Tepezcohuite, l’albero della pelle


Tepezcohuite, l’albero della pelle

di Adriana D’Arienzo e Giorgio Samorini

Schermata 2017-11-09 alle 14.35.22

Schermata 2017-11-09 alle 14.35.12Il genere Mimosa appartiene alla grande famiglia delle Leguminosae e include quasi 500 specie, di cui la maggior parte d’origine americana. Le mimose possono essere molto variabili nell’aspetto, da piccole piante striscianti quali la graziosa M. pudica, nota per le foglie che si chiudono velocemente quando toccate, sino ad alberi di notevoli dimensioni. Una specie apparentemente insignificante – un alberello o arbusto spinoso alto 2-5 m – da tre secoli è diventata protagonista di un’avvincente storia sociale-religiosa in Brasile, e negli ultimi 40 anni ha visto acquisire importanza fitoterapica in Messico, sino a raggiungere la ribalta medica internazionale. Si tratta di Mimosa tenuiflora (Will.) Poiret. Nota con il nome popolare di tepezcouhite in Messico e di jurema in Brasile; sino a non molto tempo fa botanicamente era conosciuta come M. hostilis (C. Marth.) Benth., considerato ora un suo sinonimo.

Un fatto curioso, e anche un poco enigmatico, riguarda la considerazione che il tepezcohuite non sembra essere stato noto fra gli Aztechi, i Maya e le altre popolazioni preispaniche, e non è riconosciuto nemmeno un suo impiego medicinale fra le etnie che vivono nell’area messicana di crescita dell’albero o nelle sue vicinanze, quali Zoque, Mixe, Popoloca, Huave e Zapotechi. Il suo utilizzo terapeutico sembra essere stato promosso in tempi recenti da parte di gruppi mestizo, e la fama delle sue “miracolose” proprietà nelle lesioni dermiche ha raggiunto oggigiorno l’intera popolazione messicana e mondiale (1). A tutt’oggi restano dunque enigmatiche le origini della scoperta delle sue proprietà medicinali; origini che sembrano comunque piuttosto recenti, e che testimoniano la continuità di un vivace potenziale di ricerca e osservazione popolare della natura.

Le proprietà curative del tepezcohuite nelle ustioni acquisirono notorietà internazionale in seguito a una serie di eventi catastrofici verificatisi in Messico negli anni ‘80, fra cui l’eruzione del vulcano Chichonal nel 1982, l’incidente industriale di San Juan Ixhuatepec nel 1984, un terremoto del 1985, e un grave incidente aereo nel 1986. Questi incidenti generarono un grande numero di ustionati, che furono trattati positivamente con applicazioni topiche della corteccia di tepezcouhite. Il disastro di San Juan Ixhuatepec, un paesino vicino a Città del Messico, rappresentò una delle più gravi catastrofi industriali del pianeta, quando 54 giganteschi contenitori di gas naturale liquido scoppiarono uno a uno nel corso di una notte, incenerendo letteralmente il vicino paesino e diverse centinaia di persone, e lasciando sul campo oltre 5000 feriti che riportarono gravi ustioni su tutto il corpo.

Schermata 2017-11-09 alle 14.35.34M. tenuiflora è specie prettamente tropicale, diffusa in diverse aree dell’America Latina: cresce in Messico (stati di Oaxaca e Chiapas), nell’America Centrale (El Salvador, Honduras, Nicaragua, Panama), e nell’America Meridionale (Colombia, Venezuela, Brasile) (2).

L’etimologia del termine messicano tepezcohuite – altrimenti noto come tepescahuite, tepescohuite e tepesquehuite – è incerta. È sicuramente di derivazione nahuatl, la lingua uto-azteca più diffusa nel Messico centrale, e la seconda parte della parola significa “albero” (cuahuitl). L’incertezza risiede nella traduzione della prima parte, variamente interpretata dagli studiosi come “monte” (tepetl), “pelle” (tepex) o ferro (da tepustli), offrendo quindi la rosa interpretativa di “albero del monte”, “albero della pelle” o “albero di ferro”, dove quest’ultima traduzione alluderebbe alla durezza del suo legno (3). Tuttavia, dato che l’albero del tepezcohuite non è prettamente montano, potendo crescere dal livello del mare sino ai 760 m di altitudine, verrebbe da escludere la prima interpretazione come “albero del monte”, e per via delle sue proprietà rigenerative della pelle, la traduzione più plausibile parrebbe essere quella di “albero della pelle”. Nelle altre regioni americane della sua presenza, questa mimosa è chiamata carbón, carbonal, cabrera, cabrero, carbón negro, mentre in Brasile è nota come calumbi, jurema preta o semplicemente jurema. Come vedremo, il principale impiego brasiliano di questa pianta è di tutt’altra natura, e si basa su una proprietà particolare della sua corteccia, quella di indurre stati psichici visionari.

Usi tradizionali e commerciali

Come detto, l’impiego del tepezcohuite nelle ustioni e altre patologie cutanee è originario di una ristretta area del Messico. Fra le popolazioni tradizionali sudamericane si stanno attualmente registrando impieghi simili, ma non è chiaro se ciò sia frutto di contaminazioni culturali recenti, dovute alla diffusione della notorietà di questo albero proveniente dal Messico o, più probabilmente, di rimbalzo dalla globalizzata cultura occidentale. Le popolazioni della caatinga (un particolare ambiente ecologico semi-arido del Brasile nord-orientale, dove crescono gli alberi della jurema) impiegano da tempi “pre-messicani” la loro jurema per scopi medicinali, ed è pressoché sempre la corteccia la parte ricercata. Nella regione di Pernambuco la polvere di corteccia di M. tenuiflora viene disciolta in acqua fredda, oppure ne viene fatto un infuso caldo, e assunta in tal modo per os nel trattamento delle disfunzioni epatiche, dell’anemia e delle appendiciti (4). Nello stato brasiliano di Ceará (Milagres) la corteccia è impiegata in infusione per il dolore ai denti, e come bagno nelle ferite esterne (5). Nello stato di Bahia (Palmeiras) la corteccia è impiegata nel trattamento dei raffreddori e delle ferite (6). Pure nei culti afro-brasiliani la jurema è impiegata come medicinale, per curare le infezioni e le infiammazioni, e nella caatinga è usata per alleviare la fatica e rinforzare l’utero (7). Oltre che per le proprietà medicinali e per quelle visionarie, M. tenuiflora trova impieghi utilitaristici e manifatturieri. Il legno del tronco è usato come legna o come carbone da ardere sia in Messico che in Brasile, mentre la corteccia, ricca in tannini, è usata come colorante per i tessuti (8) e per produrre un adesivo (9). In Messico, nell’impiego popolare viene preparato principalmente un decotto di tepezcohuite, mescolando la corteccia polverizzata con acqua e bollendo sino a ottenere un’elevata concentrazione. Con il prodotto così ottenuto si bagnano delle bende da apporre sulle aree della pelle ferite. Il medesimo decotto viene impiegato come gargarismo nei casi di escoriazioni interne di bocca, palato, gengive, ed è assunto oralmente contro i parassiti o altri problemi gastrointestinali (10). Nel corso di un nostro recente viaggio nello Yucatan, in Messico, e a seguito di colloqui intrattenuti con alcuni venditori di prodotti a base di tepezcohuite, abbiamo ricevuto la conferma che nell’impiego popolare la polvere della corteccia è impiegata anche nella sua forma naturale, sia applicata topicamente che ingerita, senza passare dal decotto. Per quanto riguarda i moderni usi commerciali, la corteccia di tepezcohuite viene impiegata in un’estesa varietà di formulazioni, e nei prodotti commerciali sono fornite le seguenti indicazioni:

• polvere della corteccia, indicata nelle bruciature di secondo e terzo grado, parrebbe favorire la cicatrizzazione e alleviare il dolore (tuttavia, è stato osservato che nelle ustioni severe, di terzo grado, il contatto della polvere con i tessuti danneggiati forma una crosta impermeabile dovuta alla presenza nella corteccia di gomme, cristalli e tannini, che impedisce l’ossigenazione tessutale necessaria per la cicatrizzazione).
sapone, in tutti i tipi di dermatosi, acne, macchie, rughe, smagliature da gravidanza.
pomata, in varie lesioni cutanee: ustioni lievi, affezioni varie della pelle, macchie, funghi e negli herpes simplex e zoster.
estratto, in allergie, eczemi, cicatrici e come vasotonico.
capsule (per os), in iperacidità, gastriti, ulcera peptica e duodenale, coliti, emorroidi e (perfino) emicranie.
talco, sulle ferite, in reazioni allergiche, eruzioni e atrofie cutanee.
shampoo, fortifica il cuoio capelluto, riduce la forfora e la caduta del capello.
gomme da masticare, contro acidità gastrica, emicrania, mal di denti e infezioni alla bocca.
crema umettante, rigenera la pelle e attenua le linee d’espressione.
crema con collagene, rigenera la pelle, riduce le macchie e rallenta la formazione delle rughe (11).

Nello Yucatan abbiamo trovato in commercio anche saponi a base di foglie e non di corteccia di tepezcohuite, oltre a preparati in collirio:

collirio, in secchezza, arrossamenti, bruciori, congiuntiviti, “nubi”, cataratta, miopia.

L’area di raccolta su larga scala del tepezcohuite è incentrata nello stato messicano del Chiapas; una raccolta intensiva che sta rischiando di impoverire se non addirittura estinguere le stazioni di crescita.

L’elevata richiesta da tutto il mondo sta ponendo anche un problema di qualità del prodotto, presentandosi casi di contraffazioni mediante adulteranti, fra cui sono state individuate cortecce di altre Leguminose (Mimosa arenosa, Acacia pennatula), di Byrsonima crassifolia (Malpighiaceae), Luehea candida (Tiliaceae) e Guazuma ulmifolia (Sterculiaceae) (12).

Il tepezcouhite è presente nel commercio erboristico italiano, sebbene non sembra sia ancora molto diffuso.

Molti erboristi lo conoscono, ma solo alcuni lo rendono disponibile nei negozi, con prodotti di case erboristiche principalmente italiane, sia in forma di pomate che di polvere fina della corteccia, entrambe in applicazione rigorosamente topica; alcune ditte preparano anche estratti acquosi e alcolici, sempre per applicazioni topiche.

Le pomate vengono consigliate per problemi dermatologici quali escoriazioni, arrossamenti, foruncoli, mentre la polvere è suggerita nel caso di bruciature, tagli, arrossamento da pannolino e v’è chi suggerisce la psoriasi (in quest’ultimo caso con un trattamento di lunga durata).

Schermata 2017-11-09 alle 14.35.55Aspetti biochimici

La corteccia di M. tenuiflora produce un cospicuo insieme di principi attivi, e ciascuna tipologia ha evidenziato specifiche proprietà farmacologiche e terapeutiche.

Dalla corteccia di campioni messicani sono state isolate tre saponine triterpenoidi, nominate mimonosidi A-C (13), tre saponine steroidi, alcuni steroli, fra cui lupeolo, campesterolo e stigmasterolo (14), oltre a elevate concentrazioni di tannini, che possono superare la concentrazione del 16% (15).

In cortecce di campioni messicani sono stati isolati dei polisaccaridi denominati arabinogalattani (16), mentre nelle foglie e nella corteccia di campioni brasiliani sono stati individuati dei flavoni, fra cui la sakuranetina (17). Ancora, dai rami piccoli di piante  del Chiapas sono stati identificati due calconi, nominati kukulkanine A e B (18).

Per quanto riguarda gli alcaloidi, M. tenuiflora e alcune altre congeneri producono dei derivati triptaminici dotati di potenti proprietà allucinogene, e di cui il principale è il DMT (dimetiltriptamina). La corteccia dei campioni brasiliani può raggiungere e superare concentrazioni dell’1% del peso secco; considerando che un dosaggio medio di DMT per l’uomo adulto è fra i 30 e i 50 mg, si tratta di concentrazioni elevate (19).

I campioni messicani sembrerebbero produrre concentrazioni inferiori di alcaloidi, non essendo state per ora registrate concentrazioni superiori allo 0,35% del peso secco, con la massima concentrazione nel periodo estivo (gennaio) e la minima in quello invernale (giugno). Con lo scopo di evitare il più possibile il rischio di assorbimento dermico del DMT nel contesto del trattamento delle affezioni dermiche, per scopi commerciali viene quindi preferita la raccolta della corteccia durante il periodo invernale (20).

La maggiore concentrazione di DMT è stata per ora ritrovata nella corteccia di M. ophthalmocentra, raggiungendo l’1,6% del peso secco, una quantità davvero eccezionale, e che fa di questa pianta l’essere vivente che ne produce di più in assoluto. Anche questa specie è impiegata nei riti brasiliani della jurema sotto il nome di jurema vermhela (21).

Schermata 2017-11-09 alle 14.36.18Proprietà farmacologiche

Come si è visto, le principali indicazioni mediche dei preparati derivati dalla corteccia di tepezcohuite comprendono il trattamento di ferite cutanee, ulcerazioni, e ustioni.  Dati clinici provenienti da studi messicani e internazionali, tra cui uno italiano, hanno confermato l’efficacia di questa terapia.

I tannini della corteccia di tepezcohuite sembrano ricoprire un ruolo importante nel meccanismo di guarigione, dato che possiedono proprietà antimicrobiche, evidenziate in studi in vitro, contro un ampio gruppo di microorganismi Gram-positivi e negativi, lieviti e dermatofiti. Lo spettro antimicrobico si estende dall’inibizione della crescita di Gram positivi (Staphylococcus aureus), a Gram negativi (Escherichia coli e Pseudomonas aeruginosa) e funghi (Candida albicans). La maggiore attività riscontrata nei confronti dei Gram+ rispetto ai Gram–  è dovuta probabilmente ai gruppi fenolici presenti nella corteccia, che riescono a penetrare con difficoltà la barriera dei Gram– costituita dal lipopolisaccaride batterico (22). Estratti etanolici di corteccia di M. tenuiflora hanno evidenziato una significativa attività contro ceppi farmaco-resistenti di S. aureus isolati in un ospedale brasiliano, e con tempi di reazione molto brevi, con una riduzione del 99,9% delle cellule microbiche dopo solo 30 minuti dall’applicazione (23). Gli estratti di corteccia di tepezcohuite sono positivamente impiegati nel trattamento delle ulcerazioni venose degli arti inferiori (VLU). Queste ulcere colpiscono circa l’1% degli adulti durante il corso della vita, e sono dovute a un’insufficienza vascolare la cui cronicizzazione comporta un aumento della pressione nelle vene delle gambe e l’induzione di una cascata deleteria di determinati eventi metabolici. I trattamenti moderni prevedono lavaggi e sbrigliamenti quotidiani della ferita congiuntamente all’impiego di antibiotici topici e di bendaggi compressivi; tuttavia, in numerosi casi questi trattamenti sono inefficaci, e le ulcerazioni persistono per mesi o anni, causando dolore cronico e disabilità.

L’efficacia del tepezcohuite nel trattamento delle ulcerazioni venose agli arti inferiori è stata esaminata da gruppi di ricerca messicani: in un primo studio è stata valutata la risposta di pazienti affetti da diversi anni (8-9 in media) da questa patologia, non responsivi ad altri rimedi e procedure. Il trattamento consisteva nell’applicazione di un idrogel a base di un estratto di corteccia di tepezcohuite. La risposta è stata poi confrontata con quella del  gruppo di controllo, trattato con lo stesso idrogel, ma privo degli estratti (placebo). Nel follow-up a tredici settimane si è riscontrata risposta positiva nel 92% dei pazienti del gruppo, rispetto ad un solo paziente del gruppo di controllo.

Gli effetti cicatrizzanti sono stati osservati sin dalle prime settimane di trattamento, e la completa cicatrizzazione ha richiesto tempi differenti a seconda della grandezza dell’area dell’ulcera. Nessun paziente ha riscontrato effetti collaterali (24).

Una risposta critica a questo studio è stata successivamente prodotta dal gruppo di Lammoglia-Ordiales, in cui vengono analizzati nuovamente gli effetti degli estratti di mimosa sul trattamento delle VLU, utilizzando criteri di valutazione più selettivi. Secondo gli autori, non ci sarebbero differenze statisticamente significative nei risultati ottenuti con i due tipi di trattamento – idrogel con estratti di mimosa rispetto al solo idrogel – nell’evoluzione clinica della ferita, sebbene l’istologia mostri una riduzione dell’infiltrato di neutrofili nella ferita, caratteristica che depone per gli effetti anti-infiammatori degli estratti. Questo quadro istopatologico non ha trovato riscontri clinici sull’evoluzione della ferita (25). Resta quindi da confermare, su campioni di pazienti più ampi, l’efficacia del tepezcohuite nel trattamento delle ulcere venose agli arti inferiori.

Schermata 2017-11-09 alle 14.36.36Anche in Italia è stato sviluppato uno studio clinico con il tepezcohuite, con risultati molto promettenti. L’indagine è stata condotta presso la Clinica Ostetrica e Ginecologica di Ortona su un campione di 65 donne in allattamento affette da ragadi del capezzolo. Sulle aree coinvolte dalle ragadi è stata applicata una pomata a base di M. tenuiflora e Calendula officinalis, integrate con vitamine A ed E. La calendula esplica un’azione sinergica con quella del tepezcohuite, per via del suo contenuto di esteri triterpendiolici, che hanno riconosciute proprietà anti-infiammatorie e di riduzione degli edemi, favoriscono la rigenerazione epiteliale, oltre ad avere proprietà antibatteriche e antiossidanti. La vitamina A è un regolatore epiteliare che stimola le cellule basali nella produzione di muco, mentre la vitamina E ha significative proprietà antiossidanti, ed entrambe le vitamine contrastano il danno indotto dai radicali liberi e aiutano a mantenere il trofismo fisiologico della cute. In seguito a 6-7 applicazioni giornaliere della crema (dopo ogni poppata), è stata osservata una risoluzione delle ragadi sanguinanti nel 95,6% dei casi entro le 48-72 ore, una riduzione di fissurazioni ed eritemi fino a scomparsa totale nell’89-93% dei casi, e un miglioramento dell’elasticità del capezzolo nell’81,5% dei casi. La scarsità di benefici è stata riscontrata in sole 2 donne su 65. Con questi risultati non è stato necessario interrompere l’allattamento, evento che si verifica di frequente in seguito alla comparsa delle ragadi mammarie (26).

Un’altra indagine clinica è stata condotta più recentemente in Francia su 56 pazienti affetti da ulcere diabetiche, da insufficienza venosa e da decubito, ai quali è stato applicato topicamente l’estratto tanninico della corteccia di tepezcohuite da solo o in combinazione con l’estratto tanninico delle parti aeree di Alchemilla vulgaris, quest’ultima dotata di proprietà cicatrizzanti e impiegata tradizionalmente nel trattamento delle vene varicose. Dopo sei settimane di trattamento è stata evidenziata una riduzione del 98% della superficie ulcerosa rispetto al 33% del gruppo di controllo, e una riduzione del volume della ferita del 94% rispetto al 30% del gruppo di controllo. I risultati più positivi sono stati ottenuti con la combinazione, evidentemente sinergica, degli estratti delle due piante. Sono state osservate anche riduzioni dell’essudato della ferita e del dolore. Le proprietà terapeutiche sulle ulcere sarebbero dovute ai tannini presenti in entrambe le piante, in particolare alle procianidine, che neutralizzerebbero l’attività di certi enzimi coinvolti nella degradazione della matrice extracellulare, favorendo quindi la crescita dei fibroblasti (27).

In questi ultimi anni è stato elaborato in laboratorio un composto a base di chitosano e tepezcohuite per applicazioni di ingegneria tessutale (28). Il chitosano è un polimero biodegradabile, derivato dalla chitina, che possiede proprietà cicatrizzanti, emostatiche e batteriostatiche. Le proprietà antimicrobiche sono dovute alla sua natura cationica e, grazie alle caratteristiche di biocompatibilità, biodegradabilità e permeabilità, è utilizzato come sistema di rilascio di farmaci all’interno di tessuti biologici. È stato osservato come la presenza di M. tenuiflora modifichi la superficie dei biofilm di chitosano, migliorandone la stabilità termica, la permeabilità, e l’attività antibatterica, senza evidenziare citotossicità. La maggiore idrofilia comporta un’aumentata capacità del biofilm di assorbire l’eccesso di essudato dalla ferita, previene la disidratazione, promuove gli scambi gassosi tessutali, favorisce la rigenerazione delle cellule morte, protegge la ferita dalle infezioni batteriche. La citotossicità del biofilm combinato (chitosano/mimosa) è risultata significativamente ridotta rispetto a quella dei biofilm presi singolarmente (29).

La medesima combinazione di chitosano e tepezcohuite, nel rapporto ottimale di 80:20, ha evidenziato promettenti proprietà osteogeniche applicabili alla bioingegneria tissutale ossea, essendo dotato di una buona osteoconduttività e promuovendo la proliferazione e differenziazione degli osteoblasti (30).

Parrebbe contribuire all’effetto curativo degli estratti acquosi del tepezcohuite anche una componente polisaccaridica, identificata a elevate concentrazioni nella corteccia e dotata di spiccati effetti stimolanti la crescita cellulare e la proliferazione di fibroblasti cutanei e dei cheratinociti, indice di un impatto positivo di certi carboidrati sulla rigenerazione in seguito a lesioni cellulari. La stimolazione in vitro dei fibroblasti dermici da parte di questi polisaccaridi – arabinogalattani – è stata evidenziata mediante la quantificazione dell’attività mitocondriale, l’indice di proliferazione cellulare e l’espressione genica (31). I medesimi estratti polisaccaridici hanno evidenziato in laboratorio un’attività stimolante la risposta infiammatoria di tipo acuto, attraverso il coinvolgimento dell’ossido nitrico, richiamando l’attenzione sul un loro eventuale effetto immunomodulante (32). Ancora, l’estratto etanolico e i flavoni della corteccia, di cui il principale è la sakuranetina, hanno evidenziato elevate attività antinocicettive periferiche e anti-infiammatorie (33), e studi in vitro hanno mostrato come le saponine triterpenoidi (mimonosidi A-C) inducano la proliferazione cellulare e possiedano capacità immuno-modulanti (34). Una proprietà che resta ancora a un livello aneddotico, pur solido, riguarda un’attività analgesica della durata di 2-3 ore riscontrata sulle bruciature con l’applicazione topica di tepezcohuite (35).

Recenti studi di laboratorio hanno evidenziato un’altra interessante proprietà degli estratti acquosi di M. tenuiflora, utili nel trattamento dell’avvelenamento da puntura di scorpione, sebbene non sia nota questa applicazione nel contesto tradizionale, né messicano né brasiliano. Come reazione patologica che fa seguito a questo tipo di avvelenamento, il corpo produce diverse citochine pro- e anti-infiammatorie, fra cui interleuchine che, pur essendo essenziali per la riparazione della struttura e della funzione del tessuto cellulare, possono contribuire all’aggravamento del danno tissutale; un’ulteriore conseguenza indotta dal veleno risiede nello sviluppo di una peritonite indotta dalla migrazione di cellule verso la cavità peritoneale. Il meccanismo d’azione di M. tenuiflora si baserebbe su una significativa inibizione di tale migrazione cellulare nella cavità peritoneale, e su una contemporanea riduzione delle concentrazioni delle interleuchine (36).

Un dato curioso: in esperimenti di laboratorio, colture cellulari di tepezcohuite sono state trapiantate in tessuto animale, sopravvivendovi oltre 120 giorni; primo caso di trapianto “inter-regni” (37).

La Jurema del Brasile

M. tenuiflora, insieme ad alcune altre congeneri, è impiegata come fonte visionaria in un insieme di riti riuniti sotto il termine di “culto della Jurema”, e anche in questo caso la parte impiegata è la corteccia dell’albero. Questo culto è originato nell’area nord-est del Brasile, presso un gruppo di etnie distribuite principalmente negli stati di Pernambuco, Alagoas, Bahia, fra cui si annoveravano i Pancararú, Tusha, Guegue e Pimenteira. Non disponiamo di dati che possano indicare quanto antico sia questo culto, e le prime documentazioni della sua esistenza sono presenti nei documenti inquisitoriali del XVIII secolo (38).

Nel XX secolo è stato erroneamente riferito da diversi studiosi che il culto della Jurema si estinse presumibilmente durante il XIX secolo. La pressione inquisitoriale di stampo portoghese non riuscì a estinguerlo del tutto, e fu tramandato segretamente da parte di limitati gruppi nativi. In un periodo che va dalla fine del XVII secolo agli inizi del XIX secolo, la conoscenza della bevanda della jurema fu trasmessa dalle popolazioni native a gruppi di schiavi neri che fuggivano in direzione dei quilombo, le comunità rurali in cui trovavano rifugio e protezione. Questi neri di discendenza africana introdussero l’uso della bevanda della jurema nei culti di possessione afro-brasiliani, in particolare nel Candomblé e, più tardi, nell’Umbanda. Questi medesimi culti influenzarono a loro volta i culti nativi della Jurema, i quali acquisirono e integrarono le teologie e le modalità rituali specifiche dei culti di possessione.

Da oltre due secoli il Brasile è sede di un fenomenale crogiolo sperimentale di culti e di pratiche religiose che continuamente si ramificano, si frammentano, si accorpano, si “intersecano”, al punto che in diversi casi risulta difficile determinare i contesti d’origine degli elementi cultuali, rituali e teologici che li compongono; e in una siffatta “matassa cultuale” rientra in pieno la Jurema.

Una caratteristica peculiare del culto della Jurema, in particolare quello dei nativi, è la sua segretezza. Nessun antropologo è mai riuscito a partecipare e nemmeno a farsi descrivere dai nativi cosa avviene nei riti più intimi del culto, e i nativi fanno ben attenzione a non divulgarne i segreti, né agli altri gruppi tribali, né tanto meno ai bianchi. In questo senso il culto della Jurema è a tutti gli effetti un culto misterico, cioè un culto di cui i partecipanti non devono parlare a chi non ne è direttamente partecipe.

Del nucleo più originario del culto, sappiamo che un gruppo di persone di entrambi i generi esegue danze in forma circolare mantenendo una direzione antioraria, il tutto accompagnato da motivi sonori al ritmo delle maracas e dei passi dei ballerini. La bevanda della jurema è collocata al centro dell’ambiente ed è distribuita in determinati momenti della cerimonia, durante la quale si alternano momenti in cui i partecipanti sono seduti in circolo, e altri in cui danzano. Durante lo stato visionario, i partecipanti assumono una particolare postura, con il torso inclinato in avanti e lo sguardo fisso sul terreno. Nei riti ricopre un ruolo importante il fumo del tabacco, che viene “fumato” in apposite pipe in una maniera del tutto particolare, cioè all’incontrario; il payé o altra figura carismatica che conduce il rito soffia dentro a una pipa dalla parte del fornello dove si trova una brace di tabacco accesa, facendo fuoriuscire il fumo dalla parte del bocchino. Questo fumo viene sparso sulla ciotola che contiene la bevanda della jurema, con lo scopo di “attivarla”, e attorno alle persone, per purificarle.

Per quanto riguarda i culti di possessione, questi sono diffusi in gran parte del territorio brasiliano, oltre che nelle Antille, e si diversificano in base a fattori storici e culturali. Come nucleo centrale del rito, hanno in comune il raggiungimento di uno stato fisico-mentale che è chiamato “possessione”, durante il quale degli individui – denominati nel Vudu per lo più “cavalli” – cadono in trance e il loro corpo e la loro voce vengono “usurpati” da entità spirituali – i “cavalieri” – le quali in tal modo si manifestano e comunicano i loro consigli e le loro volontà. Lo stato di trance viene indotto dal suono e dal canto di motivi sonori (linee) che sono specifici di ciascuna entità spirituale. È sufficiente che i musicisti accennino alle prime note di una certa linea, che alcuni partecipanti vanno “fuori di sé”, mettendosi a gesticolare e a parlare in maniera non loro, ma come quella dell’entità che la possiede. È in questo contesto religioso-culturale che la Jurema si è diffusa nei culti afro-brasiliani Catimbó, Candomblé, Umbanda, Xangô, Toré, Maracatu.

Le entità che possiedono i fedeli sono di natura generalmente benigna, o comunque l’interazione rientra utile negli aspetti terapeutici e psico-terapeutici. Nel rito di possessione Catimbó/Jurema, ad esempio, vi sono i Cabloco, entità indigene che curano mediante la conoscenza delle erbe, sono considerati spiriti elevati che lavorano per il bene, ma sono anche molto temuti poiché possono diventare pericolosi quando scagliano contro qualcuno le loro frecce. I Mestre sono anch’essi spiriti che curano, ma di discendenza schiava o meticcia, e sono riconosciuti come persone che durante la vita lavoravano nei campi e avevano conoscenze nel mondo vegetale; ma accadde loro qualcosa di tragico, morirono e tornano ora per apportare il loro aiuto al genere umano (39).

Un elemento rituale caratteristico di diversi culti afro-brasiliani “juremados” (dove si assume la jurema come fonte visionaria) è la pratica di inserire un seme di Mimosa sotto la pelle dei novizi. Uno dei riti del Catimbó, noto come juremação o implantação da semente, consiste nel piantare, magicamente o realmente sotto la pelle del corpo del discepolo un seme dell’albero della jurema. Anche nell’Umbanda viene praticata la oberização, il taglio rituale per l’impianto del seme della jurema, eseguito all’altezza del torace della persona. Quest’operazione serve “per aprire i cammini affinché le entità discendano e possano manifestarsi, ed è la jurema ad aprire i cammini per le varie entità” (40).

Stando allo stato attuale degli studi etnobotanici, le specie coinvolte nel culto della jurema parrebbero essere cinque: la più famosa e quella più utilizzata è jurema preta, M. tenuiflora, il tepezcohuite dei messicani; seguono M. verrucosa Benth. (jurema branca o jurema mansa), M. ophthalmocentra Mart. ex Benth. (jurema vermhela, “rossa”, o jurema-de-embira), M. acutistipula Benth. (jurema branca jurema preta e jureminha), e M. arenosa (Willd.) Poir. (jurema preta e jureminha).

I nativi usano l’una o l’altra di queste specie a seconda dell’etnia o dei diversificati simbolismi religiosi associati a questi alberi. Fra i Kariri-Shoko viene usata la jurema branca o quella vermelha, e non viene mai usata la jurema preta, perché ritengono che endoida (“fa impazzire”); “la preta ha una forza non comune, la gente la teme come pericolosa. Non si controlla. Può perfino portare alla distruzione”. Jurema preta è normalmente associata ai trabalhos per fare del male (la stregoneria) (41). Gli Atikum dicono che “porta sofferenze nella corrente”, mentre la jurema senza spine è la pianta della “scienza dell’indio” (42).

La bevanda della jurema viene ricavata lasciando macerare in acqua fredda la corteccia della pianta. O per lo meno questa dovrebbe essere la ricetta originaria, per la quale si è presentato il seguente enigma farmacologico: com’è possibile che la semplice introduzione orale della bevanda, contenente DMT, possa essere visionaria, dato che questa molecola non è attiva per via orale, a causa dell’attività metabolica della MAO presente nell’apparato digerente umano? Un problema che già si conosce per la bevanda dell’ayahuasca, e la cui soluzione risiede nella co-presenza in questa di MAO-inibitori (i-MAO) (43).

Su questo “mistero della jurema” si è discusso ampiamente negli ultimi decenni e si sono presentate due ipotesi generali, entrambe indirizzate come risoluzione verso l’individuazione di una fonte di MAO-inibizione che in un qualche modo si ritroverebbe presente nella bevanda, o come ingrediente aggiunto, o presente internamente alla radice della jurema. Nella prima possibilità di una fonte i-MAO direttamente aggiunta alla bevanda, potrebbe avvenire consapevolmente, e in questo caso potrebbe far parte di quel segreto della sua preparazione così tanto acclamato dalle popolazioni native. A tale riguardo, è stata posta l’attenzione su alcuni diffusi additivi alla bevanda della jurema, quali manacá (Brunfelsia uniflora Bon), maracujá (una specie di Passiflora) e il tabacco, tutte fonti di MAO-inibitori (44). La seconda ipotesi vedrebbe un qualche composto MAO-i presente nella medesima fonte della jurema, cioè insieme al DMT internamente alla corteccia della pianta. E quando nelle radici della jurema è stato scoperto un altro alcaloide indolico, la yuremamina, prodotto in quantità dello 0,11% del peso secco, subito è stato sospettato essere la molecola i-MAO mancante, anche per via di certe caratteristiche della sua struttura chimica (45). Ma si tratta di un’ipotesi ancora da confermare mediante specifici studi farmacologici.

 

Bibliografia

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