Integratori alimentari di origine naturale


Integratori alimentari di origine naturale

Novità dalla letteratura scientifica

Domenico Barone

Gli integratori alimentari di origine naturale, soprattutto quelli derivati da piante, sono ampiamente utilizzati per diversi ambiti salutistici, grazie anche al convincimento, da parte di molti consumatori, che i prodotti naturali siano meno dannosi rispetto alle medicine di sintesi. Naturalmente questa è una convinzione errata, basta pensare ai veleni di certi funghi che, pur essendo naturali, sono mortali.
La comunità scientifica, specializzata nel settore, non smette di individuare e caratterizzare meccanismi d’azione, di valutare efficacia, effetti collaterali, farmacocinetici e tossicologici degli integratori di origine naturale, sia a livello pre-clinico che clinico. L’aggiornamento che qui proponiamo riguarda soprattutto la ricerca clinica, ma rappresenta solo una piccola parte dell’attività di ricerca sugli integratori alimentari naturali comparsa negli ultimi mesi.

Associazione di glucosammina-HCl, condroitin-SO4, bio-curcumina nell’osteoartrite

Il trattamento conservativo dell’osteoartite del ginocchio mira a ritardare la degenerazione delle cartilagini articolari. L’assunzione di agenti condroprotettivi è un valido approccio in questa direzione. Tre sono i principali integratori con attività condroprotettiva. Uno è la glucosammina (G), ammino-monosaccaride, uno dei principali precursori della sintesi delle proteine glicosilate e dei lipidi. È uno dei maggiori componenti del carapace chitinoso di crostacei e altri artropodi, ma si trova anche nei funghi, in molti organismi superiori e nel lipopolisaccaride della parete cellulare dei batteri Gram-negativi.
Il secondo è il condroitin-SO4 (CS), glicosammino-glicano solfato, composto da una catena alternata di zuccheri (N-acetil-galattosammina e acido glucuronico); è un componente strutturale della cartilagine, cui conferisce la quasi totalità della resistenza alla compressione. Associato alla glucosammina, il condroitin-SO4 è un integratore alimentare usato nell’osteoartrite.
Il terzo è la curcuma: ha proprietà benefiche e curative, è utilizzata come integratore alimentare naturale grazie alla capacità di contrastare i processi infiammatori all’interno dell’organismo. Il principio attivo più importante è la curcumina, che ha proprietà antitumorali, è antinfiammatoria e analgesica e trova, perciò, impiego efficace nel trattamento di infiammazioni, dolori articolari, artrite e artrosi. Potente antiossidante, è in grado di contrastare l’azione dei radicali liberi, responsabili dei processi di invecchiamento.
È stato condotto un trial clinico multicentrico, prospettico, randomizzato, in doppio cieco, controllato con placebo, per valutare gli effetti di efficacia e sicurezza dei 3 agenti condroprotettivi presenti in un integratore alimentare disponibile commercialmente: glucosammina-HCl (500 mg), condroitin-SO4 (400 mg), bio-curcumina (BCN-95®, 50 mg), associati a esercizio fisico, nel trattamento conservativo dell’osteoartrite del ginocchio di grado lieve-moderato, finalizzato a ritardare la degenerazione della cartilagine articolare (1).
I pazienti arruolati nello studio (n=53) sono stati assegnati in modalità random al gruppo sperimentale (n=26,2 capsule al giorno x 2 settimane) o al gruppo di controllo (n=27, placebo). I pazienti dei 2 gruppi hanno partecipato a 20 sessioni di fisioterapia durante i 2 mesi del trial. Risultato clinico primario è stata l’intensità del dolore, misurata sia in movimento che a riposo, con la Visual Analogue Scale (VAS). Risultato clinico secondario è stata la valutazione della funzionalità del ginocchio, effettuata con il Western Ontario, il McMaster Universities Arthritis Indices e il Lequesne Index, con la misura dell’ampiezza del movimento del ginocchio (AMG) e di 2 marker di infiammazione (proteina C-reattiva e velocità di sedimentazione eritrocitaria). Ogni valutazione è stata effettuata al tempo 0 (T0) e a 8 (T1) e 12 (T2) settimane. I valori della VAS a riposo sono risultati ridotti da T0 a T1 e da T0 a T2 (F=13,712; p=0,0001), senza differenze tra i gruppi (F=1,724; p=0,191). I valori della VAS in movimento hanno mostrato una significativa interazione “gruppo x tempo di controllo” (F=2,491; p=0,032), con effetto crescente del tempo sulla riduzione della VAS (F=17,748; p=0,0001), più pronunciato nel gruppo sperimentale al T1 (F=3,437; p=0,045). L’indice di Lequesne è risultato ridotto a T1 e T2 vs T0 (F=9,535; p=0,0001), insieme con l’effetto gruppo, poiché il gruppo trattato ha registrato uno score più basso a T2 (F=7,091; p=0,009). Non sono stati registrati cambiamenti significativi nei marker e dell’AMG. Riassumendo, questo studio preliminare suggerisce che la somministrazione di curcuminoidi, associati a glicosaminoglicani e fisioterapia, può ridurre il dolore e migliorare lo score algofunzionale nei pazienti affetti da osteoartrite del ginocchio di grado lieve-moderato (1).

Biodisponibilità di potassio alimentare e potassio gluconato

Il 20% circa del fabbisogno di potassio (K) è apportato, nella dieta americana, dalle patate. La biodisponibilità e la dose/risposta di K proveniente da patate bianche non fritte, con la buccia (mirata a 20, 40 e 60 mEq di K) è stata confrontata con patate fritte (40 mEq di K) con potassio gluconato alle stesse dosi, aggiunto ad una dieta basale contenente ~60 mEq di K.
Sono stati arruolati, in un trial clinico in singolo cieco, cross-over, randomizzato (2), 35 uomini e donne sani e normotesi, dell’età di 29,7±11,2 anni (media±S.D.), con indice di massa corporea di 24,3±4,4 kg/m2). I partecipanti sono stati assegnati, parzialmente random, all’ordine in cui il test è stato eseguito, per 9 interventi di 5 giorni di K aggiuntivo: 0 (controllo; ripetuto alle fasi 1 e 5), 20, 40 e 60 mEq di K/giorno, consumato come integrazione con K-gluconato o come patate non fritte o 40 mEq di K come patate fritte, completato alla fase 9. La biodisponibilità del K determinata dall’AUC (area sotto la curva) dei livelli di K nel siero a diversi tempi, aumentava con la dose (p<0,0001) e non differiva in base all’origine del K (p=0,53). Anche l’escrezione cumulativa di K nelle 24 ore è aumentata con l’aumento della dose (p<0,0001) ed è risultata maggiore con le patate che con l’integrazione (p<0,0001). L’analisi cinetica ha mostrato che l’efficienza dell’assorbimento è stata elevata in tutti gli interventi (>94±12%). Non sono state registrate differenze significative della pressione sanguigna o dell’indice di incremento (AIx) causate dall’origine del K o alla sua dose. In conclusione, la biodisponibilità del K è risultata di pari entità con l’integrazione a base di patate e con quella di potassio gluconato (Trial NCT01881295).

Effetto dell’inulina sulla funzione intestinale

Schermata 2017-10-31 alle 12.26.33La cicoria (Cichorium intybus) è una pianta erbacea selvatica della famiglia delle Asteraceae, dalle cui radici e parti aeree si ricava un oligosaccaride, l’inulina (Fig.1), polimero glucidico (m.m. ~5000 Da) e fibra vegetale solubile, non assorbita dall’intestino. Tra le varie attività salutistiche attribuite all’inulina, c’è la capacità di prevenire la costipazione e di favorire la motilità intestinale. La costipazione, o stipsi, è una tra le più comuni affezioni nel mondo occidentale. È stato effettuato uno studio clinico (NCT02548247) finalizzato a determinare gli effetti di inulina sulla frequenza della defecazione in soggetti sani affetti da costipazione (3). In questo trial clinico, condotto in base ai recenti documenti di orientamento per la valutazione della funzione intestinale, è stato usato un disegno randomizzato, in doppio cieco, controllato con placebo, cross-over, con 2 settimane di wash out. Ogni periodo dello studio comprendeva una fase di inserimento, seguita dall’assunzione giornaliera di 3 x 4g di inulina x 4 settimane o di maltodestrina. Sono stati arruolati nello studio 44 volontari sani, con costipazione, frequenza e consistenza di evacuazione, caratteristiche gastrointestinali e qualità di vita documentate. Il consumo di inulina ha aumentato significativamente (p=0,038) la frequenza delle evacuazioni (mediana 4,0 [interquartile range (IQR) 2,5-4,5]) vs la malto destrina (3 [IQR 2,5-4,0] evacuazioni/settimana), cui si è aggiunto l’ammorbidimento della consistenza delle feci ed una tendenza verso una maggior soddisfazione rispetto al placebo (p=0,059). Questi risultati dimostrano che l’inulina è efficace in individui con costipazione cronica e migliora significativamente la funzionalità intestinale (3).

Curcuminoidi in pazienti diabetici

Schermata 2017-10-31 alle 12.26.58Dal punto di vista farmacodinamico, la curcumina (estratta dalla Curcuma longa) presenta vari target farmacologici e molecolari riconducibili, in genere, all’inibizione di fattori di trascrizione genica coinvolti in processi infiammatori, nonché enzimi, metalli, proteine di trasporto e proteine chinasi. Sono vari e sofisticati gli strumenti di indagine chimico-fisica che hanno permesso di individuare i diversi target molecolari e farmacologici della curcumina e dei suoi metaboliti e/o derivati. Tra questi, la spettroscopia, la risonanza plasmonica di superficie, la competizione legame-ligando, la radiomarcatura, la mutagenesi sito diretta, l’immunoprecipitazione, e molte altre metodiche di ricerca molecolare spesso adoperate per intuire i siti di legame di molecole. Target molecolari della curcumina e dei suoi metaboliti attivi sono diversi e variegati e sfruttano meccanismi di inibizione o di potenziamento, riconducibili a sette macro categorie molecolari: enzimi, proteine chinasi, proteine reduttasi, proteine trasportatrici, molecole pro-infiammatorie, metalli e altro. Lo stress ossidativo ha un ruolo chiave nella patogenesi del diabete mellito (tipo II, DMT2) e nelle complicanze vascolari della patologia. Ciò spiega perché una terapia antiossidante sia suggerita come approccio potenziale per rallentare e smorzare decorso e progressione del DMT2. Scopo di uno studio clinico randomizzato, doppio cieco, controllato con placebo (PLA) è stato valutare gli effetti della supplementazione della dieta di pazienti diabetici di tipo II con curcuminoidi, polifenoli naturali (Fig.2) ottenuti dalla curcuma, sugli indici ossidativi in soggetti diabetici di tipo II. Sono stati arruolati nello studio 118 soggetti affetti da DMT2, randomizzati nei gruppi curcuminoidi (1000 mg/giorno, co-somministrati con piperina (10 mg/giorno), per 8 settimane) e PLA. Capacità antiossidante totale del siero (CATS), attività superossido dismutasi (SOD, enzima antiossidante) e concentrazioni della malonilaldeide (MDA, marker dello stress ossidativo) sono state misurate al tempo 0 e alla fine del periodo di supplementazione. L’assunzione di curcuminoidi ha indotto un aumento significativo delle attività CATS e SOD (p<0,001), mentre i livelli serici di MDA sono risultati significativamente ridotti vs PLA (p<0,001). Questi dati sono rimasti statisticamente significativi anche dopo aggiustamento per potenziali confondenti (differenze della linea di base dell’indice di massa corporea e dell’insulina serica a digiuno). In conclusione, questi risultati supportano l’effetto antiossidante della supplementazione con curcuminoidi in soggetti con DMT2 e incentivano ulteriori studi per valutare l’impatto di questi effetti antiossidanti sull’incidenza delle complicanze diabetiche e degli endpoint cardiovascolari (4).

Fibre solubili di mais nella ritenzione di calcio in donne in post-menopausa

L’osteoporosi è una condizione clinica in cui lo scheletro è soggetto a perdita di massa ossea e resistenza, a causa di fattori nutrizionali, metabolici o patologici. Questa patologia è caratterizzata da un basso contenuto di calcio nelle ossa, dalla progressiva perdita di tessuto osseo, con conseguente fragilità dello scheletro e predisposizione alle fratture. Il legame fra menopausa ed osteoporosi è noto da tempo: la diminuzione della produzione di estrogeni da parte delle ovaie rappresenta un fattore di rischio per l’insorgenza di questa patologia. Infatti, gli estrogeni intervengono nella regolazione della quantità di calcio presente nell’osso: con la menopausa, i loro livelli ematici calano e il controllo sul calcio nell’osso si riduce, lasciando una struttura porosa e fragile. Tra i vari integratori alimentari naturali, utilizzati per prevenire/curare l’osteoporosi, troviamo la fibra alimentare solubile di mais (FASM) che facilita l’assorbimento del calcio negli adolescenti e la robustezza e l’architettura ossea in modelli nei roditori. In un trial clinico (NTC02416947) sono stati valutati gli effetti benefici delle FASM in donne in post-menopausa (5).
È stata usata una tecnologia originale per la determinazione della ritenzione del calcio osseo, consistente nel monitoraggio della comparsa nelle urine di 41Ca, radioisotopo raro e dalla lunga emivita, rilasciato da osso premarcato, per valutare in modo rapido e sensibile l’efficacia delle FASM nel ridurre la perdita di calcio dall’osso. Nel trial, randomizzato, cross-over, in doppio cieco, condotto in 14 donne sane in post-menopausa, sono stati confrontati gli effetti di 0, 10, 20 g/giorno di FASM, somministrate per 50 giorni. I risultati mostrano un effetto dose-risposta dopo 10 e 20 grammi di supplementazione giornaliera con FASM, per cui la ritenzione di calcio osseo è migliorata, rispettivamente del 4,8% (p<0,05) e del 7% (p<0,04). Il telopeptide N-terminale del collagene di tipo I e l’osteocalcina (ormone pepitidico lineare di 49 aa., prodotto dagli osteoblasti durante la formazione ossea), biomarker del turnover dell’osso, non sono risultati alterati dall’assunzione di FASM. Tuttavia, è stato rilevato un aumento dell’8% della fosfatasi alcalina ossea, marker di formazione dell’osso, significativo (p = 0,0035) tra 0 e 20 g di FASM/giorno. In conclusione il consumo giornaliero di FASM aumenta in modo significativo la ritenzione di calcio nelle ossa nella donna in post-menopausa e migliora l’equilibrio del calcio osseo, stimato in 50 mg/giorno (5).

Mirtillo rosso, noxamicina® e D-mannosio nelle infezioni urinarie ricorrenti in donne in post-menopausa

Un’unica origine embrionale accomuna, nella donna, l’apparato genitale, il tratto urinario e i tessuti di supporto perineale, differenziatisi sotto l’effetto degli estrogeni.
Il progressivo declino della funzione ovarica, con conseguente calo e privazione degli estrogeni, che si verifica nella donna adulta, riduce il tropismo dei tessuti, causando atrofia urogenitale. Ciò rende questi organi molto più suscettibili a traumi e infezioni urinarie. La rilevanza clinica dei disturbi associati ai cambiamenti nel tratto urogenitale nelle donne in peri-/post-menopausa è significativa, sia dal punto di vista della loro cronicità, che per l’elevata frequenza della loro ricorrenza, oltre al fatto che hanno pesanti ripercussioni negative sulla qualità della vita di queste pazienti, che spesso devono ricorrere al medico, per alleviare i sintomi che si manifestano periodicamente. Queste pazienti lamentano un significativo numero di episodi di cistite/anno. Ricercatori italiani (6) hanno condotto un trial clinico multicentrico su 150 donne, dell’età di 40-50 anni, sofferenti di ricorrenti episodi di cistite, attestati da almeno una coltura urinaria positiva nei 6 mesi precedenti il loro reclutamento. Scopo della ricerca era verificare se l’assunzione di un nuovo supplemento dietetico contenente mirtillo rosso americano (Vaccinium macrocarpon) titolato al 80% in proantocianidine (90 mg/cpr), Noxamicina® (un composto di bioflavonoidi selezionati estratti dalla propoli, 50 mg/cpr) e D-mannosio (monosaccaride esoso destrogiro, estratto dal legno di larice e betulla, 500 mg (cpr), potesse essere efficace nel trattamento della cistite, in presenza/assenza di batteriuria, attraverso l’eliminazione della sintomatologia urinaria. I soggetti sono stati assegnati in modalità random a 2 gruppi: al gruppo-A, sono state assegnate 100 donne, che hanno assunto una bustina di integratore al giorno durante i primi 10 giorni di ogni mese, per 3 mesi; nel gruppo B, sono confluite 50 donne, che non hanno ricevuto nessun trattamento (gruppo di controllo). I risultati dello studio mostrano una remissione completa della sintomatologia urinaria in 92 donne/100 e una lieve diminuzione dei sintomi urinari in 5 soggetti/100, mentre 3 donne, che avevano interrotto il trattamento dopo il primo ciclo, sono state considerate ritirate. Lo studio ha dimostrato l’efficacia e la tollerabilità dell’associazione nel trattamento e nella prevenzione dei disturbi urinari in donne in peri-/post-menopausa (6).

Microalghe e morbo di Alzheimer

Da anni la ricerca è orientata alla scoperta di nuovi principi attivi dotati di potenziale neuroprotettivo e pochi, o poco importanti, effetti collaterali rispetto ai farmaci di sintesi. L’impegno della ricerca nella cura/controllo di gravi patologie neurodegenerative, accomunate da un processo cronico e selettivo di morte neuronale (Parkinson, Alzheimer, corea di Huntington, sclerosi multipla, sclerosi laterale amiotrofica, ecc.), non ha sortito finora i risultati sperati. Anche il mondo della ricerca sugli integratori alimentari di origine naturale ha dato il suo contributo in questo settore della scienza medica. Una recentissima review (7) fornisce un panorama completo e aggiornato dell’attuale stato dell’arte riguardo le potenzialità di estratti e composti biologicamente attivi, derivati dalla biomassa di microalghe, per la gestione del morbo di Alzheimer (MA). Le microalghe sono tra gli esseri viventi più antichi. La loro fotosintesi è simile a quella delle piante superiori, ma esse sono, generalmente, più efficienti nel convertire l’energia solare. Producono una vasta gamma di molecole interessanti, dai trigliceridi per la produzione di biodiesel, a molecole con azione nutraceutica. Inoltre, possono essere ingegnerizzate per produrre farmaci. L’elevata produttività, la crescita in terreni di coltura sterili, i costi decrescenti di produzione, la domanda crescente per alcune di queste molecole, rendono le microalghe molto interessanti per applicazioni nel campo della chimica fine, della nutraceutica e della produzione di farmaci. Recentemente, la ricerca sulle microalghe è balzata agli onori della cronaca grazie al contributo dato alla produzione di carburanti rinnovabili e alla capacità delle cellule algali di produrre vari metaboliti secondari, come carotenoidi, polifenoli, steroli, acidi grassi poli-insaturi e polisaccaridi. Questi composti hanno varie attività farmacologiche, oltre a esser dotati di un potenziale neuroprotettivo. Complessi sono i meccanismi coinvolti nella patogenesi del MA, associati allo stress ossidativo, alla disfunzione del sistema colinergico, al danno neuronale, al misfolding delle proteine e all’aggregazione di proteine in complessi insolubili. Nella review sono trattate ampiamente attività antiossidanti e anticolinesterasiche, gli effetti inibitori di alcuni composti bioattivi ottenuti dagli estratti di microalghe sull’aggregazione del peptide β-amiloide (il principale costituente delle placche amiloidi) e la morte neuronale. Composti fitochimici ottenuti dalle microalghe sono usati come farmaci, nutraceutici e integratori alimentari e potrebbero essere dotati di potenziali neuroprotettivi importanti per la gestione e/o il trattamento del MA (7).

Olio di Rosa mosqueta nella steatosi epatica

Schermata 2017-10-31 alle 12.27.17La steatosi epatica, patologia cellulare legata all’accumulo di trigliceridi (steatosi) negli epatociti, è un processo degenerativo che può comportare una serie di gravi danni fino alla necrosi del parenchima epatico e all’insufficienza epatica. Ci sono evidenze scientifiche che la somministrazione di olio di Rosa mosqueta (RM) (Fig.3) prevenga la steatosi epatica. L’olio di questa rosa selvatica è ricco di acido α-linolenico (ALA), precursore degli acidi eicosapentaenoico (EPA) e docosaesaenoico (DHA), mentre l’elevato contenuto in tocoferoli gli conferisce una forte attività antiossidante. Allo scopo di dimostrare il meccanismo antilipogenico indotto dalla somministrazione di olio di RM, in un modello murino alimentato con dieta ad alto contenuto di grassi, è stato fatto uno studio di valutazione dei marker associati alla regolazione del metabolismo delle lipid droplet protein (Plin2 (adipose differentiation-related protein), Plin5 (myocardial lipid droplet protein) e PPAR-γ (peroxisome proliferator-activated receptor gamma)) e delle proteine associate alla lipogenesi: fatty acid synthetase (FAS) e sterol regulatory element binding protein-1c (SREBP-1c). I topi sono stati alimentati, per 12 settimane, con dieta di controllo (CON) o con dieta a elevato contenuto di grassi (HFD), con e senza supplementazione di olio di RM (4 gruppi sperimentali). I risultati dimostrano che l’integrazione di olio di RM diminuisce l’espressione epatica dell’mRNA di PLIN2 e PPAR-γ e i livelli delle proteine SREBP-1c, FAS e PLIN2, mentre non indicano cambiamenti dei livelli di PLIN5 nei 4 gruppi di topi. Questi risultati permettono di ipotizzare che la modulazione dei marker lipogenici potrebbe essere uno dei meccanismi attraverso i quali l’integrazione con olio di RM previene, in un modello murino, la steatosi epatica indotta dal consumo di una dieta ricca di grassi (8).

Quercetina e conversione di acido alfa-linolenico

È ormai ampiamente dimostrato che l’assunzione con la dieta di acidi grassi poli-insaturi a catena lunga omega-3 (n-3 PUFA) – eicosapentaenoico (EPA) e docosaesaenoico (DHA) – ha effetti benefici per il sistema cardiovascolare. Meno chiaro è invece il contributo alla quota di EPA e DHA derivante dalla conversione del precursore, acido alfa-linolenico. L’efficienza della conversione sembra essere molto bassa, tuttavia studi epidemiologici e in modelli animali suggeriscono che l’assunzione contemporanea di flavonoidi possa aumentare la conversione di acido α-linolenico (ALA, catena di 18 C) negli acidi grassi a catena più lunga EPA (catena di 20 C) e DHA (catena di 22 C). In un trial clinico in uomini e donne metabolicamente sani (9) sono stati valutati gli effetti dell’assunzione controllata di ALA con la dieta (3,3 g/giorno, circa 2-3 volte l’apporto medio con una dieta di tipo occidentale), sulla composizione in acidi grassi dei fosfolipidi serici e degli eritrociti, e verificato l’effetto della regolare assunzione di quercetina (una capsula da 190 mg/giorno) sulla conversione di ALA. Lo studio, in doppio cieco, controllato con placebo, cross-over, con periodi di intervento di 8 settimane, separati da un wash-out di 8 settimane, ha arruolato 74 uomini e donne, randomizzati in modo da ricevere ALA+quercetina o ALA+placebo. Sette soggetti hanno abbandonato lo studio per ragioni personali. L’analisi dei dati ha riguardato i risultati ottenuti nei 67 soggetti (34 uomini e 33 donne) che hanno terminato lo studio.
L’assunzione di acido alfa-linolenico è risultata in un significativo aumento dei livelli sia dello stesso acido alfa-linolenico, sia di EPA, ma non di DHA, misurati nei globuli rossi e nei fosfolipidi serici (ALA: +69,3%, EPA: +37,3%). L’aggiunta di quercetina non ha influenzato in alcun modo la conversione dell’alfa-linolenico negli omega-3 a più lunga catena (ALA: +55,8%, EPA: +25,5%).
Non sono state registrate differenze imputabili al sesso nella composizione degli acidi grassi. In conclusione, lo studio conferma che un’adeguata assunzione di acido alfa-linolenico con la dieta è sufficiente per soddisfare il fabbisogno di questo acido grasso polinsaturo essenziale e contribuisce ai livelli endogeni di EPA, ma non di DHA. L’assenza di effetti attribuibili alla quercetina e i bassi livelli del flavonoide determinati nel plasma dei soggetti in studio ha portato gli autori a sottolineare la limitata biodisponibilità di questi composti (9).

Omega-3 e funzione cognitiva nell’adulto anziano con declino cognitivo

Non sono disponibili in letteratura trial clinici di larga scala per valutare l’efficacia di una terapia per la prevenzione del declino cognitivo, basata sulla combinazione di un composto specifico, con vari interventi (multidominio) sullo stile di vita, in confronto al placebo. Per cercare di colmare questa lacuna, è stato testato l’effetto, sul declino cognitivo, della supplementazione della dieta con acidi grassi poli-insaturi omega-3 associati o meno a un intervento multidominio (attività fisica, training cognitivo, indicazioni nutrizionali), in confronto con placebo (10). Il Multidomain Alzheimer Preventive Trial (NCT00672685) è un trial clinico di superiorità, della durata di 3 anni, randomizzato, controllato con placebo, multicentrico (ha coinvolto 13 centri in Francia e a Monaco), con 4 gruppi paralleli. I partecipanti (n=1680, assegnati in modalità random tra il 30/3/2008 e il 24/2/2011) non erano affetti da demenza, avevano 70 o più anni, erano ospitati in comunità e avevano denunciato spontaneamente, ai medici curanti, disturbi della memoria e limiti/impedimenti nel portare a termine un’attività fondamentale della vita quotidiana, oltre ad avere un’andatura rallentata. I pazienti sono stati assegnati, in modo casuale (1:1:1:1) ai gruppi sperimentali. Gruppo 1: intervento multidominio (43 sessioni di gruppo, per integrare training cognitivo, attività fisica, alimentazione e 3 visite preventive) + acidi grassi poli-insaturi omega-3 (2 capsule/giorno pari a una dose giornaliera totale di 800 mg di acido docosaesaneoico + 225 mg di acido eicosapentaneoico); Gruppo 2: intervento multidominio + placebo; Gruppo 3: somministrazione di acidi grassi da soli; Gruppo 4: placebo somministrato da solo. Tutti i pazienti e i membri dello staff coinvolti nello studio non erano a conoscenza dell’assegnazione al Gruppo acidi grassi poli-insaturi e placebo, ma erano al corrente dell’intervento multidominio. La valutazione dei risultati cognitivi è stata effettuata da neuropsicologi non informati dei gruppi di appartenenza. Il risultato primario era il cambiamento dai valori di base ai valori dopo 36 mesi, valutato in base a uno score Z composito, che combinava 4 test cognitivi. Nella popolazione modified intention-to-treat (n=1525), non sono state rilevate differenze significative nel declino cognitivo durante i 3 anni, tra nessuno dei 3 gruppi di intervento vs il gruppo placebo. Almeno un grave evento avverso emergente è stato registrato nei partecipanti dei gruppi sperimentali: intervento multidominio + acidi grassi poli-insaturi (n=146, 36%); intervento multidominio + placebo (n=142, 34%); acidi grassi poli-insaturi (n=134, 33%) e placebo (n=133, 32%). Sono stati registrati 4 decessi correlati al trattamento: 2 nel gruppo intervento multidominio + placebo e 2 nel gruppo placebo. Gli interventi non hanno riscontrato nessun problema relativo alla sicurezza e non sono emerse differenze tra gruppi in eventi avversi seri o di altro tipo. In conclusione l’intervento multidominio e la supplementazione con acidi grassi poli-insaturi, da soli o in combinazione, non hanno fatto registrare effetti significativi sul declino cognitivo durante i 3 anni dello studio, nelle persone anziane arruolate affette da disturbi della memoria. Resta da identificare una strategia di intervento multidominio per prevenire/ritardare, il decadimento cognitivo e individuare la popolazione target, in particolare nelle situazioni della realtà quotidiana (10).

Luteina e zeaxantina nei disturbi visivi e nelle patologie cognitive

Schermata 2017-10-31 alle 12.27.36Luteina (LU) e zeaxantina (ZE) sono carotenoidi alimentari con effetti salutistici in alcuni disturbi visivi e cognitivi. La LU (Fig.4) è una xantofilla corrispondente al β-carotene, con due gruppi ossidrilici negli anelli terminali. I petali dei fiori di Tagetes erecta sono la fonte principale di LU. La ZE, xantofilla (Fig.5) isomero della luteina, si trova nel mais, nel tuorlo d’uovo, nel peperone rosso, nel mango e nell’arancia. Ambedue le xantine, presenti anche in vegetali a foglia verde scura, formano il pigmento naturale dell’occhio umano. Una review recente (11) fa il punto sulle conoscenze relative agli effetti farmacologici indotti dalla supplementazione della dieta con questi due integratori naturali. Si è ipotizzato che LU e ZE esercitino un’azione protettiva in patologie della vista, quali la degenerazione maculare senile (DMS), la cataratta senile (CS), la retinopatia indotta da ipossia ischemica, leggeri danni della retina, la retinite pigmentosa, il distacco retinico, l’uveite e la retinopatia diabetica, e nelle patologie cognitive. Il/i meccanismo/i, grazie al/i quale/i questi carotenoidi sono coinvolti nella prevenzione delle patologie oculari, può essere in qualche modo legato alle loro proprietà di filtrazione della luce blu e ad attività antiossidante locale. Oltre al loro ruolo protettivo dal danno ossidativo indotto dalla luce, evidenze sempre più numerose indicano che LU e ZE possano anche migliorare la normale funzione visiva, aumentando la sensibilità al contrasto di luce e riducendo la disabilità da abbagliamento. Valutazioni sulla supplementazione con LU e ZE indicano che assunzioni moderate di queste sostanze sono associate a un ridotto rischio di DMS e a un minore danno visivo. Questa review prende in esame le quantità più appropriate di consumo, la sicurezza dell’assunzione di LU, i relativi effetti collaterali oltre alle future linee di ricerca (11).

Bibliografia

1. Sterzi S, Giordani L, Morrone M, Lena E, Magrone G et al (2016) The efficacy and safety of a combination of glucosamine hydrochloride, chondroitin sulfate and bio-curcumin with exercise in the treatment of knee osteoarthritis: a randomized, double-blind, placebo-controlled study. Eur J Phys Rehabil Med 52:321-330
2. Macdonald-Clarke CJ, Martin BR, McCabe LD, McCabe GP, Lachcik PJ et al (2016) Bioavailability of potassium from potatoes and potassium gluconate: a randomized dose response trial. Am J Clin Nutr 104:346-353
3. Micka A, Siepelmeyer A, Holz A, Theis S, Schön C (2017) Effect of consumption of chicory inulin on bowel function in healthy subjects with constipation: a randomized, double-blind, placebo-controlled trial. Int J Food Sci Nutr 68:82-89
4. Panahi Y, Khalili N, Sahebi E, Namazi S, Karimian MS et al (2017). Antioxidant effects of curcuminoids in patients with type 2 diabetes mellitus: a randomized controlled trial. Inflammopharmacol 25:25-31
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