Dalla tradizione di Loacker Remedia

Il 10 luglio 2017 è nata Schwabe Pharma Italia. Questo passaggio rappresenta una sfida strategica che l’azienda Loacker Remedia, con oltre 30 anni di esperienza nella cura dolce della persona, in particolare del bambino e della mamma, ha deciso di affrontare per rafforzare la propria immagine di azienda multinazionale rigorosa e affidabile nel mondo dei prodotti naturali, sia fitoterapici che omeopatici.
“La creazione di Schwabe Pharma Italia”, commenta Hannes Loacker, Amministratore Delegato, “ha l’obiettivo di integrare e arricchire il portafoglio prodotti, in un’ottica di continuità del servizio offerto. Grazie alla lunga esperienza di Schwabe Pharmaceuticals nella Fitoterapia, vogliamo potenziare la nostra presenza sul mercato italiano nel settore del farmaco vegetale e contemporaneamente mantenere attivo il patrimonio omeopatico.”
Il gruppo Schwabe Pharmaceuticals, azienda tedesca di proprietà familiare, presente in tutto il mondo, sin dal 1866 produce farmaci vegetali a base di ingredienti di efficacia e sicurezza comprovati dalla tradizione. Schwabe Pharmaceuticals, controllando tutte le fasi dalla coltivazione della pianta fino alla creazione del farmaco, sviluppa i suoi prodotti secondo rigorosi standard scientifici, con importanti investimenti in ricerca e sviluppo.
Schwabe Pharma Italia dalla sua sede di Egna (BZ) continuerà a coniugare naturalmente l’approccio olistico per la cura della persona con il metodo scientifico, per offrire una gamma completa di soluzioni naturali affidabili, sicure e di qualità garantita.
Con l’occasione del cambio di ragione sociale, l’azienda ha sviluppato il nuovo sito internet www.schwabe.it, dove Schwabe Pharma Italia si presenta con una veste totalmente rinnovata, in qualità di Esperto del Naturale, che offre varie soluzioni terapeutiche di altissima qualità (Omeopatia – Fitoterapia – Sali di Schüssler – Fiori di Bach), grazie ad un approccio integrato e completo ed una leadership in pediatria.
L’azienda possiede una particolare expertise nella Fitoterapia d’eccellenza rappresentata dai farmaci vegetali Kaloba, Vitango, Dormiplant e Halicar e dalla nuova linea Mama Natura specificamente formulata per risolvere le più comuni patologie pediatriche.

Schermata 2017-12-11 alle 10.02.37

Alimentazione nello sport

Schermata 2017-12-11 alle 09.28.15Schermata 2017-12-11 alle 09.28.42

D. Attualmente l’OMS ha riconosciuto la sedentarietà come la principale causa delle patologie cronico-degenerative. Sovrappeso e obesità sono in costante aumento anche in modo preoccupante in età infantile. Quale è il ruolo dell’alimentazione nell’attività fisica?
Risposta: fondamentale è abbinare regolarità nell’attività fisica e corrette abitudini alimentari. A vari livelli ognuno può essere un atleta, prendendosi cura di se stesso, rispettando corretti carichi di allenamento e un’adeguata alimentazione. Di base a qualunque livello, intensità, durata e frequenza si pratichi attività sportiva, è fondamentale avere un buono stato nutrizionale.
Così è importante distribuire nell’arco della giornata circa 5 pasti (colazione, spuntino, pranzo, spuntino, cena) bilanciando i diversi nutrienti in quantità e qualità adeguate, equilibrando carboidrati, proteine e lipidi, senza far mancare adeguate porzioni di verdura e frutta nei vari pasti, in modo da apportare fibre, vitamine, sali minerali e polifenoli. Sono da prediligere cibi freschi e genuini, come frutta, fonti proteiche magre come ad esempio pesce, soia, carne magra e verdura, carboidrati dai cereali integrali, olio extravergine di oliva e frutta oleosa.

D. E in particolare come deve essere l’alimentazione quotidiana dell’atleta?
Risposta: nel caso di chi pratica attività atletica, si tenga presente che l’obiettivo principale è quello di soddisfare le esigenze energetiche e garantire l’apporto di ogni nutriente al fine di evitare carenze di alcun tipo e garantire lo stato di salute. Gli studi attuali sono rivolti alla nutrizione periodizzata e personalizzata che prevede una pianificazione a breve e a lungo termine di alimentazione e integrazione, secondo i piani di allenamento e le abitudini di ogni singolo individuo. Gli adattamenti indotti sull’organismo dall’allenamento, infatti, sono determinati da numerosi fattori: durata, intensità e frequenza oltre che dalla qualità e dalla quantità dei nutrienti assunti pre e post esercizio. È chiaro quindi che gli adattamenti metabolici iniziano dall’esercizio, ma possono essere potenziati (o ridotti) dall’alimentazione.

D. Ci può portare degli esempi concreti?
Risposta: per esempio, la carenza di un adeguato apporto di proteine post esercizio induce un bilancio proteico negativo a livello muscolare. Esistono anche evidenze per cui in abbinamento a determinate sedute di allenamento un basso apporto di carboidrati è in grado di promuovere specifici adattamenti a livello cellulare. Quando l’assunzione di carboidrati è ridotta per un periodo prolungato si può generare chetosi con conseguente aumento dei livelli di cortisolo. Eccessive concentrazioni di cortisolo possono indurre riduzione del sistema immunitario e aumento del rischio di infortuni da microtrauma ripetuto. Inoltre l’assunzione di sostanze antiossidanti, come alcuni tipi di polifenoli, può favorire la biogenesi mitocondriale; al contrario un loro insufficiente apporto può aumentare il rischio di infortuni cosiddetti da “stress” (microtrauma ripetuto).

D. Quale è il ruolo dei carboidrati nell’alimentazione dello sportivo?
Risposta: i carboidrati  si trovano con diversa concentrazione in frutta, verdura, cereali integrali, pasta, riso, pane, patate e dolciumi. Sono da preferire quelli a basso indice glicemico contenuti ad esempio nella verdura, in molti frutti, nei cereali integrali, in quanto non determinano eccessivi e rapidi aumenti della glicemia. I carboidrati ad alto indice glicemico sono ad esempio quelli forniti da zucchero, dolciumi, sode, riso, pane bianco, prodotti da forno a base di farine bianche, pasta. Questi comportano più facilmente picchi glicemici con conseguente produzione di tessuto adiposo, ipoglicemia reattiva e aumento dello stato infiammatorio dell’organismo. Durante attività fisiche di lunga durata e intense e nell’ora successiva, invece, utilizzare carboidrati ad alto indice glicemico facilita il recupero muscolare.
Consumare grandi quantità di zucchero da cucina è dannoso per la salute, ma anche nutrirsi prevalentemente con carboidrati ad alto indice glicemico come riso, cereali per colazione, patate, grissini, pane, biscotti e riso non è vantaggioso. La concentrazione di glucosio nel sangue può aumentare notevolmente e in breve tempo, tante più sono e tanto più rapidamente vengono digerite le molecole dei carboidrati.
Importante è considerare anche la quantità degli alimenti, poiché il carico glicemico determina l’andamento della glicemia.
Se in un pasto si mangiano ad esempio patate, pane e si bevono bibite zuccherate si innalza rapidamente la glicemia e l’organismo risponde inviando in circolo una grande quantità di insulina, che si traduce in aumento del tessuto adiposo, ipoglicemia reattiva e aumento dello stato infiammatorio dell’organismo. Infatti i picchi di insulina conseguenti ai picchi glicemici possono determinare un aumento delle citochine pro infiammatorie, ovvero di molecole che il nostro corpo produce per specifiche esigenze autoregolandole, ma in caso di picchi insulinemici queste molecole possono aumentare tanto da creare prima uno stato di “infiammazione silente”, sensazione di malessere, gonfiore, pesantezza, stanchezza, che può poi concretizzarsi in malattie d’organo come ad esempio diabete, ipertensione, cardiopatie.

D. C’è un arco temporale da rispettare nell’assunzione di carboidrati in allenamento?
Risposta: Prima dell’attività fisica è utile prediligere carboidrati e cibi a basso indice glicemico, ad esempio frutta e yogurt magro senza zucchero.
Durante e dopo l’attività fisica intensa e di durata e nell’ora successiva esiste una “fase finestra”, in cui il glucosio entra direttamente nelle cellule muscolari senza lo stimolo dell’insulina e quindi per mantenere rispettivamente “durante” e ricostruire “dopo” le scorte di glicogeno muscolare, si possono assumere alimenti ad alto indice glicemico, come ad esempio una banana o delle patate. Oppure, per comodità, esistono pratici integratori dedicati sia alla fase durante che post attività fisica, funzionali al recupero, a base di maltodestrine e fruttosio, studiati per le esigenze specifiche di chi pratica sport.

D. E quali considerazioni si possono fare per gli altri macronutrienti?
Risposta: Le proteine hanno diverse funzioni importanti: regolano il funzionamento di alcuni enzimi, servono per costruire diverse strutture cellulari; in particolare abbinare fonti proteiche a carboidrati ad alto indice glicemico ottimizza il recupero muscolare. Possono inoltre avere funzione energetica quando non ci sono carboidrati e lipidi. Sono contenute nel pesce, nella carne, nelle uova, nei legumi e nella soia. È consigliato alternare fonti di proteine animali a quelle vegetali.
I lipidi si trovano nella frutta oleosa, nell’olio extravergine di oliva, nei formaggi, nelle uova. Vengono accumulati sotto forma di trigliceridi nel tessuto adiposo, costituiscono i fosfolipidi delle membrane cerebrali e permettono la produzione di alcuni ormoni.

D. Bere è importante per lo sportivo?
Risposta: L’acqua è essenziale per l’organismo, basta una lieve disidratazione per avere un calo della performance sportiva. Si consiglia di sorseggiare acqua nella giornata, prima, durante e dopo l’attività fisica.
Consideriamo anche che l’acqua si trova in frutta e verdura. Mangiando una porzione abbondante di verdura a pranzo e cena, e della frutta negli spuntini e/o a colazione, si apportano, oltre all’acqua, vitamine, sali minerali e fibre all’organismo.
Le vitamine regolano alcuni processi metabolici cellulari, possono essere idrosolubili (ad esempio la vitamina C che si trova in arance, limoni) e liposolubili contenute nella frutta oleosa, nell’olio extravergine di oliva, nei latticini (ad esempio la vitamina D).
Anche i sali minerali hanno funzione plastica e regolatrice e sono ad esempio il ferro nella carne rossa, il rame, il magnesio nel miglio e lo iodio nel sale.

D. Quali nutraceutici possono essere utili nel caso di attività sportiva?
Risposta: Nel caso dello sport, i nutraceutici possono essere utilizzati, oltre che per prevenire e curare disturbi tipici degli atleti, anche per migliorare alcune caratteristiche che intervengono nelle loro prestazioni; in particolare, consideriamo gli acidi grassi omega-3, i policosanoli e tre polifenoli (i flavanoli del cacao, la curcumina e le antocianine).
Gli allenamenti intensi e frequenti cui si sottopongono gli atleti di alto livello determinano un aumento del rischio di infortuni (in particolare di quelli da microtraumi ripetuti e di quelli muscolari) a causa di un’elevata produzione di molecole proinfiammatorie, spesso non bilanciati da un’adeguata produzione di molecole antinfiammatorie.
Gli acidi grassi omega-3 a lunga catena contribuiscono a ridurre la produzione di eicosanoidi proinfiammatori (come l’interleuchina-6) e favoriscono la produzione delle prostaglandine della serie 1, dotate di effetto antinfiammatorio.
Anche la curcumina limita la produzione di molecole proinfiammatorie (TNF-a, IL-6 e IL-1B) e ha effetto antiossidante. Si comporta infatti come scavenger (“catturatore”) di radicali liberi, riducendo lo stress ossidativo indotto da esercizio fisico e limitando così il danno ossidativo cellulare.
Ai fini di una migliore prestazione atletica, sono molto importanti gli effetti della curcumina nei muscoli. È stato dimostrato che la supplementazione con curcumina (2,5 g/die per 2 volte al giorno) allevia il dolore muscolare a insorgenza ritardata, e garantisce un migliore recupero del rendimento muscolare. Favorisce inoltre la rigenerazione dei muscoli.
Le antocianidine sono una classe molto ampia di polifenoli che fungono da pigmenti in molti vegetali, compresi vari tipi di frutta e di verdura, dando ad essi un colore dal rosso al blu.
Possono ridurre il rischio di infortuni negli atleti grazie ai loro spiccati effetti antiossidanti ed antinfiammatori. Le bacche del maqui, il mirtillo della Patagonia (Aristotelia chilensis), sono particolarmente ricche in antocianidine (130 mg per 100 g di frutto fresco); il 34% delle antocianidine è costituito da delfidinine, particolarmente biodisponibili e con una spiccata attività antiossidante.

D.  Per concludere, quali consigli si possono dare a chi pratica attività sportiva?
Risposta: In conclusione, strategia per la performance è allenarsi con carichi adeguati e rispettare un’alimentazione bilanciata ed equilibrata nei diversi nutrienti in quantità e qualità, con eventuale supplementazione di polifenoli e omega 3, concentrati ed altamente purificati.

Bibliografia
•  Arcelli E, Righetti S ( 2013) L’alimentazione nel mezzofondo, nel fondo e nella marcia. Ed. Federazione Italiana di Atletica Leggera, Centro Studi & Ricerche FIDAL. Atletica Studi 4 (lug-dic ) Suppl.1:104 pagg
•  Hawley JA, Burke LM (2010) Carbohydrate availability and training adaptation: effects on cell metabolism. Exerc Sport Sci Rev 38(4):152-160
•  Bartlett JD, Hawley JA, Morton JP (2015) Carbohydrate availability and exercise training adaptation: too much of a good thing? Eur J Sport Sci 15(1):3-12
•  Hawley JA, Morton JP (2014) Ramping up the signal: promoting endurance training adaptation in skeletal muscle by nutritional manipulation. Exp Pharmacol Physiol 41(8):608-613
•  Gomez-Cabrera MC, Salvador-Pascual A, Cabo H, Ferrando B, Viña J (2015) Redox modulation of mitochondriogenesis in exercise. Does antioxidant supplementation blunt the benefits of exercise training? Free Radic Biol Med 86:37-46
•  Valero T (2014) Mitochondrial biogenesis: pharmacological approaches. Curr Pharm Des 20(35):5507-5509
•  Jeukendrup AE (2017) Periodized Nutrition for Athletes. Sports Med 47(Suppl 1):51-63
•  Ebbeling CB, Swain JF, Feldman HA et al (2012) Effects of dietary composition on energy expenditure during weight-loss maintenance. JAMA 307(24):2627-2634
•  Nenseter MS, Rustan AC, Lund-Katz S et al (1992) Effect of dietary supplementation with n-3 polyunsaturated fatty acids on physical properties and metabolism of low density lipoprotein in humans. Arterioscler Thromb 12(3):369-379
•  Buonocore D, Negro M, Arcelli E, Marzatico F ( 2015) Anti-inflammatory Dietary Interventions and Supplements to Improve Performance during Athletic Training. J Am Coll Nutr 34 (Suppl 1):62-67
•  Nicol LM, Rowlands DS, Fazakerly R, Kellett J (2015) Curcumin supplementation likely attenuates delayed onset muscle soreness (DOMS). Eur J Appl Physiology 115(8):1769-1777

Schermata 2017-12-11 alle 09.41.42

Eurotrading e TechnicoFlor

Schermata 2017-11-22 alle 11.23.11

D. Perché ha deciso di essere un distributore di fragranze, vista la complessità del settore?
Risposta: Eurotrading è un’affermata azienda distributrice nel mercato italiano di materie prime cosmetiche con oltre venti anni di esperienza; ha sempre rappresentato primarie aziende produttrici. Già venti anni fa, avevo affrontato le fragranze in quanto le ho sempre ritenute una parte fondamentale per il successo del prodotto finale presso il nostro cliente. Inoltre, avendo internamente laboratori di ricerca e sviluppo applicati al nostro mercato di riferimento, è risultato semplice l’utilizzo delle fragranze applicato alla formulazione proposta.
È solo negli ultimi anni che il mercato si è reso conto che lo studio della fragranza più appropriata al progetto è fondamentale, non solo per il successo del medesimo, ma anche per la caratterizzazione dell’azienda che lo produce. Oggi lanciare sul mercato un prodotto nuovo senza aver fatto uno studio approfondito del logo olfattivo che lo caratterizza è molto rischioso.
Proprio partendo da queste considerazioni, la scelta di un partner dinamico come TechnicoFlor diventa strategica perché ritengo che questa azienda abbia il perfetto mix fra qualità della fragranza e massima flessibilità del servizio.

D. Perché la scelta è caduta proprio su TechnicoFlor?
Risposta: Come qualche volta succede nella vita lavorativa, c’è anche una piccola dose di casualità nell’incontrarsi al momento giusto. TechnicoFlor è un’azienda essenziera di Marsiglia il cui titolare, Francois Sabatér, proviene da una lunga tradizione di famiglia nel settore delle fragranze e, al tempo, non era presente sul mercato italiano. Dei colleghi francesi mi segnalarono questa interessante realtà, proprio nel momento in cui Eurotrading cercava una partnership con un’azienda di produzione essenziera di medie dimensioni.
Questo è avvenuto circa 5 anni fa e da allora la collaborazione è diventata vincente e ha portato ad entrambe le aziende nuovi stimoli commerciali.
Posso affermare tranquillamente che le caratteristiche aziendali, sia di Eurotrading che di TechnicoFlor, sono molto simili per la cura che hanno del cliente e del servizio.

D. Quindi questa partnership si è dimostrata vincente?
Risposta: Riprendo dalla domanda precedente, spiegando che la partnership tra le due realtà è assolutamente positiva perché è vincente il connubio dell’alta capillarità sul mercato: per quanto riguarda Eurotrading, grazie alla sua storica forza vendita, mentre risulta un fattore di primaria importanza l’ampia flessibilità che TechnicoFlor mette a disposizione, al fine di poter essere efficaci sul mercato italiano che è molto frammentato.
Ho sempre avuto un po’ l’ambizione di poter offrire al nostro mercato di riferimento ampia flessibilità e allo stesso tempo un alto livello di qualità della fragranza. Infatti spesso noto che c’è un leggero appiattimento verso il basso della qualità delle fragranze sul mercato e questo è dipeso principalmente dal fatto che le grandi multinazionali non sono tendenzialmente interessate a un mercato così frazionato e variegato, cosa del tutto comprensibile, visti gli alti costi diretti e indiretti che si devono sostenere.

D. È quindi possibile parlare di qualità della fragranza?
Risposta: Si deve parlare di qualità delle fragranze! Eurotrading ha fatto una scelta precisa, non solo individuando TechnicoFlor come partner per la loro distribuzione sul mercato italiano, ma anche impostando la commercializzazione delle stesse con un livello qualitativo talmente elevato da essere sovrapponibile a quello degli standard delle più importanti multinazionali.
Infatti Eurotrading si avvale della collaborazione di un senior sales manager di comprovata esperienza e di una valutatrice interna in strettissimo contatto sia con i clienti, sia con i profumieri di TechnicoFlor.
Per noi, il brief con il cliente è fondamentale e molto approfondito per poter fornire la migliore risposta alle esigenze del nostro referente, fin da subito. Questo anche grazie alla nostra library, costantemente aggiornata, di circa 1.500 referenze.
Se poi non fosse sufficiente, le fragranze vengono create ad hoc a Marsiglia.
In tal caso la compilazione del brief viene fatta dalla nostra valutatrice, inserendo le informazioni nel gestionale di TechnicoFlor, in modo che anche tutto il team di lavoro della casa mandante svolga al meglio la propria attività e le informazioni siano velocemente condivise.
Come ultima cosa, ma non per importanza, almeno due volte all’anno Eurotrading organizza per tutta la forza vendita, e non solo, corsi specifici, sia per migliorare l’educazione olfattiva, sia per essere al passo con le ultime novità italiane e mondiali della profumeria alcolica. I corsi sono tenuti da società altamente professionali e specializzate esclusivamente nell’area fragranze. Con test finali per misurare le performance di tutti.
Nel corso degli anni siamo riusciti a far conoscere le nostre proposte olfattive in diversi settori, dalla cosmetica, all’alta profumeria, ma anche nella detergenza e nel settore industriale.

D. Come si pone TechnicoFlor nei confronti della forte richiesta di prodotti naturali?
Risposta: Anni fa, quando nessuno ancora ci credeva, Francois Sabater decise di dedicare un profumiere alla creazione e allo sviluppo di fragranze completamente naturali. Da qui, è nata una linea completamente naturale denominata Natflor®.
Le fragranze Natflor® sono molto competitive e innovative, in grado di rispondere alle sempre più numerose richieste di sviluppo prodotti in linea con i disciplinari COSMOS e NATRUE.

D. Progetti per il futuro?
Risposta: Mettere a disposizione dei nostri clienti dei corsi specifici per ampliare la loro conoscenza di questo mondo particolare e spesso trascurato.
Consolidare sempre di più la presenza di TechnicoFlor nel mercato italiano tramite Eurotrading, con l’ambizione di raddoppiare il fatturato nel 2020, nonchè di aumentare le persone dedicate alla divisione, sia come valutatori interni che come venditori.

Schermata 2017-11-22 alle 11.23.20

Sinerga

Schermata 2017-11-22 alle 10.50.56

D. Quali sono i tratti distintivi di Sinerga?
Risposta: La nostra filosofia si basa sull’attenzione al cliente, con cui instauriamo relazioni personali basate sulla fiducia e sulla professionalità, e facciamo di personalizzazione, flessibilità e proattività i concetti guida del nostro operato, per rispondere a qualsiasi tipo di esigenza e anticipare il più possibile le richieste del mercato.

D. Come riesce Sinerga, un’azienda familiare, a rimanere competitiva nel tempo sul mercato internazionale?
Risposta: Abbiamo fatto del nostro essere una family company e del Made in Italy un punto di forza, prendendo spunto da valori quali l’attenzione al cliente e la passione per esportarli a livello internazionale. Siamo infatti presenti in oltre 35 paesi con una rete capillare: grazie alle nostre filiali estere (in Francia, Asia e America) e al network di prestigiosi partner, siamo costantemente aggiornati sulle novità in tutti i più importanti mercati, rimanendo così più vicini ai nostri clienti per offrire un servizio completo e di qualità.

D. Quali sono i driver di sviluppo?
Risposta: Da un lato, l’impegno per il raggiungimento dei più elevati standard qualitativi e dall’altro, l’investimento costante nella specializzazione tecnico-scientifica. Il continuo miglioramento dei nostri standard è testimoniato dalle certificazioni che abbiamo raggiunto nel corso degli anni; oltre alle consolidate ISO 22716 Good Manufacturing Practices (GMP) per i cosmetici e  alla ISO 13485:2012 Quality Management systems per la produzione di Medical Devices, proprio nel 2017 ci sono state conferiti e confermati diversi attestati, quali la certificazione per la Valutazione della Salute e Sicurezza sul lavoro OSHAS 18001 e la Certificazione ISO14001 per il rispetto dell’ambiente, attualizzata secondo gli standard previsti dalla revisione del 2015. Abbiamo inoltre deciso di aderire ai sistemi Ecovadis, raggiungendo il grado Silver rating, un importante passo in avanti per controllare e migliorare il nostro impatto ambientale.

D. Cosa vuol dire Ricerca & Sviluppo per Sinerga?
Risposta: Da sempre l’attività di Ricerca e Sviluppo rappresenta per Sinerga il motore propulsore per lo sviluppo e la competitività aziendale: abbiamo creato un team pluridisciplinare di ricercatori dalle elevate competenze, specializzati in biotecnologie, chimica, farmacia e marketing.
Oggi abbiamo scelto di arricchire ulteriormente il nostro Know how grazie alla collaborazione con un prestigioso Board scientifico composto da rinomati consulenti del settore. Grazie a questo impegno continuo, siamo oggi un importante punto di riferimento per lo sviluppo di dermocosmetici, medical devices di classe I, IIA, IIB, III e ingredienti cosmetici.

D. Da dove proviene l’innovazione in Sinerga?
Risposta: Per la ricerca e lo sviluppo di prodotti innovativi consideriamo un duplice approccio: scientifico e orientato al mercato. Abbiamo da poco adottato un nuovo modello di Ricerca & Sviluppo di materie prime fortemente innovativo e tecnologico, di stampo farmaceutico: il Molecular Lab.

D. In cosa consiste il Molecular Lab?
Risposta: Questo Laboratorio di ricerca di Biologia Molecolare, ha il compito di studiare le dinamiche molecolari e la loro interazione con i target primari della pelle, per identificare affinità e attività inesplorate e individuare ingredienti altamente caratterizzati o puri che garantiscono un’azione ancora più mirata ed efficace.

D. Continua l’attività del Trends Lab?Schermata 2017-11-22 alle 10.51.34
Risposta: Sinerga Trends Lab, il nostro laboratorio di tendenza, è ciò che ci differenzia in modo netto dalle altre aziende B2B del settore; nato nel 2012 e sempre in evoluzione, il suo compito è quello di studiare i comportamenti del consumatore, così da anticipare i suoi bisogni e le richieste del mercato finale. Conoscere e anticipare questi bisogni è infatti per noi fondamentale, in quanto ci permette di creare nuove formulazioni e ingredienti cosmetici altamente competitivi e all’avanguardia.
L’approccio più utilizzato dalle aziende B2B solitamente parte dallo sviluppo del prodotto e solo in seguito stabilisce le modalità per offrirlo alle aziende a cui può interessare. Noi invece operiamo in modo esattamente opposto, con un approccio totalmente “market oriented”: partiamo dal consumatore per capire le sue necessità, i suoi bisogni, per essere più confidenti che ciò che svilupperemo sia ciò che effettivamente incontrerà i gusti e i desideri degli acquirenti.

D. Cosa rende Sinerga un partner unico per le aziende dermocosmetiche?
Risposta: La multi disciplinarietà dei nostri collaboratori e la presenza di 4 diverse divisioni all’interno del nostro innovativo stabilimento (produzione di ingredienti cosmetici, laboratorio di ricerca & sviluppo, conto terzi e supporto marketing) ci permettono di offrire una gamma completa di servizi e soluzioni all’industria cosmetica e dermocosmetica.  Sinerga propone un approccio full service che copre, con i più elevati standard qualitativi, tutte le fasi di sviluppo del prodotto, dall’ideazione del concept fino al lancio sul mercato. Grazie alla sinergia tra le diverse divisioni siamo in grado di proporre idee e progetti originali, mettendo a disposizione la nostra ampia conoscenza del mercato, delle materie prime e delle ultime novità in termini di ricerca e tecnica cosmetica.

D. Sinerga conferma la presenza a Making Cosmetics & Formula Cosmetics: quali saranno le novità di questa edizione?
Risposta: Durante la manifestazione presenteremo le novità e gli ultimi sviluppi in termini di prodotti e servizi per l’industria dermo-farmaceutica. Inoltre, dopo il successo dello scorso anno abbiamo rinnovato l’appuntamento con il Live Lab, un’occasione unica per assistere in diretta allo sviluppo di preparazioni cosmetiche in un vero e proprio laboratorio ricreato all’interno della manifestazione: quest’anno il nostro team di esperti ricercatori si propone di trovare una risposta alle domande più frequenti che il formulatore di prodotti cosmetici si trova ad affrontare, condividendo il nostro expertise nello sviluppo di prodotti finiti in linea con le ultime tendenze di mercato.

Schermata 2017-11-22 alle 10.51.43

Datacheck e l’informatica per l’assicurazione della Qualità

Schermata 2017-11-21 alle 12.52.47

D. Ci presenti la Datacheck
Risposta: Siamo una piccola realtà informatica ma con un’elevata specializzazione, abbiamo superato con successo le numerose evoluzioni tecnologiche informatiche che si sono succedute in tre decenni; un traguardo molto significativo per una società di software.
Le nostre soluzioni non solo gestiscono completamente tutti i processi dei laboratori, ma garantiscono alle organizzazioni di operare in conformità alle numerose normative nazionali, europee ed internazionali.
Sono competenze molto particolari ed in continua evoluzione, che si possono trovare in società di consulenza specializzate, ma che Datacheck ha da sempre al suo interno.
Sviluppiamo software ed abbiamo un team di consulenti specializzati che seguono il progetto di implementazione, portando al Cliente finale tutta la nostra esperienza del settore.

D. Da quanto lavorate nel settore cosmetico e quale è stata la motivazione principale?
Risposta: Abbiamo Clienti produttori di cosmetici da parecchi anni, che usano le nostre soluzioni nei loro laboratori di Controllo della Qualità, ma l’applicazione del Regolamento CE 1223/2009 e la normativa GMP ISO 22716 hanno spinto le aziende del settore cosmetico a dotarsi di supporti informatici specializzati, ed in collaborazione con un nostro importante cliente, abbiamo ampliato la nostra soluzione con nuove funzionalità dedicate allo sviluppo formulativo (database Cosing, restrizioni, vincoli di impiego, metodi di lavorazione, stabilità), alla valutazione della sicurezza (calcolo SED e MOS) ed alla produzione del PIF per prodotti cosmetici in più lingue e formati.
Tutte le nostre soluzioni sono sviluppate in collaborazione con i nostri clienti e quindi analizzate e verificate sul campo, nei vari ambiti gestionali, dalla ricerca e sviluppo, alla produzione del prodotto finito e sono facilmente integrabili a qualsiasi soluzione ERP aziendale. Le affinità del settore cosmetico con il settore farmaceutico sono moltissime, e anche le attuali normative stanno andando verso quelle del farmaceutico, che da sempre è il settore più normato e controllato.
Come per il farmaceutico, anche per la cosmesi la qualità dei prodotti è legata alla salute del consumatore.

D. Quali evoluzioni nel prossimo futuro?
Risposta: Il prossimo futuro vedrà l’inserimento nelle nostre soluzioni delle tecnologie ormai presenti nella nostra vita quotidiana: utilizzo di device mobili e dati in cloud.
L’evoluzione tecnologica è per noi una componente importante, al pari del continuo miglioramento delle funzionalità, per far sì che il lavoro degli addetti al controllo qualità ed alla ricerca, sia il più semplice e controllato possibile, prevenendo errori ed aumentandone la qualità, riducendo considerevolmente il time-to-market dei nuovi prodotti.
Anche il tema “Innovazione 4.0” è alla nostra attenzione e sono allo studio le attività necessarie per far comprendere in questo ambito anche le nostre soluzioni.

Schermata 2017-11-21 alle 12.53.02

Risponde Gian Carlo Cavalli, Sales & Marketing Manager

D. Il settore cosmetico come recepisce l’innovazione informatica?Schermata 2017-11-21 alle 12.53.16
Risposta: Il settore cosmetico italiano è composto da tante piccole e medie imprese, spesso produttori per conto terzi, ma anche da aziende che con il notevole sviluppo del mercato degli ultimi anni sono diventate medio-grandi organizzazioni. Proprio queste imprese si sono ritrovate con sistemi non adeguati alle necessità che la dimensione ed il mercato impongono, e proprio in questi anni molti nostri clienti stanno sostituendo i loro sistemi gestionali. Il controllo qualità e la ricerca e sviluppo sono reparti spesso gestiti con bassa tecnologia e molta attività manuale. L’inserimento di sistemi compartimentali specializzati come il LIMS o il Dispensing, in contemporanea ai nuovi gestionali è un’occasione unica, che permette all’impresa di affrontare con tranquillità e sicurezza il business e la conformità alle normative.
Le piccole-medie imprese cosmetiche hanno più difficoltà ad investire in strumenti informatici specializzati, perchè spesso mancanti di strutture ed esperienze informatiche. Sono però ora “spinti” dall’applicazione delle normative e dalle richieste di maggior qualità dalle aziende committenti.
Le nostre soluzioni sono operative sia presso le più importanti aziende italiane della cosmesi, ma anche presso piccoli laboratori con un solo utente, grazie alla elevata configurabilità e a progetti di implementazione step-by-step.

D. Come Datacheck risponde alle esigenze ad elevata variabilità dei produttori di cosmetici?
Risposta: A differenza del settore farmaceutico dove la produzione di nuovi prodotti ha un ciclo lungo e complesso, il settore cosmetico lancia senza sosta nuovi prodotti, per seguire la moda o per l’applicazione di nuove sostanze e metodi applicativi.
Il numero delle informazioni da gestire è sempre più elevato e variabile e non può più essere gestito da documenti cartacei o con strumenti di office automation.
Datacheck permette alle imprese del settore cosmetico di gestire in tranquillità tutte le esigenze dovute alla numerosità dei prodotti e dei loro confezionamenti, alle varianti produttive: creme, lozioni, profumi, make up, ecc., sia per il consumatore finale che per il mercato professionale.
La nostra politica di evoluzione delle soluzioni è da sempre quella di recepire tutte le tipologie ed esigenze del settore ed inserirle nelle nostre soluzioni standard, eliminando completamente il problema delle “personalizzazioni”.
La nostra esperienza e la specializzazione delle nostre soluzioni sono gli elementi principali che offriamo ai nostri clienti, che devono gestire e ottenere più qualità.

Schermata 2017-11-21 alle 12.54.17

Tepezcohuite, l’albero della pelle

Schermata 2017-11-09 alle 14.35.22

Schermata 2017-11-09 alle 14.35.12Il genere Mimosa appartiene alla grande famiglia delle Leguminosae e include quasi 500 specie, di cui la maggior parte d’origine americana. Le mimose possono essere molto variabili nell’aspetto, da piccole piante striscianti quali la graziosa M. pudica, nota per le foglie che si chiudono velocemente quando toccate, sino ad alberi di notevoli dimensioni. Una specie apparentemente insignificante – un alberello o arbusto spinoso alto 2-5 m – da tre secoli è diventata protagonista di un’avvincente storia sociale-religiosa in Brasile, e negli ultimi 40 anni ha visto acquisire importanza fitoterapica in Messico, sino a raggiungere la ribalta medica internazionale. Si tratta di Mimosa tenuiflora (Will.) Poiret. Nota con il nome popolare di tepezcouhite in Messico e di jurema in Brasile; sino a non molto tempo fa botanicamente era conosciuta come M. hostilis (C. Marth.) Benth., considerato ora un suo sinonimo.

Un fatto curioso, e anche un poco enigmatico, riguarda la considerazione che il tepezcohuite non sembra essere stato noto fra gli Aztechi, i Maya e le altre popolazioni preispaniche, e non è riconosciuto nemmeno un suo impiego medicinale fra le etnie che vivono nell’area messicana di crescita dell’albero o nelle sue vicinanze, quali Zoque, Mixe, Popoloca, Huave e Zapotechi. Il suo utilizzo terapeutico sembra essere stato promosso in tempi recenti da parte di gruppi mestizo, e la fama delle sue “miracolose” proprietà nelle lesioni dermiche ha raggiunto oggigiorno l’intera popolazione messicana e mondiale (1). A tutt’oggi restano dunque enigmatiche le origini della scoperta delle sue proprietà medicinali; origini che sembrano comunque piuttosto recenti, e che testimoniano la continuità di un vivace potenziale di ricerca e osservazione popolare della natura.

Le proprietà curative del tepezcohuite nelle ustioni acquisirono notorietà internazionale in seguito a una serie di eventi catastrofici verificatisi in Messico negli anni ‘80, fra cui l’eruzione del vulcano Chichonal nel 1982, l’incidente industriale di San Juan Ixhuatepec nel 1984, un terremoto del 1985, e un grave incidente aereo nel 1986. Questi incidenti generarono un grande numero di ustionati, che furono trattati positivamente con applicazioni topiche della corteccia di tepezcouhite. Il disastro di San Juan Ixhuatepec, un paesino vicino a Città del Messico, rappresentò una delle più gravi catastrofi industriali del pianeta, quando 54 giganteschi contenitori di gas naturale liquido scoppiarono uno a uno nel corso di una notte, incenerendo letteralmente il vicino paesino e diverse centinaia di persone, e lasciando sul campo oltre 5000 feriti che riportarono gravi ustioni su tutto il corpo.

Schermata 2017-11-09 alle 14.35.34M. tenuiflora è specie prettamente tropicale, diffusa in diverse aree dell’America Latina: cresce in Messico (stati di Oaxaca e Chiapas), nell’America Centrale (El Salvador, Honduras, Nicaragua, Panama), e nell’America Meridionale (Colombia, Venezuela, Brasile) (2).

L’etimologia del termine messicano tepezcohuite – altrimenti noto come tepescahuite, tepescohuite e tepesquehuite – è incerta. È sicuramente di derivazione nahuatl, la lingua uto-azteca più diffusa nel Messico centrale, e la seconda parte della parola significa “albero” (cuahuitl). L’incertezza risiede nella traduzione della prima parte, variamente interpretata dagli studiosi come “monte” (tepetl), “pelle” (tepex) o ferro (da tepustli), offrendo quindi la rosa interpretativa di “albero del monte”, “albero della pelle” o “albero di ferro”, dove quest’ultima traduzione alluderebbe alla durezza del suo legno (3). Tuttavia, dato che l’albero del tepezcohuite non è prettamente montano, potendo crescere dal livello del mare sino ai 760 m di altitudine, verrebbe da escludere la prima interpretazione come “albero del monte”, e per via delle sue proprietà rigenerative della pelle, la traduzione più plausibile parrebbe essere quella di “albero della pelle”. Nelle altre regioni americane della sua presenza, questa mimosa è chiamata carbón, carbonal, cabrera, cabrero, carbón negro, mentre in Brasile è nota come calumbi, jurema preta o semplicemente jurema. Come vedremo, il principale impiego brasiliano di questa pianta è di tutt’altra natura, e si basa su una proprietà particolare della sua corteccia, quella di indurre stati psichici visionari.

Usi tradizionali e commerciali

Come detto, l’impiego del tepezcohuite nelle ustioni e altre patologie cutanee è originario di una ristretta area del Messico. Fra le popolazioni tradizionali sudamericane si stanno attualmente registrando impieghi simili, ma non è chiaro se ciò sia frutto di contaminazioni culturali recenti, dovute alla diffusione della notorietà di questo albero proveniente dal Messico o, più probabilmente, di rimbalzo dalla globalizzata cultura occidentale. Le popolazioni della caatinga (un particolare ambiente ecologico semi-arido del Brasile nord-orientale, dove crescono gli alberi della jurema) impiegano da tempi “pre-messicani” la loro jurema per scopi medicinali, ed è pressoché sempre la corteccia la parte ricercata. Nella regione di Pernambuco la polvere di corteccia di M. tenuiflora viene disciolta in acqua fredda, oppure ne viene fatto un infuso caldo, e assunta in tal modo per os nel trattamento delle disfunzioni epatiche, dell’anemia e delle appendiciti (4). Nello stato brasiliano di Ceará (Milagres) la corteccia è impiegata in infusione per il dolore ai denti, e come bagno nelle ferite esterne (5). Nello stato di Bahia (Palmeiras) la corteccia è impiegata nel trattamento dei raffreddori e delle ferite (6). Pure nei culti afro-brasiliani la jurema è impiegata come medicinale, per curare le infezioni e le infiammazioni, e nella caatinga è usata per alleviare la fatica e rinforzare l’utero (7). Oltre che per le proprietà medicinali e per quelle visionarie, M. tenuiflora trova impieghi utilitaristici e manifatturieri. Il legno del tronco è usato come legna o come carbone da ardere sia in Messico che in Brasile, mentre la corteccia, ricca in tannini, è usata come colorante per i tessuti (8) e per produrre un adesivo (9). In Messico, nell’impiego popolare viene preparato principalmente un decotto di tepezcohuite, mescolando la corteccia polverizzata con acqua e bollendo sino a ottenere un’elevata concentrazione. Con il prodotto così ottenuto si bagnano delle bende da apporre sulle aree della pelle ferite. Il medesimo decotto viene impiegato come gargarismo nei casi di escoriazioni interne di bocca, palato, gengive, ed è assunto oralmente contro i parassiti o altri problemi gastrointestinali (10). Nel corso di un nostro recente viaggio nello Yucatan, in Messico, e a seguito di colloqui intrattenuti con alcuni venditori di prodotti a base di tepezcohuite, abbiamo ricevuto la conferma che nell’impiego popolare la polvere della corteccia è impiegata anche nella sua forma naturale, sia applicata topicamente che ingerita, senza passare dal decotto. Per quanto riguarda i moderni usi commerciali, la corteccia di tepezcohuite viene impiegata in un’estesa varietà di formulazioni, e nei prodotti commerciali sono fornite le seguenti indicazioni:

• polvere della corteccia, indicata nelle bruciature di secondo e terzo grado, parrebbe favorire la cicatrizzazione e alleviare il dolore (tuttavia, è stato osservato che nelle ustioni severe, di terzo grado, il contatto della polvere con i tessuti danneggiati forma una crosta impermeabile dovuta alla presenza nella corteccia di gomme, cristalli e tannini, che impedisce l’ossigenazione tessutale necessaria per la cicatrizzazione).
sapone, in tutti i tipi di dermatosi, acne, macchie, rughe, smagliature da gravidanza.
pomata, in varie lesioni cutanee: ustioni lievi, affezioni varie della pelle, macchie, funghi e negli herpes simplex e zoster.
estratto, in allergie, eczemi, cicatrici e come vasotonico.
capsule (per os), in iperacidità, gastriti, ulcera peptica e duodenale, coliti, emorroidi e (perfino) emicranie.
talco, sulle ferite, in reazioni allergiche, eruzioni e atrofie cutanee.
shampoo, fortifica il cuoio capelluto, riduce la forfora e la caduta del capello.
gomme da masticare, contro acidità gastrica, emicrania, mal di denti e infezioni alla bocca.
crema umettante, rigenera la pelle e attenua le linee d’espressione.
crema con collagene, rigenera la pelle, riduce le macchie e rallenta la formazione delle rughe (11).

Nello Yucatan abbiamo trovato in commercio anche saponi a base di foglie e non di corteccia di tepezcohuite, oltre a preparati in collirio:

collirio, in secchezza, arrossamenti, bruciori, congiuntiviti, “nubi”, cataratta, miopia.

L’area di raccolta su larga scala del tepezcohuite è incentrata nello stato messicano del Chiapas; una raccolta intensiva che sta rischiando di impoverire se non addirittura estinguere le stazioni di crescita.

L’elevata richiesta da tutto il mondo sta ponendo anche un problema di qualità del prodotto, presentandosi casi di contraffazioni mediante adulteranti, fra cui sono state individuate cortecce di altre Leguminose (Mimosa arenosa, Acacia pennatula), di Byrsonima crassifolia (Malpighiaceae), Luehea candida (Tiliaceae) e Guazuma ulmifolia (Sterculiaceae) (12).

Il tepezcouhite è presente nel commercio erboristico italiano, sebbene non sembra sia ancora molto diffuso.

Molti erboristi lo conoscono, ma solo alcuni lo rendono disponibile nei negozi, con prodotti di case erboristiche principalmente italiane, sia in forma di pomate che di polvere fina della corteccia, entrambe in applicazione rigorosamente topica; alcune ditte preparano anche estratti acquosi e alcolici, sempre per applicazioni topiche.

Le pomate vengono consigliate per problemi dermatologici quali escoriazioni, arrossamenti, foruncoli, mentre la polvere è suggerita nel caso di bruciature, tagli, arrossamento da pannolino e v’è chi suggerisce la psoriasi (in quest’ultimo caso con un trattamento di lunga durata).

Schermata 2017-11-09 alle 14.35.55Aspetti biochimici

La corteccia di M. tenuiflora produce un cospicuo insieme di principi attivi, e ciascuna tipologia ha evidenziato specifiche proprietà farmacologiche e terapeutiche.

Dalla corteccia di campioni messicani sono state isolate tre saponine triterpenoidi, nominate mimonosidi A-C (13), tre saponine steroidi, alcuni steroli, fra cui lupeolo, campesterolo e stigmasterolo (14), oltre a elevate concentrazioni di tannini, che possono superare la concentrazione del 16% (15).

In cortecce di campioni messicani sono stati isolati dei polisaccaridi denominati arabinogalattani (16), mentre nelle foglie e nella corteccia di campioni brasiliani sono stati individuati dei flavoni, fra cui la sakuranetina (17). Ancora, dai rami piccoli di piante  del Chiapas sono stati identificati due calconi, nominati kukulkanine A e B (18).

Per quanto riguarda gli alcaloidi, M. tenuiflora e alcune altre congeneri producono dei derivati triptaminici dotati di potenti proprietà allucinogene, e di cui il principale è il DMT (dimetiltriptamina). La corteccia dei campioni brasiliani può raggiungere e superare concentrazioni dell’1% del peso secco; considerando che un dosaggio medio di DMT per l’uomo adulto è fra i 30 e i 50 mg, si tratta di concentrazioni elevate (19).

I campioni messicani sembrerebbero produrre concentrazioni inferiori di alcaloidi, non essendo state per ora registrate concentrazioni superiori allo 0,35% del peso secco, con la massima concentrazione nel periodo estivo (gennaio) e la minima in quello invernale (giugno). Con lo scopo di evitare il più possibile il rischio di assorbimento dermico del DMT nel contesto del trattamento delle affezioni dermiche, per scopi commerciali viene quindi preferita la raccolta della corteccia durante il periodo invernale (20).

La maggiore concentrazione di DMT è stata per ora ritrovata nella corteccia di M. ophthalmocentra, raggiungendo l’1,6% del peso secco, una quantità davvero eccezionale, e che fa di questa pianta l’essere vivente che ne produce di più in assoluto. Anche questa specie è impiegata nei riti brasiliani della jurema sotto il nome di jurema vermhela (21).

Schermata 2017-11-09 alle 14.36.18Proprietà farmacologiche

Come si è visto, le principali indicazioni mediche dei preparati derivati dalla corteccia di tepezcohuite comprendono il trattamento di ferite cutanee, ulcerazioni, e ustioni.  Dati clinici provenienti da studi messicani e internazionali, tra cui uno italiano, hanno confermato l’efficacia di questa terapia.

I tannini della corteccia di tepezcohuite sembrano ricoprire un ruolo importante nel meccanismo di guarigione, dato che possiedono proprietà antimicrobiche, evidenziate in studi in vitro, contro un ampio gruppo di microorganismi Gram-positivi e negativi, lieviti e dermatofiti. Lo spettro antimicrobico si estende dall’inibizione della crescita di Gram positivi (Staphylococcus aureus), a Gram negativi (Escherichia coli e Pseudomonas aeruginosa) e funghi (Candida albicans). La maggiore attività riscontrata nei confronti dei Gram+ rispetto ai Gram–  è dovuta probabilmente ai gruppi fenolici presenti nella corteccia, che riescono a penetrare con difficoltà la barriera dei Gram– costituita dal lipopolisaccaride batterico (22). Estratti etanolici di corteccia di M. tenuiflora hanno evidenziato una significativa attività contro ceppi farmaco-resistenti di S. aureus isolati in un ospedale brasiliano, e con tempi di reazione molto brevi, con una riduzione del 99,9% delle cellule microbiche dopo solo 30 minuti dall’applicazione (23). Gli estratti di corteccia di tepezcohuite sono positivamente impiegati nel trattamento delle ulcerazioni venose degli arti inferiori (VLU). Queste ulcere colpiscono circa l’1% degli adulti durante il corso della vita, e sono dovute a un’insufficienza vascolare la cui cronicizzazione comporta un aumento della pressione nelle vene delle gambe e l’induzione di una cascata deleteria di determinati eventi metabolici. I trattamenti moderni prevedono lavaggi e sbrigliamenti quotidiani della ferita congiuntamente all’impiego di antibiotici topici e di bendaggi compressivi; tuttavia, in numerosi casi questi trattamenti sono inefficaci, e le ulcerazioni persistono per mesi o anni, causando dolore cronico e disabilità.

L’efficacia del tepezcohuite nel trattamento delle ulcerazioni venose agli arti inferiori è stata esaminata da gruppi di ricerca messicani: in un primo studio è stata valutata la risposta di pazienti affetti da diversi anni (8-9 in media) da questa patologia, non responsivi ad altri rimedi e procedure. Il trattamento consisteva nell’applicazione di un idrogel a base di un estratto di corteccia di tepezcohuite. La risposta è stata poi confrontata con quella del  gruppo di controllo, trattato con lo stesso idrogel, ma privo degli estratti (placebo). Nel follow-up a tredici settimane si è riscontrata risposta positiva nel 92% dei pazienti del gruppo, rispetto ad un solo paziente del gruppo di controllo.

Gli effetti cicatrizzanti sono stati osservati sin dalle prime settimane di trattamento, e la completa cicatrizzazione ha richiesto tempi differenti a seconda della grandezza dell’area dell’ulcera. Nessun paziente ha riscontrato effetti collaterali (24).

Una risposta critica a questo studio è stata successivamente prodotta dal gruppo di Lammoglia-Ordiales, in cui vengono analizzati nuovamente gli effetti degli estratti di mimosa sul trattamento delle VLU, utilizzando criteri di valutazione più selettivi. Secondo gli autori, non ci sarebbero differenze statisticamente significative nei risultati ottenuti con i due tipi di trattamento – idrogel con estratti di mimosa rispetto al solo idrogel – nell’evoluzione clinica della ferita, sebbene l’istologia mostri una riduzione dell’infiltrato di neutrofili nella ferita, caratteristica che depone per gli effetti anti-infiammatori degli estratti. Questo quadro istopatologico non ha trovato riscontri clinici sull’evoluzione della ferita (25). Resta quindi da confermare, su campioni di pazienti più ampi, l’efficacia del tepezcohuite nel trattamento delle ulcere venose agli arti inferiori.

Schermata 2017-11-09 alle 14.36.36Anche in Italia è stato sviluppato uno studio clinico con il tepezcohuite, con risultati molto promettenti. L’indagine è stata condotta presso la Clinica Ostetrica e Ginecologica di Ortona su un campione di 65 donne in allattamento affette da ragadi del capezzolo. Sulle aree coinvolte dalle ragadi è stata applicata una pomata a base di M. tenuiflora e Calendula officinalis, integrate con vitamine A ed E. La calendula esplica un’azione sinergica con quella del tepezcohuite, per via del suo contenuto di esteri triterpendiolici, che hanno riconosciute proprietà anti-infiammatorie e di riduzione degli edemi, favoriscono la rigenerazione epiteliale, oltre ad avere proprietà antibatteriche e antiossidanti. La vitamina A è un regolatore epiteliare che stimola le cellule basali nella produzione di muco, mentre la vitamina E ha significative proprietà antiossidanti, ed entrambe le vitamine contrastano il danno indotto dai radicali liberi e aiutano a mantenere il trofismo fisiologico della cute. In seguito a 6-7 applicazioni giornaliere della crema (dopo ogni poppata), è stata osservata una risoluzione delle ragadi sanguinanti nel 95,6% dei casi entro le 48-72 ore, una riduzione di fissurazioni ed eritemi fino a scomparsa totale nell’89-93% dei casi, e un miglioramento dell’elasticità del capezzolo nell’81,5% dei casi. La scarsità di benefici è stata riscontrata in sole 2 donne su 65. Con questi risultati non è stato necessario interrompere l’allattamento, evento che si verifica di frequente in seguito alla comparsa delle ragadi mammarie (26).

Un’altra indagine clinica è stata condotta più recentemente in Francia su 56 pazienti affetti da ulcere diabetiche, da insufficienza venosa e da decubito, ai quali è stato applicato topicamente l’estratto tanninico della corteccia di tepezcohuite da solo o in combinazione con l’estratto tanninico delle parti aeree di Alchemilla vulgaris, quest’ultima dotata di proprietà cicatrizzanti e impiegata tradizionalmente nel trattamento delle vene varicose. Dopo sei settimane di trattamento è stata evidenziata una riduzione del 98% della superficie ulcerosa rispetto al 33% del gruppo di controllo, e una riduzione del volume della ferita del 94% rispetto al 30% del gruppo di controllo. I risultati più positivi sono stati ottenuti con la combinazione, evidentemente sinergica, degli estratti delle due piante. Sono state osservate anche riduzioni dell’essudato della ferita e del dolore. Le proprietà terapeutiche sulle ulcere sarebbero dovute ai tannini presenti in entrambe le piante, in particolare alle procianidine, che neutralizzerebbero l’attività di certi enzimi coinvolti nella degradazione della matrice extracellulare, favorendo quindi la crescita dei fibroblasti (27).

In questi ultimi anni è stato elaborato in laboratorio un composto a base di chitosano e tepezcohuite per applicazioni di ingegneria tessutale (28). Il chitosano è un polimero biodegradabile, derivato dalla chitina, che possiede proprietà cicatrizzanti, emostatiche e batteriostatiche. Le proprietà antimicrobiche sono dovute alla sua natura cationica e, grazie alle caratteristiche di biocompatibilità, biodegradabilità e permeabilità, è utilizzato come sistema di rilascio di farmaci all’interno di tessuti biologici. È stato osservato come la presenza di M. tenuiflora modifichi la superficie dei biofilm di chitosano, migliorandone la stabilità termica, la permeabilità, e l’attività antibatterica, senza evidenziare citotossicità. La maggiore idrofilia comporta un’aumentata capacità del biofilm di assorbire l’eccesso di essudato dalla ferita, previene la disidratazione, promuove gli scambi gassosi tessutali, favorisce la rigenerazione delle cellule morte, protegge la ferita dalle infezioni batteriche. La citotossicità del biofilm combinato (chitosano/mimosa) è risultata significativamente ridotta rispetto a quella dei biofilm presi singolarmente (29).

La medesima combinazione di chitosano e tepezcohuite, nel rapporto ottimale di 80:20, ha evidenziato promettenti proprietà osteogeniche applicabili alla bioingegneria tissutale ossea, essendo dotato di una buona osteoconduttività e promuovendo la proliferazione e differenziazione degli osteoblasti (30).

Parrebbe contribuire all’effetto curativo degli estratti acquosi del tepezcohuite anche una componente polisaccaridica, identificata a elevate concentrazioni nella corteccia e dotata di spiccati effetti stimolanti la crescita cellulare e la proliferazione di fibroblasti cutanei e dei cheratinociti, indice di un impatto positivo di certi carboidrati sulla rigenerazione in seguito a lesioni cellulari. La stimolazione in vitro dei fibroblasti dermici da parte di questi polisaccaridi – arabinogalattani – è stata evidenziata mediante la quantificazione dell’attività mitocondriale, l’indice di proliferazione cellulare e l’espressione genica (31). I medesimi estratti polisaccaridici hanno evidenziato in laboratorio un’attività stimolante la risposta infiammatoria di tipo acuto, attraverso il coinvolgimento dell’ossido nitrico, richiamando l’attenzione sul un loro eventuale effetto immunomodulante (32). Ancora, l’estratto etanolico e i flavoni della corteccia, di cui il principale è la sakuranetina, hanno evidenziato elevate attività antinocicettive periferiche e anti-infiammatorie (33), e studi in vitro hanno mostrato come le saponine triterpenoidi (mimonosidi A-C) inducano la proliferazione cellulare e possiedano capacità immuno-modulanti (34). Una proprietà che resta ancora a un livello aneddotico, pur solido, riguarda un’attività analgesica della durata di 2-3 ore riscontrata sulle bruciature con l’applicazione topica di tepezcohuite (35).

Recenti studi di laboratorio hanno evidenziato un’altra interessante proprietà degli estratti acquosi di M. tenuiflora, utili nel trattamento dell’avvelenamento da puntura di scorpione, sebbene non sia nota questa applicazione nel contesto tradizionale, né messicano né brasiliano. Come reazione patologica che fa seguito a questo tipo di avvelenamento, il corpo produce diverse citochine pro- e anti-infiammatorie, fra cui interleuchine che, pur essendo essenziali per la riparazione della struttura e della funzione del tessuto cellulare, possono contribuire all’aggravamento del danno tissutale; un’ulteriore conseguenza indotta dal veleno risiede nello sviluppo di una peritonite indotta dalla migrazione di cellule verso la cavità peritoneale. Il meccanismo d’azione di M. tenuiflora si baserebbe su una significativa inibizione di tale migrazione cellulare nella cavità peritoneale, e su una contemporanea riduzione delle concentrazioni delle interleuchine (36).

Un dato curioso: in esperimenti di laboratorio, colture cellulari di tepezcohuite sono state trapiantate in tessuto animale, sopravvivendovi oltre 120 giorni; primo caso di trapianto “inter-regni” (37).

La Jurema del Brasile

M. tenuiflora, insieme ad alcune altre congeneri, è impiegata come fonte visionaria in un insieme di riti riuniti sotto il termine di “culto della Jurema”, e anche in questo caso la parte impiegata è la corteccia dell’albero. Questo culto è originato nell’area nord-est del Brasile, presso un gruppo di etnie distribuite principalmente negli stati di Pernambuco, Alagoas, Bahia, fra cui si annoveravano i Pancararú, Tusha, Guegue e Pimenteira. Non disponiamo di dati che possano indicare quanto antico sia questo culto, e le prime documentazioni della sua esistenza sono presenti nei documenti inquisitoriali del XVIII secolo (38).

Nel XX secolo è stato erroneamente riferito da diversi studiosi che il culto della Jurema si estinse presumibilmente durante il XIX secolo. La pressione inquisitoriale di stampo portoghese non riuscì a estinguerlo del tutto, e fu tramandato segretamente da parte di limitati gruppi nativi. In un periodo che va dalla fine del XVII secolo agli inizi del XIX secolo, la conoscenza della bevanda della jurema fu trasmessa dalle popolazioni native a gruppi di schiavi neri che fuggivano in direzione dei quilombo, le comunità rurali in cui trovavano rifugio e protezione. Questi neri di discendenza africana introdussero l’uso della bevanda della jurema nei culti di possessione afro-brasiliani, in particolare nel Candomblé e, più tardi, nell’Umbanda. Questi medesimi culti influenzarono a loro volta i culti nativi della Jurema, i quali acquisirono e integrarono le teologie e le modalità rituali specifiche dei culti di possessione.

Da oltre due secoli il Brasile è sede di un fenomenale crogiolo sperimentale di culti e di pratiche religiose che continuamente si ramificano, si frammentano, si accorpano, si “intersecano”, al punto che in diversi casi risulta difficile determinare i contesti d’origine degli elementi cultuali, rituali e teologici che li compongono; e in una siffatta “matassa cultuale” rientra in pieno la Jurema.

Una caratteristica peculiare del culto della Jurema, in particolare quello dei nativi, è la sua segretezza. Nessun antropologo è mai riuscito a partecipare e nemmeno a farsi descrivere dai nativi cosa avviene nei riti più intimi del culto, e i nativi fanno ben attenzione a non divulgarne i segreti, né agli altri gruppi tribali, né tanto meno ai bianchi. In questo senso il culto della Jurema è a tutti gli effetti un culto misterico, cioè un culto di cui i partecipanti non devono parlare a chi non ne è direttamente partecipe.

Del nucleo più originario del culto, sappiamo che un gruppo di persone di entrambi i generi esegue danze in forma circolare mantenendo una direzione antioraria, il tutto accompagnato da motivi sonori al ritmo delle maracas e dei passi dei ballerini. La bevanda della jurema è collocata al centro dell’ambiente ed è distribuita in determinati momenti della cerimonia, durante la quale si alternano momenti in cui i partecipanti sono seduti in circolo, e altri in cui danzano. Durante lo stato visionario, i partecipanti assumono una particolare postura, con il torso inclinato in avanti e lo sguardo fisso sul terreno. Nei riti ricopre un ruolo importante il fumo del tabacco, che viene “fumato” in apposite pipe in una maniera del tutto particolare, cioè all’incontrario; il payé o altra figura carismatica che conduce il rito soffia dentro a una pipa dalla parte del fornello dove si trova una brace di tabacco accesa, facendo fuoriuscire il fumo dalla parte del bocchino. Questo fumo viene sparso sulla ciotola che contiene la bevanda della jurema, con lo scopo di “attivarla”, e attorno alle persone, per purificarle.

Per quanto riguarda i culti di possessione, questi sono diffusi in gran parte del territorio brasiliano, oltre che nelle Antille, e si diversificano in base a fattori storici e culturali. Come nucleo centrale del rito, hanno in comune il raggiungimento di uno stato fisico-mentale che è chiamato “possessione”, durante il quale degli individui – denominati nel Vudu per lo più “cavalli” – cadono in trance e il loro corpo e la loro voce vengono “usurpati” da entità spirituali – i “cavalieri” – le quali in tal modo si manifestano e comunicano i loro consigli e le loro volontà. Lo stato di trance viene indotto dal suono e dal canto di motivi sonori (linee) che sono specifici di ciascuna entità spirituale. È sufficiente che i musicisti accennino alle prime note di una certa linea, che alcuni partecipanti vanno “fuori di sé”, mettendosi a gesticolare e a parlare in maniera non loro, ma come quella dell’entità che la possiede. È in questo contesto religioso-culturale che la Jurema si è diffusa nei culti afro-brasiliani Catimbó, Candomblé, Umbanda, Xangô, Toré, Maracatu.

Le entità che possiedono i fedeli sono di natura generalmente benigna, o comunque l’interazione rientra utile negli aspetti terapeutici e psico-terapeutici. Nel rito di possessione Catimbó/Jurema, ad esempio, vi sono i Cabloco, entità indigene che curano mediante la conoscenza delle erbe, sono considerati spiriti elevati che lavorano per il bene, ma sono anche molto temuti poiché possono diventare pericolosi quando scagliano contro qualcuno le loro frecce. I Mestre sono anch’essi spiriti che curano, ma di discendenza schiava o meticcia, e sono riconosciuti come persone che durante la vita lavoravano nei campi e avevano conoscenze nel mondo vegetale; ma accadde loro qualcosa di tragico, morirono e tornano ora per apportare il loro aiuto al genere umano (39).

Un elemento rituale caratteristico di diversi culti afro-brasiliani “juremados” (dove si assume la jurema come fonte visionaria) è la pratica di inserire un seme di Mimosa sotto la pelle dei novizi. Uno dei riti del Catimbó, noto come juremação o implantação da semente, consiste nel piantare, magicamente o realmente sotto la pelle del corpo del discepolo un seme dell’albero della jurema. Anche nell’Umbanda viene praticata la oberização, il taglio rituale per l’impianto del seme della jurema, eseguito all’altezza del torace della persona. Quest’operazione serve “per aprire i cammini affinché le entità discendano e possano manifestarsi, ed è la jurema ad aprire i cammini per le varie entità” (40).

Stando allo stato attuale degli studi etnobotanici, le specie coinvolte nel culto della jurema parrebbero essere cinque: la più famosa e quella più utilizzata è jurema preta, M. tenuiflora, il tepezcohuite dei messicani; seguono M. verrucosa Benth. (jurema branca o jurema mansa), M. ophthalmocentra Mart. ex Benth. (jurema vermhela, “rossa”, o jurema-de-embira), M. acutistipula Benth. (jurema branca jurema preta e jureminha), e M. arenosa (Willd.) Poir. (jurema preta e jureminha).

I nativi usano l’una o l’altra di queste specie a seconda dell’etnia o dei diversificati simbolismi religiosi associati a questi alberi. Fra i Kariri-Shoko viene usata la jurema branca o quella vermelha, e non viene mai usata la jurema preta, perché ritengono che endoida (“fa impazzire”); “la preta ha una forza non comune, la gente la teme come pericolosa. Non si controlla. Può perfino portare alla distruzione”. Jurema preta è normalmente associata ai trabalhos per fare del male (la stregoneria) (41). Gli Atikum dicono che “porta sofferenze nella corrente”, mentre la jurema senza spine è la pianta della “scienza dell’indio” (42).

La bevanda della jurema viene ricavata lasciando macerare in acqua fredda la corteccia della pianta. O per lo meno questa dovrebbe essere la ricetta originaria, per la quale si è presentato il seguente enigma farmacologico: com’è possibile che la semplice introduzione orale della bevanda, contenente DMT, possa essere visionaria, dato che questa molecola non è attiva per via orale, a causa dell’attività metabolica della MAO presente nell’apparato digerente umano? Un problema che già si conosce per la bevanda dell’ayahuasca, e la cui soluzione risiede nella co-presenza in questa di MAO-inibitori (i-MAO) (43).

Su questo “mistero della jurema” si è discusso ampiamente negli ultimi decenni e si sono presentate due ipotesi generali, entrambe indirizzate come risoluzione verso l’individuazione di una fonte di MAO-inibizione che in un qualche modo si ritroverebbe presente nella bevanda, o come ingrediente aggiunto, o presente internamente alla radice della jurema. Nella prima possibilità di una fonte i-MAO direttamente aggiunta alla bevanda, potrebbe avvenire consapevolmente, e in questo caso potrebbe far parte di quel segreto della sua preparazione così tanto acclamato dalle popolazioni native. A tale riguardo, è stata posta l’attenzione su alcuni diffusi additivi alla bevanda della jurema, quali manacá (Brunfelsia uniflora Bon), maracujá (una specie di Passiflora) e il tabacco, tutte fonti di MAO-inibitori (44). La seconda ipotesi vedrebbe un qualche composto MAO-i presente nella medesima fonte della jurema, cioè insieme al DMT internamente alla corteccia della pianta. E quando nelle radici della jurema è stato scoperto un altro alcaloide indolico, la yuremamina, prodotto in quantità dello 0,11% del peso secco, subito è stato sospettato essere la molecola i-MAO mancante, anche per via di certe caratteristiche della sua struttura chimica (45). Ma si tratta di un’ipotesi ancora da confermare mediante specifici studi farmacologici.

 

Bibliografia

1. Camargo-Ricalde SL (2000) Descripción, distribución, anatomía, composición química y usos de Mimosa tenuiflora en México. Rev Biol Trop 48:939-954
2. Barneby CR (1991) Sensitivae Censitae. A description of the genus Mimosa Linnaeus in the New World Mem NY Bot Gard 65:135-136
3. Camargo-Ricalde op cit
4. Saraiva ME et al (2015) Plant species as a therapeutic resource in areas of the savanna in the state of Pernambuco, Northeast Brazil. J Ethnopharm 171:141-153
5. Silva CG et al (2015) Levantamento etnobotânico de plantas medicinais em área de Caating na comunidade do Sítio nazaré, município de Milagres, Ceará, Brasil. Rev Bras Pl Med 17:133-142
6. Cruz MP et al (2016) Antinoceptive and anti-inflammatory activities of the ethanolic extract, fractions and flavones isolated from Mimosa tenuifloraPLoS One 11(3): e0150839
7. Souza OSR et al (2008) Jurema-Preta: a review of its traditional use, phytochemistry and pharmacology. Braz Arch Biol Technol 51:937-947
8. Erkan G, Sibel Kaya KS (2014) Dyeing of white and indigo dyed cotton fabrics with Mimosa tenuiflora extract. J Sau Chem Soc 18:139-148
9. Azevêdo Barbosa TK et al (2015) Qualidade dos taninos de Jurema-preta (Mimosa tenuiflora) para a produção de adesivio tanino formaldeído. Ci For 25:507-514
10. Camargo-Ricalde op cit
11. Camargo-Ricalde op cit
12. Rivera-Arce A et al (2007) Pharmacognostical studies of the plant drug Mimosae tenuiflorae cortexJ Ethnopharm 113:400-408
13. Jang Y et al (1991) Triterpenoid glycosides from the bark of Mimosa tenuifloraPhytochem 30:2357-2360; Jang Y et al (1991) Structure of a new sapinin from the bark of Mimosa tenuifloraJ Nat Prod 54:1247-1253
14. Anton R et al (1993) Pharmacognosy of Mimosa tenuiflora (Willd.) Poiret. J Ethnopharm 38:153-157
15. Rivera-Arce A et al op cit
16. Zippel J et al (2009) Arabinogalactans from Mimosa tenuiflora (Willd.) Poiret bark as active principles for wound-healing properties: Specific enhancement of dermal fibroblast activity and minor influence on HaCaT keratinocytes. J Ethnopharm 124:391-396
17. Cruz MP et al (2016) Antinoceptive and anti-inflammatory activities of the ethanolic extract, fractions and flavones isolated from Mimosa tenuifloraPloS One 11(3): e0150839. Doi:10.1371
18. Dominguez XA et al (1989) Kukulkanins A and B, new chalchones from Mimosa tenuifloraJ Nat Prod 52:864-867
19. Gaujac A et al (2013) Determination of N,N-dimethyltryptamine in beverages consumed in religious practices by headspace solid-phase microextraction followed by gas chromatography ion trap mass spectometry. Talanta 106:394-398
20. Del Pilar NM et al (2005) Variation in the accumulation levels of N,N-dimethyltryptamine in micro-propagated trees and in in vitro cultures of Mimosa tenuifloraNat Prod Res 19:61-67
21. Batista LM et al (1999) Isolation and identification of putative hallucinogenic constituents from the roots of Mimosa ophtalmocentraPharm Biol 37:50-53
22. Zippel J et al (2009) Arabinogalactans from Mimosa tenuiflora bark as active principles for wound-healing properties: specific enhancement of dermal fibroblast activity and minor influence on HaCaT keratinocytes. J Ethnopharm 124:391-396; Bezerra CDA et al (2011) Abordagem fitoquímica, composição bromatológica e actividade antibacteriana de Mimosa tenuiflora (Wild) Poiret e Piptadenia stipulacea (Benth) Ducke. Acta Scient Biol Sci 33:99-106
23. Padilha IQM et al (2010) Antimicrobial activity of Mimosa tenuiflora (Willd.) Poir. From Northeast Brazil against clinical isolates of Staphylococcus aureusRev Bras Farmacogn 20:45-47
24. Rivera-Arce A et al (2007) Therapeutic effectiveness of a Mimosa tenuiflora cortex extract in venous leg ulceration treatment. J Ethnopharm 109:523-528
25. Lammoglia-Ordiales L et al (2012) A randomised comparative trial on the use of a hydrogel with tepescohuite extract (Mimosa tenuiflora cortex extract-2G) in the treatment of venous leg ulcers. Int Wound J 9:412-418
26. Mucci M et al (2006) Efficacia clinica e sicurezza terapeutica dell’estratto di corteccia di Mimosa tenuiflora nelle ragadi mammarie. Giorn It Ost Gin 28:107-114
27. Shrivastava R (2011) Clinical evidence to demonstrate that simultaneous growth of epithelial and fibroblast cells is essential for deep healing. Diab Res Clin Pract 92:92-99
28. Martel-Estrada SA et al (2014) Evaluation of in vitro bioactivity of Chitosan/Mimosa tenuiflora composites. Mat Lett 119:46-49
29. Valencia-Gómez LE et al (2016) Chitosan/Mimosa tenuiflora films as a potential cellular patch for skin regeneration. Int J Biol Macromol 93:1217-1225
30. Martel-Estrada SA et al (2015) Biocompatibility of chitosan/Mimosa tenuiflora scaffolds for tissue engineering. J Alloys Comp 643:S119-123
31. Zippel et al op cit
32. Silva-Leite SKE et al (2016) Polysaccharide extract of Mimosa tenuiflora stem barks stimulates acute inflammatory response via nitric oxide. Acta Scient Biol Sci 38:473-479
33. Cruz et al op cit
34. Jang Y et al (1992) Effects of saponins from Mimosa tenuiflora on lymphoma cells and lymphocytes. Phytother Res 6:310-313
35. Anton et al op cit
36. Oliveira Bitencourt MA et al (2014) Neutralizing effects of Mimosa tenuiflora extracts against inflammation caused by Tytus serrulatus scorpion venom. BioMed Res Int ID378235
37. Lozoya X et al (1995) Survival of cultured plant cells grafted into the subcutaneous tissue of rats. Arch Med Res 1:85-89
38. Per questi dati sul culto della jurema, cfr Samorini G (2016) Jurema. La pianta della visione. Dai culti brasiliani alla psiconautica di frontiera. Shake, Milano
39. Brandão TM, Nascimento LF (1998) O catimbó-jurema. In VIII Jornadas sobre Alternativas Religiosas na America Latina São Paulo :1-30
40. Albuquerque dos Santos AM (2002) Destreza e sensibilidade: os vários sujeitos da Jurema. As Práticas rituais e os diversos usos de um enteógeno Nordestino. Universidad Federal de Campina Grande
41. Albuquerque op cit:43
42. Grünewald de Azevedo R (2008) Jurema e novas religiosidades metropolitanas. In LS Almeida e HLA Da Silva (curs) Índios do Nordeste: etnia, política e história. Edufal, ripubblicato in: Núcleo de Estudos Interdisciplinares sobre Psicoactivos (NEIP):1-20
43. Per l’azione combinata di triptamine e MAO-inibitori cfr D’Arienzo A, Samorini G(2016) Ayahuasca, beta-carboline e le nuove frontiere terapeutiche. Erb Dom 399:74-83
44. Grünewald de Azevedo R (2002) A Jurema no “Regime de Índio”: o caso Atikum. In CN Mota e UP Albuquerque (Orgs) As muitas faces da Jurema: de espécie botânica à divinidade afro-indígena. Bagaço Recife :97-124
45. Vepsäläinen IJ et al (2005) Isolation and characterization of yuremamine, a new phytoindole. Pl Med 71:1053-1057

Passiflora incarnata L.: la produzione in Italia

Schermata 2017-11-09 alle 12.54.33

Passiflora incarnata L. è una specie subtropicale originaria del Sud degli Stati Uniti d’America e del Messico, ottimamente acclimatata anche in Italia grazie all’introduzione avvenuta in tempi storici come pianta ornamentale. La Passiflora è coltivata sin dal 1975 in diverse regioni d’Italia e si è diffusa, pur rimanendo una coltura di nicchia, in tutto il paese. Area storica di produzione sono le Marche. Dagli anni ‘90 è coltivata in Umbria e Piemonte, recentemente si è diffusa in altre regioni come in Veneto ed Emilia Romagna. La nostra produzione è in diretta competizione con quella francese, ma la qualità italiana e il prezzo al momento sono maggiormente competitivi. Le parti aeree fiorite ed essiccate di P. incarnata trovano largo utilizzo a scopi farmaceutici e cosmetici grazie alle sue proprietà. In campo risulta essere una coltura prettamente rustica e invasiva, prestandosi molto bene ad essere coltivata in sistemi intensivi senza richiedere un’alta specializzazione da parte dell’azienda, che spesso la coltiva assieme ad altre officinali, o anche insieme a mais o frutteti. Quanto alla consistenza e alla diffusione della coltura possiamo riferire che ad oggi gli agricoltori italiani coltivano stabilmente circa 150-180 ettari e mettono sul mercato una produzione di circa 800-1.000 tonnellate, contendendosi con i francesi il primato mondiale della produzione da coltivazione.

Utilizzo della Passiflora

Schermata 2017-11-09 alle 12.55.00Grazie alle sue proprietà sedative e antispasmodiche del tratto gastrointestinale e genito-urinario, P. incarnata è da lungo tempo utilizzata nella medicina popolare. La letteratura infatti la riporta come pianta utile per contrastare nevrastenie, insonnia, stati d’ansia o di irrequietezza, alleviare mal di testa e “isteria” e in generale disturbi legati al sistema-neurovegetativo. Non avendo controindicazioni ed effetti collaterali, la Passiflora può essere somministrata a pazienti di tutte le età, dai bambini fino agli anziani. Dal punto di vista fitochimico, le principali componenti attive della pianta, presenti in tutte le sue parti, sono flavonoidi (schaftoside, isoschaftoside, isovitexina-2’’-O-glucopiranoside, isoorientina-2’’-O-glucopiranoside),  composti fenolici e alcaloidi armanici. Essendo composti appartenenti al gruppo delle beta-carboline, gli alcaloici armanici in particolar modo svolgono un’importante funzione antiossidante, metabolizzante delle sostanze tossiche e di sostegno terapeutico contro malattie neuropsichiatriche come il morbo di Alzheimer, corea di Huntingon e morbo di Parkinson. Le parti aeree della Passiflora sono oggetto di una monografia della Farmacopea Europea che riporta come standard qualitativo la determinazione dei flavonoidi totali, espressi come vitexina, la quale non deve essere inferiore all’1,5% (European Pharmacopoeia) al fine di far risultare la droga conforme. Nel complesso, la droga è rappresentata dalla parte aerea con le sommità fiorite ed è utilizzata sia sotto forma di infuso, che per ottenere tintura, estratto fluido ed estratto secco.

Caratteristiche botaniche

Passiflora incarnata è una pianta sarmentosa perenne, appartenente alla famiglia delle Passifloracee, dapprima erbacea a portamento strisciante o rampicante che con gli anni diventa semi-legnosa. Può arrivare ad un’altezza di 8 metri grazie ai suoi fusti volubili e ai viticci. La Passiflora è perenne nei luoghi di crescita spontanea, mentre in coltivazione si comporta come vivace, ovvero sparisce d’inverno e riappare in primavera. Le foglie sono trilobate, picciolate ed alternate ai viticci. L’apparato radicale è costituito da un rete di radici ingrossate, quasi rizomatose e ricche di gemme. Il fusto erbaceo tende a diventare semi legnoso con la formazione di una corteccia grigia e sottile. La fioritura comincia dal mese di giugno e si protrae fino a settembre. Avendo un’antesi scalare, frequentemente si possono trovare in contemporanea sulla stessa pianta i frutti e i fiori. Quest’ultimi, grandi, solitari ed appariscenti, sono costituiti da un calice a cinque sepali verdastri esternamente e bianco-violacei internamente; una corolla formata da cinque petali bianchi e da una corona di numerosi filamenti violacei; al centro del fiore spiccano i cinque grandi stami con antere di colore arancio; lo stimma e gli stami invece s’incrociano, in modo caratteristico e tipico della specie. Il frutto è una bacca ovoidale di colore verde con pericarpo sottile e polpa spugnosa ricca di grassi, contenente numerosi semi neri e rugosi sulla superficie, muniti di un arillo biancastro.

Schermata 2017-11-09 alle 12.55.34

Tecniche colturali 

La coltivazione della Passiflora include tutta una serie di pratiche colturali molto simili con le altre comuni officinali erbacee da taglio (menta, melissa, origano) in termini di impianto, irrigazione, gestione delle infestanti e raccolta. È una pianta che necessita di essiccazione per essere poi successivamente imballata per il trasporto, lo stoccaggio e la commercializzazione. Tuttavia occorre prestare attenzione a particolari accorgimenti al fine di ottenere produzioni redditizie. Indispensabili sono le irrigazioni estive e la piena insolazione della coltura, che esplica il massimo potenziale del fitocomplesso proprio nelle condizioni di maggior stress termico e luminoso. La propagazione può avvenire secondo diverse modalità. Per talea di rizoma, con raccolta di parti sotterranee le quali vengono trapiantate durante la primavera inoltrata. Oppure per seme, con semina in contenitore alveolato e successivo trapianto, e infine per semina diretta utilizzando 5-8 kg di seme per ettaro, con una seminatrice di precisione.  Gli impianti e le semine vanno fatte sempre nella primavera inoltrata per garantire un attecchimento ottimale essendo la pianta una macro-terma. Preferisce terreni privi di ristagni, ricchi di humus ed esposti a sud, non ama i terreni ombrosi, pesanti e freddi. Si pianta a file distanti 55-75 cm e sulla fila si tengono 35-45 cm tra pianta e pianta. L’interfila deve essere mantenuta libera dalle infestanti mediante interventi di scerbatura precoci e cadenzati, poiché ben presto la coltura andrà a coprire tutto il terreno. La lotta alle infestanti è un elemento chiave per il successo della coltura poiché allargandosi sul terreno, è facile che vi si frammischino piante indesiderate. Il diserbo chimico non è ammesso in Italia poiché non ci sono erbicidi registrati su questa coltura. Eventualmente delle false semine possono dare un vantaggio alla Passiflora sulle infestanti, il primo anno che è il più difficile. Durante l’inverno il terreno può essere tenuto pulito con fresature, senza tema di danneggiare la coltura e in primavera, prima che la coltura riaffiori si può intervenire con un’energica fresatura o un disseccante. La pacciamatura è poco praticabile per l’invasività della pianta che tende a spuntare fuori dalla fascia pacciamata. Oltre a sarchiature meccaniche è indispensabile una quota di manodopera che può variare dalle 50 alle 100 ore/ha/anno.

La sarchiatrice, oltre che un mezzo utile per tenere lontano le infestanti, può essere utilizzata anche per apportare al terreno piccoli quantitativi di azoto, al fine di stimolare lo sviluppo della pianta. L’importanza della fertilizzazione parte dapprima con un generoso apporto di sostanza organica nel terreno (es. 350-400 q/ha di letame maturo e stabile) per poi continuare con 100-120 unità di azoto/ha di concime azotato da distribuire alla ripresa vegetativa e dopo ogni sfalcio; da non dimenticare inoltre 80-100 unità di fosforo e potassio da conferire all’impianto. L’eccesso di azoto è da evitare perché può portare ad un ritardo della fioritura e ad un indebolimento delle piante nei confronti di patogeni e di parassiti. Le irrigazioni sono necessarie anche se può crescere nei terreni freschi, pur con minor raccolto. Una dose di 3000 – 4000 mc/ha/anno è necessaria per una crescita ed una produzione redditizia.

Raccolta e produzione

La Passiflora viene raccolta meccanicamente usando delle falciatrici e delle falciatrici-raccoglitrici. Il momento balsamico è indicato come alla fioritura della pianta che si ha alla fine di giugno-primi di luglio per il taglio principale e dalla metà di settembre per un eventuale secondo taglio. Una volta raccolta, la biomassa deve essere portata immediatamente all’essiccazione che deve essere fatta in essiccatoio artificiale o, come avviene in alcune aree di tradizionale produzione, su essiccatoi ad aria naturale su tralicci all’ombra. L’essiccazione omogenea della pianta non è sempre facile in quanto sono contemporaneamente presenti foglie, fusti, fiori e frutti e pertanto questa deve protrarsi per tempi maggiori rispetto alle altre comuni officinali al fine di garantire una certa uniformità ed una buona conservabilità del prodotto. È molto importante allontanare dal prodotto i frutti non secchi in quanto fonte di inoculo per muffe e funghi. La produzione di droga greggia intera varia dalle 4 alle 7 tonnellate/ha/anno, a seconda della fertilità dei terreni e del metodo di produzione (biologico/convenzionale). Il prodotto secco è poi tagliato grossolanamente o confezionato in balle parallelepipedi per lo stoccaggio e la spedizione. Il prezzo di mercato del prodotto sfuso convenzionale oscilla dai 2,5 ai 3 €/kg. 

Avversità

La Passiflora è una pianta rustica che al momento non soffre di particolari attacchi parassitari.  Talora sono stati riscontrati sintomi virotici con ingiallimenti fogliari, soprattutto a livello delle nervature, dovute a CMV (Cucumber Mosaic Virus) e il TMV (Tobacco Mosaic Virus). 

Per  questo si raccomanda l’utilizzo di sementi non infette e di seguire le buone pratiche agricole al fine di ridurre le possibilità di contagio. Inoltre in condizioni ambientali sfavorevoli come l’eccesso di umidità e le elevate temperature, si sono riscontrati attacchi di cocciniglia oleosa, acari, ferretti, tripidi e mosca bianca.

Schermata 2017-11-09 alle 12.55.54

Testi consigliati

– G. Milesi Ferretti, L. Massih Milesi Ferretti (2001) La coltivazione delle piante aromatiche e medicinali. Calderini edagricole.
– Abourashed EA et al (2003) High-Speed Extraction and HPLC Fingerprinting of Medicinal Plants. II Application to Harman Alkaloids of Genus Passiflora. Pharm Biol 41:100-106
– Della Loggia R (1993), Piante Officinali per infusi e tisane (Manuale per farmacisti e Medici). Edizione italiana del manuale Teedrogen. OEMF Organizzazione Editoriale Medico Farmaceutica, Milano
– Benigni R, Capra C, Cattorini PE (1964) Piante Medicinali. Chimica Farmacologia e Terapia II Volume. Inverni/Della Beffa, Milano
– Leung AY, Foster S (1999) Enciclopedia delle piante medicinali utilizzate negli alimenti, nei farmaci e nei cosmetici. Edizioni Aporie, Roma

Nuove tecniche di selezione vegetale e cosmesi naturale e biologica

Schermata 2017-11-09 alle 12.48.04

Le nuove tecniche di selezione vegetale, meglio conosciute come NPBT secondo l’acronimo inglese di New Plant Breeding Techniques, sono metodi che permettono lo sviluppo di nuove varietà vegetali con tratti desiderati, modificando il DNA dei semi e delle cellule vegetali adulte. Sono chiamate “nuove” perché queste tecniche sono state sviluppate solo nell’ultimo decennio e si sono evolute rapidamente. Questa espressione può raggruppare metodologie differenti. Ma che impatto possono avere queste metodologie in ambito cosmetico e in particolare quali sono i rischi per il segmento naturale e biologico? Come si sta muovendo il settore a riguardo?

In ambito cosmetico, come in quello alimentare, i consumatori più attenti ed esigenti vogliono essere informati sulla presenza o meno di organismi geneticamente modificati. Secondo uno studio commissionato da NATRUE, alla società di ricerca Gfk, un prodotto cosmetico naturale e biologico deve escludere la presenza di OGM per il 60% dei consumatori del panel.

Gli Organismi Geneticamente Modificati (OGM) sono organismi che hanno subito modificazioni genetiche in accordo con la direttiva 2001/18/EC. Il quadro normativo europeo stabilisce la necessità della valutazione del rischio, tracciabilità e etichettatura degli OGM per prodotti alimentari e mangimi che contengono o che sono stati prodotti attraverso OGM disciplinati dai regolamenti (EC) No.1829/2003 e 1830/2003. Per quanto riguarda l’agricoltura biologica, gli OGM sono proibiti dal Regolamento (EC) No.834/2007. Nel loro insieme queste norme offrono un quadro normativo chiaro garantendo trasparenza e soprattutto la possibilità da parte del consumatore di fare scelte di acquisto consapevoli.

Nonostante questo quadro normativo piuttosto completo, NATRUE ha sollevato di recente una questione molto importante che mira a tutelare le legittime esigenze dei consumatori e che riguarda l’inquadramento degli ingredienti derivanti dalle più recenti tecniche di selezione vegetale. La Commissione Europea non ha fornito ad oggi un’interpretazione giuridica volta a definire se gli OGM ottenuti tramite i processi di selezione vegetale NPBTs, ricadano o meno nell’ambito della direttiva 2001/18/EC.

NATRUE chiede che vengano incorporate nella legislazione sugli OGM in quanto rappresentano di fatto un’alterazione delle caratteristiche genetiche di una pianta. L’attuale quadro normativo risulta nell’impossibilità di tracciare le piante che potrebbero essere state sottoposte a questi processi e qualora venissero utilizzate per la produzione di ingredienti cosmetici non potremmo conoscerne i dettagli del processo produttivo. 

Questo gap nella tracciabilità significa che potremmo essere di fronte all’impossibilità di rispettare le aspettative dei consumatori circa l’esclusione degli OGM dai cosmetici naturali e biologici”, ci spiega Mark Smith, il direttore dell’Associazione.

Per NATRUE è infatti fondamentale offrire al consumatore un prodotto in linea con le sue aspettative. In una definizione coerente di cosmesi naturale ci si deve innanzitutto chiedere cosa si intende per naturalità. L’esclusione di alcuni ingredienti così come definito nella maggior parte degli standard di certificazione per la cosmesi naturale e biologica, offre solo una parziale risposta al problema e dice poco e nulla sulla ratio che sta alla base di una certa concezione di naturalità. Nello standard NATRUE gli ingredienti vengono classificati in tre tipologie in base al processo produttivo a cui sono sottoposti: ingredienti naturali, ingredienti di derivazione naturale e ingredienti natural-identici.

Gli ingredienti naturali possono essere ottenuti solo mediante processi fisici o di fermentazione. Questa definizione è quella che più si avvicina al concetto di naturalità come percepito dal consumatore. È chiaro però che per essere performanti i cosmetici non possono essere formulati solo con ingredienti naturali secondo questa prima categorizzazione. Il Comitato Scientifico di NATRUE, quando è stato chiamato a definire lo standard, ha codificato altre due categorie di ingredienti: quelli di derivazione naturale e quelli natural-identici.

Gli ingredienti di derivazione naturale sono il risultato di processi di reazione chimica (solo quelli permessi dallo standard) di ingredienti naturali. Gli ingredienti natural-identici possono essere pigmenti, minerali o conservanti. Essi esistono in natura, ma per motivi tecnici e di sicurezza vengono riprodotti in laboratorio.Questi ingredienti sono accettati solo quando sono strettamente necessari per garantire la sicurezza dei consumatori (conservanti) o per motivi di purezza (minerali/pigmenti).

Tutti questi ingredienti hanno una caratteristica essenziale: esistono in natura. Nulla di artificiale (ovvero creato dall’uomo) è permesso dallo standard NATRUE. Questa classificazione segue dunque un principio ben preciso e detta le linee guida per classificare di conseguenza gli ingredienti utilizzabili in cosmesi. Da queste definizioni escono quindi liste positive di ingredienti ammessi dallo standard e non al contrario liste che li escludono. “Questa differenza di approccio rispetto ad altri standard è uno stimolo per il formulatore che nel momento in cui utilizza ingredienti innovativi deve dimostrarne la conformità secondo i principi sopracitati”, precisa Smith. L’ultimo ingrediente è l’acqua, che sebbene sia per comune sentire un ingrediente naturale, non rientra nella medesima categoria perché NATRUE non vuole inflazionare il contenuto naturale permettendo all’acqua di essere presa in considerazione per il calcolo delle percentuali. La percentuale biologica viene calcolata prendendo come riferimento la componente naturale (o quella di derivazione naturale in taluni casi previsti dallo standard), stabilendo così il principio che un cosmetico non può essere biologico se non è prima stata assicurata la naturalità. Lo standard quindi prevede tre livelli di certificazione che si sviluppano, uno sulla base del precedente, in un crescendo di rigorosità.

Cosmetici naturali: questo livello è la base del marchio NATRUE: definisce quali sono gli ingredienti accettati e come possono essere trattati. I prodotti degli altri due livelli devono soddisfare i criteri di questo primo livello. Secondo il tipo di prodotto, una soglia minima di ingredienti naturali garantiti e un contenuto massimo di sostanze di derivazione naturale deve essere rispettata.

Schermata 2017-11-09 alle 12.48.48Cosmetici naturali con componenti biologici: si applicano tutte le condizioni di cui sopra, ma almeno il 70% degli ingredienti naturali (o di derivazione naturale, quando previsto dallo standard) deve provenire da coltivazione biologica e/o raccolta spontanea controllata. Rispetto al primo livello, si richiede un contenuto minimo di ingredienti più elevato e una presenza minore di ingredienti trasformati di origine naturale.

Cosmetici biologici: le suddette due condizioni si applicano con almeno il 95% di ingredienti naturali (o di derivazione naturale, quando previsto dallo standard) provenienti da coltivazione biologica e/o raccolta spontanea controllata. Rispetto al secondo livello, si richiede un contenuto minimo di ingredienti naturali garantiti ancora più elevato ed un minore contenuto di ingredienti trasformati di origine naturale.

NATRUE è da anni impegnata nella difesa della cosmesi naturale e biologica e tramite la sua attività politica ormai decennale a Bruxelles è attiva nel chiedere alla Commissione Europea di includere le NPBT come tecniche di modificazione genetica che portano alla produzione di OGM, come previsto dalla Direttiva 2001/18/EC, e che quindi possano essere resi tracciabili e identificabili dai produttori e dai consumatori.

Per portare avanti azioni politiche come quella descritta, è essenziale essere rappresentativi del settore e farsi carico delle istanze provenienti dai produttori. La nostra mission è quella di promuovere e proteggere la cosmesi naturale e biologica a beneficio dei consumatori di tutto il mondo”, conclude Smith. (D.B.)

Integratori alimentari di origine naturale

Gli integratori alimentari di origine naturale, soprattutto quelli derivati da piante, sono ampiamente utilizzati per diversi ambiti salutistici, grazie anche al convincimento, da parte di molti consumatori, che i prodotti naturali siano meno dannosi rispetto alle medicine di sintesi. Naturalmente questa è una convinzione errata, basta pensare ai veleni di certi funghi che, pur essendo naturali, sono mortali.
La comunità scientifica, specializzata nel settore, non smette di individuare e caratterizzare meccanismi d’azione, di valutare efficacia, effetti collaterali, farmacocinetici e tossicologici degli integratori di origine naturale, sia a livello pre-clinico che clinico. L’aggiornamento che qui proponiamo riguarda soprattutto la ricerca clinica, ma rappresenta solo una piccola parte dell’attività di ricerca sugli integratori alimentari naturali comparsa negli ultimi mesi.

Associazione di glucosammina-HCl, condroitin-SO4, bio-curcumina nell’osteoartrite

Il trattamento conservativo dell’osteoartite del ginocchio mira a ritardare la degenerazione delle cartilagini articolari. L’assunzione di agenti condroprotettivi è un valido approccio in questa direzione. Tre sono i principali integratori con attività condroprotettiva. Uno è la glucosammina (G), ammino-monosaccaride, uno dei principali precursori della sintesi delle proteine glicosilate e dei lipidi. È uno dei maggiori componenti del carapace chitinoso di crostacei e altri artropodi, ma si trova anche nei funghi, in molti organismi superiori e nel lipopolisaccaride della parete cellulare dei batteri Gram-negativi.
Il secondo è il condroitin-SO4 (CS), glicosammino-glicano solfato, composto da una catena alternata di zuccheri (N-acetil-galattosammina e acido glucuronico); è un componente strutturale della cartilagine, cui conferisce la quasi totalità della resistenza alla compressione. Associato alla glucosammina, il condroitin-SO4 è un integratore alimentare usato nell’osteoartrite.
Il terzo è la curcuma: ha proprietà benefiche e curative, è utilizzata come integratore alimentare naturale grazie alla capacità di contrastare i processi infiammatori all’interno dell’organismo. Il principio attivo più importante è la curcumina, che ha proprietà antitumorali, è antinfiammatoria e analgesica e trova, perciò, impiego efficace nel trattamento di infiammazioni, dolori articolari, artrite e artrosi. Potente antiossidante, è in grado di contrastare l’azione dei radicali liberi, responsabili dei processi di invecchiamento.
È stato condotto un trial clinico multicentrico, prospettico, randomizzato, in doppio cieco, controllato con placebo, per valutare gli effetti di efficacia e sicurezza dei 3 agenti condroprotettivi presenti in un integratore alimentare disponibile commercialmente: glucosammina-HCl (500 mg), condroitin-SO4 (400 mg), bio-curcumina (BCN-95®, 50 mg), associati a esercizio fisico, nel trattamento conservativo dell’osteoartrite del ginocchio di grado lieve-moderato, finalizzato a ritardare la degenerazione della cartilagine articolare (1).
I pazienti arruolati nello studio (n=53) sono stati assegnati in modalità random al gruppo sperimentale (n=26,2 capsule al giorno x 2 settimane) o al gruppo di controllo (n=27, placebo). I pazienti dei 2 gruppi hanno partecipato a 20 sessioni di fisioterapia durante i 2 mesi del trial. Risultato clinico primario è stata l’intensità del dolore, misurata sia in movimento che a riposo, con la Visual Analogue Scale (VAS). Risultato clinico secondario è stata la valutazione della funzionalità del ginocchio, effettuata con il Western Ontario, il McMaster Universities Arthritis Indices e il Lequesne Index, con la misura dell’ampiezza del movimento del ginocchio (AMG) e di 2 marker di infiammazione (proteina C-reattiva e velocità di sedimentazione eritrocitaria). Ogni valutazione è stata effettuata al tempo 0 (T0) e a 8 (T1) e 12 (T2) settimane. I valori della VAS a riposo sono risultati ridotti da T0 a T1 e da T0 a T2 (F=13,712; p=0,0001), senza differenze tra i gruppi (F=1,724; p=0,191). I valori della VAS in movimento hanno mostrato una significativa interazione “gruppo x tempo di controllo” (F=2,491; p=0,032), con effetto crescente del tempo sulla riduzione della VAS (F=17,748; p=0,0001), più pronunciato nel gruppo sperimentale al T1 (F=3,437; p=0,045). L’indice di Lequesne è risultato ridotto a T1 e T2 vs T0 (F=9,535; p=0,0001), insieme con l’effetto gruppo, poiché il gruppo trattato ha registrato uno score più basso a T2 (F=7,091; p=0,009). Non sono stati registrati cambiamenti significativi nei marker e dell’AMG. Riassumendo, questo studio preliminare suggerisce che la somministrazione di curcuminoidi, associati a glicosaminoglicani e fisioterapia, può ridurre il dolore e migliorare lo score algofunzionale nei pazienti affetti da osteoartrite del ginocchio di grado lieve-moderato (1).

Biodisponibilità di potassio alimentare e potassio gluconato

Il 20% circa del fabbisogno di potassio (K) è apportato, nella dieta americana, dalle patate. La biodisponibilità e la dose/risposta di K proveniente da patate bianche non fritte, con la buccia (mirata a 20, 40 e 60 mEq di K) è stata confrontata con patate fritte (40 mEq di K) con potassio gluconato alle stesse dosi, aggiunto ad una dieta basale contenente ~60 mEq di K.
Sono stati arruolati, in un trial clinico in singolo cieco, cross-over, randomizzato (2), 35 uomini e donne sani e normotesi, dell’età di 29,7±11,2 anni (media±S.D.), con indice di massa corporea di 24,3±4,4 kg/m2). I partecipanti sono stati assegnati, parzialmente random, all’ordine in cui il test è stato eseguito, per 9 interventi di 5 giorni di K aggiuntivo: 0 (controllo; ripetuto alle fasi 1 e 5), 20, 40 e 60 mEq di K/giorno, consumato come integrazione con K-gluconato o come patate non fritte o 40 mEq di K come patate fritte, completato alla fase 9. La biodisponibilità del K determinata dall’AUC (area sotto la curva) dei livelli di K nel siero a diversi tempi, aumentava con la dose (p<0,0001) e non differiva in base all’origine del K (p=0,53). Anche l’escrezione cumulativa di K nelle 24 ore è aumentata con l’aumento della dose (p<0,0001) ed è risultata maggiore con le patate che con l’integrazione (p<0,0001). L’analisi cinetica ha mostrato che l’efficienza dell’assorbimento è stata elevata in tutti gli interventi (>94±12%). Non sono state registrate differenze significative della pressione sanguigna o dell’indice di incremento (AIx) causate dall’origine del K o alla sua dose. In conclusione, la biodisponibilità del K è risultata di pari entità con l’integrazione a base di patate e con quella di potassio gluconato (Trial NCT01881295).

Effetto dell’inulina sulla funzione intestinale

Schermata 2017-10-31 alle 12.26.33La cicoria (Cichorium intybus) è una pianta erbacea selvatica della famiglia delle Asteraceae, dalle cui radici e parti aeree si ricava un oligosaccaride, l’inulina (Fig.1), polimero glucidico (m.m. ~5000 Da) e fibra vegetale solubile, non assorbita dall’intestino. Tra le varie attività salutistiche attribuite all’inulina, c’è la capacità di prevenire la costipazione e di favorire la motilità intestinale. La costipazione, o stipsi, è una tra le più comuni affezioni nel mondo occidentale. È stato effettuato uno studio clinico (NCT02548247) finalizzato a determinare gli effetti di inulina sulla frequenza della defecazione in soggetti sani affetti da costipazione (3). In questo trial clinico, condotto in base ai recenti documenti di orientamento per la valutazione della funzione intestinale, è stato usato un disegno randomizzato, in doppio cieco, controllato con placebo, cross-over, con 2 settimane di wash out. Ogni periodo dello studio comprendeva una fase di inserimento, seguita dall’assunzione giornaliera di 3 x 4g di inulina x 4 settimane o di maltodestrina. Sono stati arruolati nello studio 44 volontari sani, con costipazione, frequenza e consistenza di evacuazione, caratteristiche gastrointestinali e qualità di vita documentate. Il consumo di inulina ha aumentato significativamente (p=0,038) la frequenza delle evacuazioni (mediana 4,0 [interquartile range (IQR) 2,5-4,5]) vs la malto destrina (3 [IQR 2,5-4,0] evacuazioni/settimana), cui si è aggiunto l’ammorbidimento della consistenza delle feci ed una tendenza verso una maggior soddisfazione rispetto al placebo (p=0,059). Questi risultati dimostrano che l’inulina è efficace in individui con costipazione cronica e migliora significativamente la funzionalità intestinale (3).

Curcuminoidi in pazienti diabetici

Schermata 2017-10-31 alle 12.26.58Dal punto di vista farmacodinamico, la curcumina (estratta dalla Curcuma longa) presenta vari target farmacologici e molecolari riconducibili, in genere, all’inibizione di fattori di trascrizione genica coinvolti in processi infiammatori, nonché enzimi, metalli, proteine di trasporto e proteine chinasi. Sono vari e sofisticati gli strumenti di indagine chimico-fisica che hanno permesso di individuare i diversi target molecolari e farmacologici della curcumina e dei suoi metaboliti e/o derivati. Tra questi, la spettroscopia, la risonanza plasmonica di superficie, la competizione legame-ligando, la radiomarcatura, la mutagenesi sito diretta, l’immunoprecipitazione, e molte altre metodiche di ricerca molecolare spesso adoperate per intuire i siti di legame di molecole. Target molecolari della curcumina e dei suoi metaboliti attivi sono diversi e variegati e sfruttano meccanismi di inibizione o di potenziamento, riconducibili a sette macro categorie molecolari: enzimi, proteine chinasi, proteine reduttasi, proteine trasportatrici, molecole pro-infiammatorie, metalli e altro. Lo stress ossidativo ha un ruolo chiave nella patogenesi del diabete mellito (tipo II, DMT2) e nelle complicanze vascolari della patologia. Ciò spiega perché una terapia antiossidante sia suggerita come approccio potenziale per rallentare e smorzare decorso e progressione del DMT2. Scopo di uno studio clinico randomizzato, doppio cieco, controllato con placebo (PLA) è stato valutare gli effetti della supplementazione della dieta di pazienti diabetici di tipo II con curcuminoidi, polifenoli naturali (Fig.2) ottenuti dalla curcuma, sugli indici ossidativi in soggetti diabetici di tipo II. Sono stati arruolati nello studio 118 soggetti affetti da DMT2, randomizzati nei gruppi curcuminoidi (1000 mg/giorno, co-somministrati con piperina (10 mg/giorno), per 8 settimane) e PLA. Capacità antiossidante totale del siero (CATS), attività superossido dismutasi (SOD, enzima antiossidante) e concentrazioni della malonilaldeide (MDA, marker dello stress ossidativo) sono state misurate al tempo 0 e alla fine del periodo di supplementazione. L’assunzione di curcuminoidi ha indotto un aumento significativo delle attività CATS e SOD (p<0,001), mentre i livelli serici di MDA sono risultati significativamente ridotti vs PLA (p<0,001). Questi dati sono rimasti statisticamente significativi anche dopo aggiustamento per potenziali confondenti (differenze della linea di base dell’indice di massa corporea e dell’insulina serica a digiuno). In conclusione, questi risultati supportano l’effetto antiossidante della supplementazione con curcuminoidi in soggetti con DMT2 e incentivano ulteriori studi per valutare l’impatto di questi effetti antiossidanti sull’incidenza delle complicanze diabetiche e degli endpoint cardiovascolari (4).

Fibre solubili di mais nella ritenzione di calcio in donne in post-menopausa

L’osteoporosi è una condizione clinica in cui lo scheletro è soggetto a perdita di massa ossea e resistenza, a causa di fattori nutrizionali, metabolici o patologici. Questa patologia è caratterizzata da un basso contenuto di calcio nelle ossa, dalla progressiva perdita di tessuto osseo, con conseguente fragilità dello scheletro e predisposizione alle fratture. Il legame fra menopausa ed osteoporosi è noto da tempo: la diminuzione della produzione di estrogeni da parte delle ovaie rappresenta un fattore di rischio per l’insorgenza di questa patologia. Infatti, gli estrogeni intervengono nella regolazione della quantità di calcio presente nell’osso: con la menopausa, i loro livelli ematici calano e il controllo sul calcio nell’osso si riduce, lasciando una struttura porosa e fragile. Tra i vari integratori alimentari naturali, utilizzati per prevenire/curare l’osteoporosi, troviamo la fibra alimentare solubile di mais (FASM) che facilita l’assorbimento del calcio negli adolescenti e la robustezza e l’architettura ossea in modelli nei roditori. In un trial clinico (NTC02416947) sono stati valutati gli effetti benefici delle FASM in donne in post-menopausa (5).
È stata usata una tecnologia originale per la determinazione della ritenzione del calcio osseo, consistente nel monitoraggio della comparsa nelle urine di 41Ca, radioisotopo raro e dalla lunga emivita, rilasciato da osso premarcato, per valutare in modo rapido e sensibile l’efficacia delle FASM nel ridurre la perdita di calcio dall’osso. Nel trial, randomizzato, cross-over, in doppio cieco, condotto in 14 donne sane in post-menopausa, sono stati confrontati gli effetti di 0, 10, 20 g/giorno di FASM, somministrate per 50 giorni. I risultati mostrano un effetto dose-risposta dopo 10 e 20 grammi di supplementazione giornaliera con FASM, per cui la ritenzione di calcio osseo è migliorata, rispettivamente del 4,8% (p<0,05) e del 7% (p<0,04). Il telopeptide N-terminale del collagene di tipo I e l’osteocalcina (ormone pepitidico lineare di 49 aa., prodotto dagli osteoblasti durante la formazione ossea), biomarker del turnover dell’osso, non sono risultati alterati dall’assunzione di FASM. Tuttavia, è stato rilevato un aumento dell’8% della fosfatasi alcalina ossea, marker di formazione dell’osso, significativo (p = 0,0035) tra 0 e 20 g di FASM/giorno. In conclusione il consumo giornaliero di FASM aumenta in modo significativo la ritenzione di calcio nelle ossa nella donna in post-menopausa e migliora l’equilibrio del calcio osseo, stimato in 50 mg/giorno (5).

Mirtillo rosso, noxamicina® e D-mannosio nelle infezioni urinarie ricorrenti in donne in post-menopausa

Un’unica origine embrionale accomuna, nella donna, l’apparato genitale, il tratto urinario e i tessuti di supporto perineale, differenziatisi sotto l’effetto degli estrogeni.
Il progressivo declino della funzione ovarica, con conseguente calo e privazione degli estrogeni, che si verifica nella donna adulta, riduce il tropismo dei tessuti, causando atrofia urogenitale. Ciò rende questi organi molto più suscettibili a traumi e infezioni urinarie. La rilevanza clinica dei disturbi associati ai cambiamenti nel tratto urogenitale nelle donne in peri-/post-menopausa è significativa, sia dal punto di vista della loro cronicità, che per l’elevata frequenza della loro ricorrenza, oltre al fatto che hanno pesanti ripercussioni negative sulla qualità della vita di queste pazienti, che spesso devono ricorrere al medico, per alleviare i sintomi che si manifestano periodicamente. Queste pazienti lamentano un significativo numero di episodi di cistite/anno. Ricercatori italiani (6) hanno condotto un trial clinico multicentrico su 150 donne, dell’età di 40-50 anni, sofferenti di ricorrenti episodi di cistite, attestati da almeno una coltura urinaria positiva nei 6 mesi precedenti il loro reclutamento. Scopo della ricerca era verificare se l’assunzione di un nuovo supplemento dietetico contenente mirtillo rosso americano (Vaccinium macrocarpon) titolato al 80% in proantocianidine (90 mg/cpr), Noxamicina® (un composto di bioflavonoidi selezionati estratti dalla propoli, 50 mg/cpr) e D-mannosio (monosaccaride esoso destrogiro, estratto dal legno di larice e betulla, 500 mg (cpr), potesse essere efficace nel trattamento della cistite, in presenza/assenza di batteriuria, attraverso l’eliminazione della sintomatologia urinaria. I soggetti sono stati assegnati in modalità random a 2 gruppi: al gruppo-A, sono state assegnate 100 donne, che hanno assunto una bustina di integratore al giorno durante i primi 10 giorni di ogni mese, per 3 mesi; nel gruppo B, sono confluite 50 donne, che non hanno ricevuto nessun trattamento (gruppo di controllo). I risultati dello studio mostrano una remissione completa della sintomatologia urinaria in 92 donne/100 e una lieve diminuzione dei sintomi urinari in 5 soggetti/100, mentre 3 donne, che avevano interrotto il trattamento dopo il primo ciclo, sono state considerate ritirate. Lo studio ha dimostrato l’efficacia e la tollerabilità dell’associazione nel trattamento e nella prevenzione dei disturbi urinari in donne in peri-/post-menopausa (6).

Microalghe e morbo di Alzheimer

Da anni la ricerca è orientata alla scoperta di nuovi principi attivi dotati di potenziale neuroprotettivo e pochi, o poco importanti, effetti collaterali rispetto ai farmaci di sintesi. L’impegno della ricerca nella cura/controllo di gravi patologie neurodegenerative, accomunate da un processo cronico e selettivo di morte neuronale (Parkinson, Alzheimer, corea di Huntington, sclerosi multipla, sclerosi laterale amiotrofica, ecc.), non ha sortito finora i risultati sperati. Anche il mondo della ricerca sugli integratori alimentari di origine naturale ha dato il suo contributo in questo settore della scienza medica. Una recentissima review (7) fornisce un panorama completo e aggiornato dell’attuale stato dell’arte riguardo le potenzialità di estratti e composti biologicamente attivi, derivati dalla biomassa di microalghe, per la gestione del morbo di Alzheimer (MA). Le microalghe sono tra gli esseri viventi più antichi. La loro fotosintesi è simile a quella delle piante superiori, ma esse sono, generalmente, più efficienti nel convertire l’energia solare. Producono una vasta gamma di molecole interessanti, dai trigliceridi per la produzione di biodiesel, a molecole con azione nutraceutica. Inoltre, possono essere ingegnerizzate per produrre farmaci. L’elevata produttività, la crescita in terreni di coltura sterili, i costi decrescenti di produzione, la domanda crescente per alcune di queste molecole, rendono le microalghe molto interessanti per applicazioni nel campo della chimica fine, della nutraceutica e della produzione di farmaci. Recentemente, la ricerca sulle microalghe è balzata agli onori della cronaca grazie al contributo dato alla produzione di carburanti rinnovabili e alla capacità delle cellule algali di produrre vari metaboliti secondari, come carotenoidi, polifenoli, steroli, acidi grassi poli-insaturi e polisaccaridi. Questi composti hanno varie attività farmacologiche, oltre a esser dotati di un potenziale neuroprotettivo. Complessi sono i meccanismi coinvolti nella patogenesi del MA, associati allo stress ossidativo, alla disfunzione del sistema colinergico, al danno neuronale, al misfolding delle proteine e all’aggregazione di proteine in complessi insolubili. Nella review sono trattate ampiamente attività antiossidanti e anticolinesterasiche, gli effetti inibitori di alcuni composti bioattivi ottenuti dagli estratti di microalghe sull’aggregazione del peptide β-amiloide (il principale costituente delle placche amiloidi) e la morte neuronale. Composti fitochimici ottenuti dalle microalghe sono usati come farmaci, nutraceutici e integratori alimentari e potrebbero essere dotati di potenziali neuroprotettivi importanti per la gestione e/o il trattamento del MA (7).

Olio di Rosa mosqueta nella steatosi epatica

Schermata 2017-10-31 alle 12.27.17La steatosi epatica, patologia cellulare legata all’accumulo di trigliceridi (steatosi) negli epatociti, è un processo degenerativo che può comportare una serie di gravi danni fino alla necrosi del parenchima epatico e all’insufficienza epatica. Ci sono evidenze scientifiche che la somministrazione di olio di Rosa mosqueta (RM) (Fig.3) prevenga la steatosi epatica. L’olio di questa rosa selvatica è ricco di acido α-linolenico (ALA), precursore degli acidi eicosapentaenoico (EPA) e docosaesaenoico (DHA), mentre l’elevato contenuto in tocoferoli gli conferisce una forte attività antiossidante. Allo scopo di dimostrare il meccanismo antilipogenico indotto dalla somministrazione di olio di RM, in un modello murino alimentato con dieta ad alto contenuto di grassi, è stato fatto uno studio di valutazione dei marker associati alla regolazione del metabolismo delle lipid droplet protein (Plin2 (adipose differentiation-related protein), Plin5 (myocardial lipid droplet protein) e PPAR-γ (peroxisome proliferator-activated receptor gamma)) e delle proteine associate alla lipogenesi: fatty acid synthetase (FAS) e sterol regulatory element binding protein-1c (SREBP-1c). I topi sono stati alimentati, per 12 settimane, con dieta di controllo (CON) o con dieta a elevato contenuto di grassi (HFD), con e senza supplementazione di olio di RM (4 gruppi sperimentali). I risultati dimostrano che l’integrazione di olio di RM diminuisce l’espressione epatica dell’mRNA di PLIN2 e PPAR-γ e i livelli delle proteine SREBP-1c, FAS e PLIN2, mentre non indicano cambiamenti dei livelli di PLIN5 nei 4 gruppi di topi. Questi risultati permettono di ipotizzare che la modulazione dei marker lipogenici potrebbe essere uno dei meccanismi attraverso i quali l’integrazione con olio di RM previene, in un modello murino, la steatosi epatica indotta dal consumo di una dieta ricca di grassi (8).

Quercetina e conversione di acido alfa-linolenico

È ormai ampiamente dimostrato che l’assunzione con la dieta di acidi grassi poli-insaturi a catena lunga omega-3 (n-3 PUFA) – eicosapentaenoico (EPA) e docosaesaenoico (DHA) – ha effetti benefici per il sistema cardiovascolare. Meno chiaro è invece il contributo alla quota di EPA e DHA derivante dalla conversione del precursore, acido alfa-linolenico. L’efficienza della conversione sembra essere molto bassa, tuttavia studi epidemiologici e in modelli animali suggeriscono che l’assunzione contemporanea di flavonoidi possa aumentare la conversione di acido α-linolenico (ALA, catena di 18 C) negli acidi grassi a catena più lunga EPA (catena di 20 C) e DHA (catena di 22 C). In un trial clinico in uomini e donne metabolicamente sani (9) sono stati valutati gli effetti dell’assunzione controllata di ALA con la dieta (3,3 g/giorno, circa 2-3 volte l’apporto medio con una dieta di tipo occidentale), sulla composizione in acidi grassi dei fosfolipidi serici e degli eritrociti, e verificato l’effetto della regolare assunzione di quercetina (una capsula da 190 mg/giorno) sulla conversione di ALA. Lo studio, in doppio cieco, controllato con placebo, cross-over, con periodi di intervento di 8 settimane, separati da un wash-out di 8 settimane, ha arruolato 74 uomini e donne, randomizzati in modo da ricevere ALA+quercetina o ALA+placebo. Sette soggetti hanno abbandonato lo studio per ragioni personali. L’analisi dei dati ha riguardato i risultati ottenuti nei 67 soggetti (34 uomini e 33 donne) che hanno terminato lo studio.
L’assunzione di acido alfa-linolenico è risultata in un significativo aumento dei livelli sia dello stesso acido alfa-linolenico, sia di EPA, ma non di DHA, misurati nei globuli rossi e nei fosfolipidi serici (ALA: +69,3%, EPA: +37,3%). L’aggiunta di quercetina non ha influenzato in alcun modo la conversione dell’alfa-linolenico negli omega-3 a più lunga catena (ALA: +55,8%, EPA: +25,5%).
Non sono state registrate differenze imputabili al sesso nella composizione degli acidi grassi. In conclusione, lo studio conferma che un’adeguata assunzione di acido alfa-linolenico con la dieta è sufficiente per soddisfare il fabbisogno di questo acido grasso polinsaturo essenziale e contribuisce ai livelli endogeni di EPA, ma non di DHA. L’assenza di effetti attribuibili alla quercetina e i bassi livelli del flavonoide determinati nel plasma dei soggetti in studio ha portato gli autori a sottolineare la limitata biodisponibilità di questi composti (9).

Omega-3 e funzione cognitiva nell’adulto anziano con declino cognitivo

Non sono disponibili in letteratura trial clinici di larga scala per valutare l’efficacia di una terapia per la prevenzione del declino cognitivo, basata sulla combinazione di un composto specifico, con vari interventi (multidominio) sullo stile di vita, in confronto al placebo. Per cercare di colmare questa lacuna, è stato testato l’effetto, sul declino cognitivo, della supplementazione della dieta con acidi grassi poli-insaturi omega-3 associati o meno a un intervento multidominio (attività fisica, training cognitivo, indicazioni nutrizionali), in confronto con placebo (10). Il Multidomain Alzheimer Preventive Trial (NCT00672685) è un trial clinico di superiorità, della durata di 3 anni, randomizzato, controllato con placebo, multicentrico (ha coinvolto 13 centri in Francia e a Monaco), con 4 gruppi paralleli. I partecipanti (n=1680, assegnati in modalità random tra il 30/3/2008 e il 24/2/2011) non erano affetti da demenza, avevano 70 o più anni, erano ospitati in comunità e avevano denunciato spontaneamente, ai medici curanti, disturbi della memoria e limiti/impedimenti nel portare a termine un’attività fondamentale della vita quotidiana, oltre ad avere un’andatura rallentata. I pazienti sono stati assegnati, in modo casuale (1:1:1:1) ai gruppi sperimentali. Gruppo 1: intervento multidominio (43 sessioni di gruppo, per integrare training cognitivo, attività fisica, alimentazione e 3 visite preventive) + acidi grassi poli-insaturi omega-3 (2 capsule/giorno pari a una dose giornaliera totale di 800 mg di acido docosaesaneoico + 225 mg di acido eicosapentaneoico); Gruppo 2: intervento multidominio + placebo; Gruppo 3: somministrazione di acidi grassi da soli; Gruppo 4: placebo somministrato da solo. Tutti i pazienti e i membri dello staff coinvolti nello studio non erano a conoscenza dell’assegnazione al Gruppo acidi grassi poli-insaturi e placebo, ma erano al corrente dell’intervento multidominio. La valutazione dei risultati cognitivi è stata effettuata da neuropsicologi non informati dei gruppi di appartenenza. Il risultato primario era il cambiamento dai valori di base ai valori dopo 36 mesi, valutato in base a uno score Z composito, che combinava 4 test cognitivi. Nella popolazione modified intention-to-treat (n=1525), non sono state rilevate differenze significative nel declino cognitivo durante i 3 anni, tra nessuno dei 3 gruppi di intervento vs il gruppo placebo. Almeno un grave evento avverso emergente è stato registrato nei partecipanti dei gruppi sperimentali: intervento multidominio + acidi grassi poli-insaturi (n=146, 36%); intervento multidominio + placebo (n=142, 34%); acidi grassi poli-insaturi (n=134, 33%) e placebo (n=133, 32%). Sono stati registrati 4 decessi correlati al trattamento: 2 nel gruppo intervento multidominio + placebo e 2 nel gruppo placebo. Gli interventi non hanno riscontrato nessun problema relativo alla sicurezza e non sono emerse differenze tra gruppi in eventi avversi seri o di altro tipo. In conclusione l’intervento multidominio e la supplementazione con acidi grassi poli-insaturi, da soli o in combinazione, non hanno fatto registrare effetti significativi sul declino cognitivo durante i 3 anni dello studio, nelle persone anziane arruolate affette da disturbi della memoria. Resta da identificare una strategia di intervento multidominio per prevenire/ritardare, il decadimento cognitivo e individuare la popolazione target, in particolare nelle situazioni della realtà quotidiana (10).

Luteina e zeaxantina nei disturbi visivi e nelle patologie cognitive

Schermata 2017-10-31 alle 12.27.36Luteina (LU) e zeaxantina (ZE) sono carotenoidi alimentari con effetti salutistici in alcuni disturbi visivi e cognitivi. La LU (Fig.4) è una xantofilla corrispondente al β-carotene, con due gruppi ossidrilici negli anelli terminali. I petali dei fiori di Tagetes erecta sono la fonte principale di LU. La ZE, xantofilla (Fig.5) isomero della luteina, si trova nel mais, nel tuorlo d’uovo, nel peperone rosso, nel mango e nell’arancia. Ambedue le xantine, presenti anche in vegetali a foglia verde scura, formano il pigmento naturale dell’occhio umano. Una review recente (11) fa il punto sulle conoscenze relative agli effetti farmacologici indotti dalla supplementazione della dieta con questi due integratori naturali. Si è ipotizzato che LU e ZE esercitino un’azione protettiva in patologie della vista, quali la degenerazione maculare senile (DMS), la cataratta senile (CS), la retinopatia indotta da ipossia ischemica, leggeri danni della retina, la retinite pigmentosa, il distacco retinico, l’uveite e la retinopatia diabetica, e nelle patologie cognitive. Il/i meccanismo/i, grazie al/i quale/i questi carotenoidi sono coinvolti nella prevenzione delle patologie oculari, può essere in qualche modo legato alle loro proprietà di filtrazione della luce blu e ad attività antiossidante locale. Oltre al loro ruolo protettivo dal danno ossidativo indotto dalla luce, evidenze sempre più numerose indicano che LU e ZE possano anche migliorare la normale funzione visiva, aumentando la sensibilità al contrasto di luce e riducendo la disabilità da abbagliamento. Valutazioni sulla supplementazione con LU e ZE indicano che assunzioni moderate di queste sostanze sono associate a un ridotto rischio di DMS e a un minore danno visivo. Questa review prende in esame le quantità più appropriate di consumo, la sicurezza dell’assunzione di LU, i relativi effetti collaterali oltre alle future linee di ricerca (11).

Bibliografia

1. Sterzi S, Giordani L, Morrone M, Lena E, Magrone G et al (2016) The efficacy and safety of a combination of glucosamine hydrochloride, chondroitin sulfate and bio-curcumin with exercise in the treatment of knee osteoarthritis: a randomized, double-blind, placebo-controlled study. Eur J Phys Rehabil Med 52:321-330
2. Macdonald-Clarke CJ, Martin BR, McCabe LD, McCabe GP, Lachcik PJ et al (2016) Bioavailability of potassium from potatoes and potassium gluconate: a randomized dose response trial. Am J Clin Nutr 104:346-353
3. Micka A, Siepelmeyer A, Holz A, Theis S, Schön C (2017) Effect of consumption of chicory inulin on bowel function in healthy subjects with constipation: a randomized, double-blind, placebo-controlled trial. Int J Food Sci Nutr 68:82-89
4. Panahi Y, Khalili N, Sahebi E, Namazi S, Karimian MS et al (2017). Antioxidant effects of curcuminoids in patients with type 2 diabetes mellitus: a randomized controlled trial. Inflammopharmacol 25:25-31
5. Jakeman SA, Henry CN, Martin BR, McCabe GP, McCabe LD et al (2016) Soluble corn fiber increases bone calcium retention in postmenopausal women in a dose-dependent manner: a randomized crossover trial. Am J Clin Nutr 104:837-843
6. De Leo V, Cappelli V, Massaro MG, Tosti C, Morgante G (2017) Evaluation of the effects of a natural dietary supplement with cranberry, Noxamicina® and D-mannose in recurrent urinary infections in perimenopausal women. Minerva Ginecol 69:336-341
7. Olasehinde TA, Olaniran AO, Okoh AI (2017) Therapeutic Potentials of Microalgae in the Treatment of Alzheimer’s Disease. Molecules 2017 22(3):pii 480
8. Dossi CG, Cadagan C, San Martín M, Espinosa A, González-Mañán D et al (2017) Effects of Rosa mosqueta oil supplementation in lipogenic markers associated with prevention of liver steatosis. Food Funct 8:832-841
9. Burak C, Wolffram S, Zur B, Langguth P, Fimmers R et al (2017) Effects of the Flavonol Quercetin and α-Linolenic Acid on N-3 PUFA Status in Metabolically Healthy Men and Women: A Randomised, Double-Blinded, Placebo-Controlled, Crossover Trial. Br J Nutr 117:698-711
10. Andrieu S, Guyonnet S, Coley N, Cantet C, Bonnefoy M et al MAPT Study Group (2017) Effect of long-term omega 3 polyunsaturated fatty acid supplementation with or without multidomain intervention on cognitive function in elderly adults with memory complaints (MAPT): a randomised, placebo-controlled trial. Lancet Neurol 16:377-389
11. Jia YP, Sun L, Yu HS, Liang LP, Li W et al (2017) The Pharmacological Effects of Lutein and Zeaxanthin on Visual Disorders and Cognition Diseases. Molecules 22 (4):pii:E610

Ribodiet®

I nucleotidi sono composti intracellulari a basso peso molecolare e costituiscono le unità di base degli acidi nucleici DNA e RNA, oltre a essere coinvolti in molti processi biochimici. Sono esteri fosforici dei nucleosidi, formati da tre componenti: un composto azotato purinico o pirimidinico, uno zucchero pentoso e uno o più gruppi fosfato. I più importanti sono adenosina, guanosina, inosina, citidina e uridina monofosfato.

I nucleotidi sono da considerarsi come nutrienti “semi-essenziali”. Ciò significa che, in condizioni di mantenimento, la produzione endogena soddisfa i fabbisogni, mentre nelle prime fasi di vita e in condizioni di stress o di danneggiamento di alcuni tessuti, è necessaria la somministrazione esogena (1).

Ogni nuova cellula richiede circa 1 miliardo di nucleotidi per costituirsi e alcuni tessuti hanno limitata capacità di sintesi ex novo, richiedendo così basi di origine esogena che possano essere utilizzate attraverso una via di recupero. Ad esempio, la mucosa intestinale, le cellule ematopoietiche del midollo osseo, i leucociti, gli eritrociti e i linfociti sono incapaci di sintesi ex novo e quindi, per queste cellule, è importante un apporto esogeno di nucleotidi attraverso la dieta (2).

Da oltre 15 anni Prosol è punto di riferimento per le miscele di nucleotidi, commercializzate con il marchio Ribocare®, destinate ai latti formulati per l’infanzia. Sulla scia di questo marchio di successo, l’azienda ha deciso di mettere in campo la profonda conoscenza dei processi estrattivi applicati alle cellule di lievito e, dopo anni di sperimentazioni, ha lanciato sul mercato Ribodiet®, un pool di ingredienti nutritivi di origine non sintetica, che, nel loro complesso, possono apportare effetti benefici all’organismo.

Composizione e Specifiche tecniche

Ribodiet® è un prodotto naturale ottenuto da cellule di lievito grazie a un processo estrattivo controllato, rispettoso della materia prima e che prevede l’utilizzo di acqua, senza l’impiego di solventi organici. Ribodiet® apporta nucleotidi liberi, nucleosidi, oligonucleotidi, frammenti di acidi nucleici, amminoacidi, sali minerali e vitamine del gruppo B (Tab.1).

Schermata 2017-09-12 alle 16.34.49

I ceppi di lievito utilizzati per ottenere Ribodiet® sono Kluyveromyces fragilis o Saccharomyces cerevisiae.

La separazione e la concentrazione di RNA avviene esclusivamente grazie a trattamenti di tipo fisico ed enzimatico e, con una successiva fase di idrolisi enzimatica, si ottengono i nucleotidi liberi. Nella fase finale il prodotto viene disidratato mediante tecnologia spray-dry. La standardizzazione assoluta del processo di concentrazione e idrolisi degli acidi nucleici permette a Prosol di ottenere un ingrediente con un elevato tenore in nucleotidi liberi (>40%) qualitativamente e quantitativamente garantito.

Ribodiet® è un prodotto gluten free, adatto ai vegani, certificato Halal e Kosher.

La Tabella 2 riporta le caratteristiche tecniche di Ribodiet®.

Schermata 2017-09-12 alle 16.35.03

Meccanismo d’azione

Nell’alimentazione umana, la maggiore applicazione dei nucleotidi ricade nel settore dei latti formulati per la prima infanzia e della nutrizione parenterale, in quanto numerose ricerche hanno dimostrato che l’inclusione di nucleotidi in tali prodotti può migliorare la salute intestinale e lo sviluppo del sistema immunitario nei lattanti (3).

Sebbene tutti i nucleotidi non sembrino avere lo stesso effetto, una miscela di essi sembra fornire la risposta più completa. Molti studi condotti in neonati a termine hanno dimostrato che un’integrazione di nucleotidi può ridurre il rischio di diarrea di circa il 24,5%, in quanto migliorano la maturazione del sistema immunitario intestinale (2).

I nucleotidi mostrano anche un effetto diretto sul mantenimento dell’integrità della mucosa intestinale. È stato infatti dimostrato che l’integrazione di nucleotidi in giovani ratti aumenta il peso della mucosa intestinale, l’altezza dei villi (aumento superiore al 25%) e l’attività degli enzimi situati al livello dell’orletto a spazzola (maltasi, saccarasi e lattasi). Ciò suggerisce un’accelerazione della crescita e differenziazione delle cellule intestinali (3). È interessante sottolineare che l’integrazione con una miscela nucleosidi-nucleotidi accelera il recupero dopo privazione di cibo, infezioni o carenza di proteine. Infatti, l’atrofia del piccolo intestino e la ridotta attività degli enzimi dell’orletto a spazzola nei ratti si risolvono rapidamente con la loro integrazione (4).

Relativamente alla salute del microbiota, alcune pubblicazioni affermano che l’integrazione alimentare di nucleotidi migliora la flora microbica intestinale, stimolando la crescita dei Bifidobatteri in vivo (5). I nucleotidi alimentari favoriscono inoltre lo sviluppo della flora intestinale con una predominanza di Bifidobatteri e Lattobacilli e una bassa percentuale di Enterobatteri Gram negativi.

Infine, in merito alla modulazione del sistema immunitario, i nucleotidi hanno dimostrato attività sia sull’immunità umorale sia su quella cellulo-mediata, accelerano la produzione di anticorpi cellule T-dipendenti e sembrano esercitare azioni sulle cellule T-helper in fase di presentazione dell’antigene durante le interazioni cellula-cellula. Una miscela nucleoside-nucleotide (NNM) stimola la proliferazione, la differenziazione e la maturazione dei neutrofili (3). I nucleotidi provocano un aumento transitorio della citotossicità delle cellule natural killer, della produzione dell’interleuchina-2, delle secrezioni di interferone-gamma e riducono il livello di attivazione macrofagica (6). L’integrazione di nucleotidi alimentari aumenta, pertanto, la resistenza alle infezioni batteriche.

Efficacia

Sono stati condotti (presso il laboratorio di Chimica degli Alimenti e Nutraceutica – Dipartimento di Scienze del Farmaco – Università di Pavia) due studi pre-clinici su Ribodiet® per valutare la sua efficacia nella modulazione di alcuni parametri coinvolti nella risposta immunitaria.

È stata utilizzata la linea cellulare THP1, monociti umani, incubata in un terreno di coltura per 24 ore con una concentrazione non citotossica di Ribodiet® (1,25 mg/ml) e, successivamente trattata con lipopolisaccaride ottenuto da Escherichia coli O55:B5 (LPS) per indurre uno stato infiammatorio. Sono stati quindi registrati i livelli di espressione di:

Tumor necrosis factor-α (TNF-α), citochina coinvolta nella prima risposta immunitaria e comunemente utilizzata come marker di un processo infiammatorio in corso;

– Interleuchina-10 (IL-10), altra citochina che si esprime a distanza di alcune ore dall’insorgenza dell’infiammazione e ha il compito di diminuire la produzione di citochine pro-infiammatorie;

– Ossido nitrico (NO), composto secreto come mediatore dell’infiammazione utile nel contrasto di batteri e virus;

– Specie reattive dell’ossigeno (ROS), composti che vengono rilasciati a seguito dell’attivazione dei macrofagi, quale meccanismo di difesa, e sono coinvolti nello stress ossidativo.

I risultati sono riportati in Figura 1.

Fig1

Il trattamento con Ribodiet® ha indotto una riduzione significativa di oltre il 90% dei livelli di espressione di TNF-α rispetto al controllo. L’estratto di lievito ha modulato anche i parametri marker dei processi ossidativi; infatti, dopo l’induzione dell’infiammazione, la presenza del complesso nucleotidico ha ridotto del 22,5% NO e del 55% i ROS. Diversamente, l’espressione della citochina IL-10, ad azione anti-infiammatoria, è risultata significativamente aumentata del 23,5% rispetto al controllo.

I risultati suggeriscono che, nelle condizioni sperimentali impiegate, Ribodiet® esercita una azione anti-infiammatoria, anti-ossidante e immuno-modulante a seguito dell’induzione di un processo infiammatorio.

Un secondo studio è stato condotto per valutare l’efficacia di Ribodiet® in associazione o meno con una fonte di zinco, ingrediente che vanta claim sul sistema immunitario tra quelli ammessi dalla legislazione europea (Regolamento (UE) n.432/2012).

La linea cellulare prescelta è stata sempre la THP1, monociti umani, a cui è stata indotta una infiammazione attraverso LPS poco prima che terminassero le 24 ore di incubazione nel terreno di coltura. Il parametro monitorato è stato TNF-α. La fonte di zinco (0,039 mg/ml, titolo 20%) da sola ha effettivamente un’azione efficace nella riduzione di TNF-α (-16,8%). In associazione a Ribodiet® (1,25 mg/ml) si osserva un forte potenziamento dell’effetto dello zinco che, in combinazione con Ribodiet®, porta a una riduzione dell’espressione del marker del processo infiammatorio del 91,6% rispetto al controllo. I risultati, infatti, indicano che Ribodiet® rafforza significativamente l’azione anti-infiammatoria della fonte di zinco riducendo l’espressione di TNF-α indotta da LPS.

Schermata 2017-09-12 alle 16.35.30

Sicurezza

I nucleotidi sono generalmente riconosciuti come una materia prima sicura. L’uso di nucleotidi in alimenti per lattanti non sembra causare un aumento delle intolleranze gastro-intestinali. Relativamente ai prodotti per la nutrizione medica per adulti, studi su pazienti anziani nutriti per via orale per 12 settimane con una formula ad azione immuno-modulante che conteneva 1,3 g/L di nucleotidi da RNA di lievito, non hanno evidenziato alcuna alterazione dei parametri nutrizionali o metabolici tra il gruppo trattato e il gruppo di controllo.

Applicazioni e Modalità d’uso

Lo studio riportato suggerisce che Ribodiet® è un ingrediente interessante per formulati destinati alla funzionalità del sistema immunitario e che contribuiscono alle naturali difese dell’organismo.

Altre possibili applicazioni di Ribodiet® possono essere:

• Benessere della barriera intestinale

Sport nutrition (fase di recupero dopo la prestazione)

• Cognizione/Concentrazione (carenza di sintesi di nucleotidi a livello cerebrale)

• Assorbimento del ferro.

I dosaggi giornalieri consigliati di Ribodiet® vanno dai 50 ai 350 mg. L’ingrediente può essere utilizzato sia in forme solide sia in forme liquide.

I nucleotidi sono inseriti nell’elenco “altre sostanze ad effetto nutritivo o fisiologico” rilasciato dal Ministero della Salute e utilizzabili in integratori alimentari, ma ne è ammesso l’uso anche per gli alimenti dietetici, alimenti a fini medici speciali, alimenti per lattanti e di proseguimento.

Bibliografia

1. Sánchez-Pozo A, Gil A (2002) Nucleotides as semiessential nutritional components. Br J Nutr 87 Suppl 1:S135-137

2. Koletzko B, Baker S, Cleghorn G et al (2005) Global Standard for the Composition of Infant formula: Recommendations of an ESPGHAN Coordinated International Expert Group. J Pediatr Gastroenterol Nutr 41:584–599

3. Jyonouchi H (1994) Nucleotide actions on the humoral immune response. J Nutr 124, Suppl 138S-143S

4. Belo A, Marchbank T, Fitzgerald AJ et al (2006) Gastroprotective effects of oral nucleotide administration. Gut 55(2):165–171

5. Uauy R (1990) Dietary nucleotides and requirements in early life. Textbook of gastroenterology and nutrition in infancy, E. Lebenthal ed, Raven Press, Ltd, New York, USA: 265-280.

6. Matsumoto Y, Adjei AA, Yamauchi K et al (1995) Nucleoside-nucleotide mixture increases peripheral neutrophils in cyclophosphamide-induced neutropenic mice. Nutrition 11(3):296-299

7. Hess JR, Greenberg NA (2012) The Role of Nucleotides in the Immune and Gastrointestinal Systems: Potential Clinical Applications. Nutr Clin Pract 27(2) 281-294

Schermata 2017-09-12 alle 16.35.41

da L’Integratore Nutrizionale 3 – 2017