono state riferite diverse interessanti considerazioni. In relazione al suo contenuto in vari principi attivi, da flavonoidi a composti fenolici, da alcaloidi a steroli ed altro, la funzionalità antidepressiva ed ansiolitica dei preparati potrebbe essere influenzata dalla presenza e specifica attività di uno o più di questi ingredienti o di una loro azione sinergica ed esplicarsi quindi, secondo un diverso meccanismo di azione. 

Rovo

Pure del Rovo (Rubus fruticosus L.), meglio noto come Mora, un comunissimo frutto del bosco, sono state studiate e valutate varie attività di ordine neurologico, come ansiolitica, muscolo-rilassante, antidepressiva, sedativa. Per gli estratti di questa pianta alcuni tra gli studi più probanti hanno evidenziato una accertata funzione ansiolitica e antidepressiva e, per contro, un minore effetto sedativo e muscolo-rilassante. La loro attività, dovuta a triterpeni, steroli, glucosidi ed antocianine, è risultata essere dose-dipendente. Una osservazione interessante di vari autori, relativamente all’impiego di estratti di questa pianta in campo terapeutico, è quella di considerare la loro elevata attività antinfiammatoria ed immunomodulante, tale da farne, anche nel caso di utilizzazione in campo neurologico, ingredienti di base assai sicuri, oltre che efficaci.

Valeriana

Un’altra pianta a marcato effetto sedativo, ansiolitico, è la ben nota Valeriana (Valeriana officinalis L.). Gli estratti della pianta sono da considerarsi tra i rimedi erboristici più utilizzati da sempre, negli stati d’ansia e nei casi di insonnia. A buona ragione, la Valeriana figura tra le piante più conosciute come “amiche del sonno”. Sono alcuni componenti della droga della pianta che, provocando rilassamento muscolare, facilitano l’induzione del sonno senza lasciare, peraltro, sensazione di torpore o intontimento, manifestazioni che spesso accompagnano assunzione di farmaci specifici. Anche nel caso della Valeriana la maggior parte delle ricerche sul suo meccanismo di azione riferiscono che sia da attribuirsi all’inibizione dell’enzima riduttore del GABA, lo ripetiamo, mediatore chimico coinvolto in meccanismi di eccitabilità neuronale, del rilassamento e dell’induzione del sonno. Secondo vari autori l’impiego in associazione di estratti di Valeriana e Melissa consente di ottenere preparati a funzione calmante, sedativa, paragonabile a quella di benzodiazepine, ad esempio nella induzione del sonno. Interessante e curioso, a nostro avviso, il rapporto di altri ricercatori relativo ai risultati ottenibili a fini inibenti antistress, utilizzando combinazioni degli estratti di Valeriana e di Melissa. Si riferisce in merito, infatti, che utilizzando i due componenti in associazione a basso dosaggio di entrambi, si verifica un significativo abbattimento dello stato di stress, mentre un dosaggio maggiorato porterebbe ad un peggioramento della situazione (aumentato stato di stress).

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DSM – ALPAFLOR® Sostenibilità e Fair Trade applicati alla produzione di attivi biologici

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D. Quali sono i fondamenti della filosofia Alpaflor®?
R. La filosofia Alpaflor® si basa su tre pilastri: la sostenibilità (incluso il commercio equo), la tracciabilità e la qualità. Sin dalla sua fondazione 20 anni fa, Alpaflor® si è concentrata sugli estratti vegetali alpini per l’industria cosmetica, utilizzando solo piante coltivate biologicamente per garantire che i territori di montagna non venissero impoveriti e per proteggere la biodiversità alpina, un’idea pionieristica a quel tempo. I primi attivi biologici sono stati lanciati sul mercato nel 2004. Alpaflor® ha istituito una rete per sostenere la catena di approvvigionamento delle piante alpine, con una stretta ed equa relazione tra una cooperativa di montagna e gli agricoltori. Questa rete garantisce la tracciabilità dei nostri prodotti. Tutti i nostri estratti sono standardizzati in composti attivi e le prove di efficacia vengono eseguite dai nostri colleghi della ricerca e sviluppo presso la sede di DSM Nutritional Products nei pressi di Basilea.

D. Come sono stati raggiunti gli obiettivi della sostenibilità e del commercio equo e solidale (Fair Trade) da parte di DSM?
R. Per quanto riguarda l’ambiente, nel sito produttivo Alpaflor® pratichiamo la coltivazione biologica. Inoltre rispettiamo anche i principi della chimica verde: utilizziamo solo energia rinnovabile, abbiamo drasticamente ridotto il nostro consumo di energia (in particolare il consumo di petrolio e acqua), ricicliamo i residui delle piante esauste come compost e, dopo estrazione, l’etanolo organico viene riutilizzato. Non produciamo rifiuti chimici. Per quanto riguarda il commercio equo, l’intero portafoglio Alpaflor® è ora certificato ESR (Fairness, Solidarity and Responsibility) da Ecocert Environment. Abbiamo stabilito un contratto a lungo termine con una cooperativa agricola, concordando un prezzo minimo garantito e un salario equo (ci facciamo carico di tutti i rischi della coltivazione – gli agricoltori vengono pagati secondo l’area coltivata e non per la resa del materiale essiccato). Inoltre forniamo all’agricoltore un supporto tecnico gratuito grazie all’Istituto Federale Svizzero di Ricerca in Agricoltura (Agroscope) con cui collaboriamo.

D. Con quale criterio viene selezionata la specie di pianta più efficace? Può farci un esempio?
R. È molto importante selezionare la giusta specie vegetale. Ciò è possibile solo perché siamo noi a coltivare le piante (con la raccolta di piante spontanee è molto difficile distinguere tra specie vicine o anche tra diversi chemiotipi). Abbiamo osservato una grande variazione nel contenuto di attivi tra piante dello stesso genere, ad esempio all’interno del genere Epilobium. Epilobium angustifolium è la specie più comune in montagna, ma abbiamo trovato almeno altre quattro specie sulle Alpi. Dopo aver analizzato tutte queste specie, abbiamo notato che Epilobium fleischeri ha il miglior contenuto di attivi, tre volte superiore rispetto a Epilobium angustifolium.

D. Quali sono le caratteristiche delle colture di montagna ad alta quota?
R. Ad altitudini elevate, le piante sintetizzano grandi quantità di metaboliti secondari per proteggersi da condizioni ambientali difficili (come radiazioni UV, un’ampia variazione di temperatura durante il ciclo circadiano – giorno e notte – ed elevati livelli di disidratazione dovuti alla combinazione di calore e vento forte). E questi metaboliti vengono da noi estratti per la loro attività sulla pelle. Per ottenere colture ottimali, abbiamo stabilito che la migliore altitudine è quella tra 1.000 e 1.500 metri sul livello del mare. Sotto i 1.000 metri le piante sintetizzano meno attivi e sono più sensibili all’aggressione di malattie e parassiti e, oltre i 1.500 metri, la stagione è molto breve e la resa del materiale è troppo bassa. Abbiamo anche confrontato le piante alpine nel loro habitat naturale e quelle coltivate da noi e non abbiamo trovato differenze significative nel contenuto di attivo.

D. Può illustrarci come viene garantita la tracciabilità degli attivi Alpaflor®?
R. La tracciabilità è pienamente garantita grazie alla nostra filiera locale corta. Conosciamo tutti gli stakeholder (l’Istituto Federale Svizzero di Ricerca in Agricoltura, i vivai, la cooperativa di montagna e gli agricoltori), ci troviamo nella stessa zona (massimo 50 km di distanza). Abbiamo una forte relazione da quasi 20 anni e veniamo subito a conoscenza delle problematiche. La tracciabilità parte dai semi (che devono anche essere biologici), e passa attraverso le piantine nel vivaio e le giovani piante che vengono trasferite nei campi, fino alla raccolta nel momento giusto e all’essiccazione e alla frantumazione eseguita presso la cooperativa.
La cooperativa crea un lotto della pianta corrispondente ad un agricoltore, un raccolto, un campo. Noi manteniamo questa tracciabilità nella nostra fabbrica, conosciamo il nome dell’agricoltore, l’appezzamento di terra e la data delle piante utilizzate per produrre ogni chilo di attivo che viene commercializzato. DSM-Alpaflor® gestisce ogni passaggio della filiera, dal seme all’attivo.

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