Intervista a Bettina Jackwerth

Schermata 2017-03-21 alle 09.59.32D. L’olio di palmisto costituisce un’importante materia prima per l’industria cosmetica. Ci spiega perchè?

R. Oggigiorno, sempre più ingredienti utilizzati nell’industria cosmetica sono a base di materie prime rinnovabili. L’olio di palmisto è uno dei più importanti in virtù delle sue proprietà chimiche. L’esclusiva distribuzione delle catene, ad elevata percentuale di catene C12-14, rendono la sua composizione ideale per gli ingredienti personal care, e soprattutto per i tensioattivi di base. Questo è il motivo per il quale è difficile per la nostra industria, sostituire l’olio di palma.

D. Perché da diversi anni ormai, BASF si è impegnata a favore dell’olio di palma sostenibile?

R. Nel giro di dieci anni, la crescente domanda di prodotti a base di olio di palma e l’espansione delle piantagioni di palma, soprattutto in Indonesia e Malaysia, hanno non soltanto distrutto foreste e terreni ad elevato valore, ma anche ridotto la biodiversità. Allo stesso tempo, l’olio di palmisto è insostituibile per la nostra industria, in virtù delle sue caratteristiche intrinseche. Questo dilemma pone dunque una grande responsabilità sulla nostra industria. Essendo uno dei principali produttori nel panorama globale del personal care, la nostra azienda, lavora un numero elevato di materie prime a base di olio di palma e noi crediamo che l’olio di palma sostenibile sia una realtà possibile. Ciò malgrado, potremo proteggere le risorse naturali nei paesi produttori, solo con la collaborazione di tutti gli stakeholders della catena di valore.

D. Quali sono i progressi compiuti ad oggi?

R. BASF è uno dei fornitori leader per l’industria cosmetica. Oggi offriamo in tutto il mondo oltre 120 ingredienti personal care a base di olio di palmisto sostenibile certificato RSPO, che copre tutte le funzionalità, da tensioattivi a emulsionanti ed emollienti fino ai surgrassanti, agenti perlanti e molto altro. Dal lancio dei nostri primi ingredienti certificati RSPO nel 2012, ci stiamo spostando continuamente verso una gamma di prodotti sempre più comprensiva che permetterà ai nostri clienti dell’industria cosmetica, di sviluppare formulazioni in grado di soddisfare la crescente domanda di ingredienti sostenibili certificati.

In qualità di fornitore strategico e attore di collegamento fra produttori di materie prime e produttori di cosmetici, abbiamo deciso di investire nell’approvvigionamento dell’olio di palma sostenibile: dal 2004 BASF è infatti membro di RSPO (Roundtable on Sustainable Palm Oil) e supporta i progressi nel campo dell’olio di palma indirizzando la catena di fornitura verso prodotti certificati. Il Palm Commitment di BASF è stato dapprima pubblicato nel 2011 ed ampliato nel 2015, ed include anche una panoramica su come fare in modo che l’olio di palma sostenibile diventi la norma per l’industria, oltre ad una valutazione dei progressi compiuti. Lo stesso anno, BASF è diventato membro del Gruppo Direttivo dell’High Carbon Stock (HCS) ed ha conseguentemente integrato i criteri dell’approccio HCS nella sua Politica di Approvvigionamento dell’Olio di Palma. Lo scorso anno, siamo riusciti ad incrementare il nostro volume di acquisto di olio di palmisto sostenibile certificato RSPO fino a 158,000 tonnellate. Più del 56% dell’olio di palmisto sostenibile da noi approvvigionato è certificato RSPO e rintracciabile fino al frantoio. Inoltre, abbiamo espanso la nostra rete globale di siti certificati. In totale, 19 siti produttivi BASF in Asia, Europa, Nord e Sud America, sono certificati RSPO. Continueremo il nostro percorso e intendiamo condividere i nostri progressi nel trasformare il mercato, nel nostro primo Palm Progress Report che sarà disponibile ad in-cosmetics, Londra.

Schermata 2017-03-21 alle 10.00.07D. Ci sono materie prime alternative alla palma per l’industria cosmetica?

R. Non per l’immediato futuro. In questo momento non vi sono alternative rinnovabili, commercialmente fattibili, all’olio di palma e di palmisto per la nostra industria. In primo luogo, è difficile sostituirlo in ragione delle proprietà chimiche sopra menzionate. Inoltre, dobbiamo ricordare che gli oli di palma hanno la maggiore resa per ettaro, rispetto ad altre coltivazioni che producono olio. Quindi si deriva più olio dall’area coltivata.

D. Quali sono le condizioni più importanti per i prodotti a base di olio di palma sostenibile?

R. Trasformare il mercato indirizzandolo verso prodotti a base di olio di palma sostenibile, il modo in cui l’olio di palma è prodotto e approvvigionato deve divenire maggiormente sostenibile e trasparente. Un sistema di certificazione affidabile ed il massimo della trasparenza, così come misure sociali per le comunità locali, soprattutto per i piccoli coltivatori, sono passi fondamentali per prodotti a base di olio di palma sostenibile, inclusa la tutela delle foreste ad elevato carbon stock.

D. Perché è così importante coinvolgere gli agricoltori?

R. Ricordiamoci che circa il 40% dell’olio di palma del mondo è prodotto da piccoli agricoltori. Essi e le loro famiglie dipendono dall’olio di palma per il proprio sostentamento e necessitano di incrementare la resa delle terre che coltivano. I metodi di agricoltura sostenibile, una produzione efficiente, nonché standard di salute e sicurezza occupazionale elevati, sono soltanto alcune delle condizioni più importanti per la produzione di olio di palma certificato. I piccoli agricoltori possono imparare a soddisfare questi requisiti in modo locale, mediante programmi di formazione dedicati. BASF lavora con le organizzazioni della società civile ed altri partner della catena di fornitura per supportare progetti relativi ai piccoli agricoltori. Grazie alla nostra più recente collaborazione stiamo raggiungendo circa 5.500 agricoltori locali. Mediante questi progetti vogliamo instaurare, congiuntamente, catene di fornitura sostenibili per l’olio di palma e di palmisto che migliorino le condizioni di vita dei piccoli agricoltori e che siano eleggibili per la certificazione, conformemente ai criteri di RSPO.

D. Quali saranno quindi i vostri prossimi passi verso l’olio di palma sostenibile?

R. BASF sta lavorando a stretto contatto con i propri partner della catena di fornitura per trasformare il mercato indirizzandolo verso l’olio di palma responsabile. Ampliamo continuamente la nostra conoscenza e condividiamo la nostra expertise con il mercato, anche per supportare i nostri clienti in questo viaggio, ad esempio con conferenze web e simposi per approfondire la conoscenza degli oleo-derivati a base di palma. All’in-cosmetics di Londra, quest’anno, BASF ospiterà il secondo Palm Dialog. Diversi attori della supply chain parteciperanno così ad una discussione costruttiva. Siamo convinti che tutti gli attori della supply chain, BASF inclusa, debbano contribuire a trasformare il mercato. E noi facciamo del nostro meglio affinché i nostri clienti possano contare su di noi per raggiungere i loro obiettivi.

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Per informazioni
Lorenzo Agrati – lorenzo.agrati@basf.com
www.carecreations.basf.com

 

da Cosmetic Technology 2 – 2017

Maschera e crema in un solo prodotto

Schermata 2017-02-27 alle 12.15.38Per pelli over 35, Mediterranea ha creato una maschera viso dalla texture innovativa e avvolgente, che accompagna la pelle durante il riposo notturno ricaricandola di energia: Unica Lux Sleeping Mask. Studiata per l’utilizzo serale da tenere in posa, si trasforma successivamente in una straordinaria crema da notte per continuare la sua azione mentre la pelle riposa. Nella formula rientra una miscela di Oli, arricchita da Polvere di platino e Perle nere  che caratterizzano il prodotto e ne determinano l’azione illuminante. Il prodotto, che viene applicato con uno strato spesso su tutto il viso, e la cui eccedenza può essere rimossa con una velina, viene successivamente disteso come una normale crema da notte anche su viso e décolleté  e lasciato agire per tutta la notte, con un utilizzo consigliato di una o due volte a settimana. Non contiene parabeni e la sua profumazione è delicatamente fiorita. I prodotti Mediterranea sono disponibili sul sito www.mediterranea.it, oppure contattando il n.telefonico 0182/708708.

Ingredients  Unica Lux Sleeping Mask – Propylene Glycol Dicaprylate/Dicaprate, Dicaprylyl Ether, Myristyl Alcohol, Caprylic/Capric Triglyceride, Behenyl Alcohol, Ethylcellulose, Octyldodecanol, PEG-6 Caprylic/Capric Glycerides, Platinum Powder, Pearl Powder, Aqua, CI 77019, CI 77891, CI 77499, CI 77491, CI 77861, Butylphenyl Methylpropional, Hexyl Cinnamal, Linalool, Citronellol, Alpha-Isomethyl Ionone, Geraniol, Parfum

Epilobio contro la forfora

Schermata 2017-01-17 alle 15.22.29Intento di uno studio è stato quello di analizzare il potenziale antiforfora di un estratto ottenuto da parti aeree di Epilobio (Epilobium angustifolium). Si tratta di una pianta a riconosciute proprietà antinfiammatorie, antibatteriche, astringenti (contiene tannini).

I risultati del test (test in vitro, con lo 0,1% di sostanza attiva) hanno mostrato che l’estratto è in grado di inibire l’attività di 5-α-reduttasi su fibroblasti umani di oltre il 16%, di ridurre la sintesi di lipidi in sebociti di oltre il 43% e di incrementare l’espressione di involucrina in cheratinociti.

Ricorderemo che 5-α-reduttasi è un enzima che, in alcune zone del corpo ricche di recettori ormonali (follicoli capillari, viso, parte centrale del tronco) converte il testosterone in un altro ormone molto più potente, il 5-α-diidrossitestosterone, il quale può ingenerare disturbi cutanei correlati ad androgeni quali sviluppo di acne, iperseborrea (e quindi forfora), alopecia androgenetica e di altro genere, come ipertrofia prostatica. Tra gli inibitori della 5-α-reduttasi si sono rivelate molto utili numerose droghe vegetali (ne citeremo una, quella di Serenoa repens).

Involucrina è, come svela il nome, una cellula (non cheratinica) che forma un involucro protettivo delle cellule cornee epidermiche, proteggendole da agenti meccanici e chimici. Per fare un esempio, la depilazione con acido tioglicolico danneggerebbe la pelle se le cellule cornee non fossero protette dall’involucrina.

Ma l’estratto agisce anche secondo un altro meccanismo di azione che coinvolge la modulazione dell’espressione di difensine e di TLR-2, agendo cioè con una funzione attivante il sistema immunitario di difesa. Ricorderemo che difensine sono fattori di autoprotezione biologica: si tratta di peptidi cationici che mostrano molteplici attività, antimicrobica, antivirale, antineoplastica, immunomodulante. Le β-difensine rendono la pelle molto più resistente alle infezioni cutanee.

Per quanto concerne TLR-2 (Toll-like receptor-2), si tratta di una proteina di membrana, recettore, espressa sulla superficie di certe cellule che, riconoscendo sostanze estranee, trasmette appositi segnali alle cellule del sistema immunitario di difesa.

L’azione di difesa di questi fattori biologici è rivolta nel confronto di Malassezia furfur. Per quanto tale microrganismo sia un normale commensale residente della flora cutanea umana, in certe condizioni ed in certe quantità, la sua azione può diventare deregolata e dare corso ad effetti non desiderati, quali formazione di dermatite seborroica e forfora (5).

da Erboristeria Domani 6 – 2016

I 7 Oli delle Meraviglie

Schermata 2016-12-29 alle 17.28.07Lo scopo dei laboratori Physio Natura Bio di PDT Cosmetici è quello di scoprire la formula perfetta. Per questo motivo si è voluto associare alla nuova linea di Oli la simbologia numerica del 7:
I 7 Oli delle Meraviglie contengono infatti oli di Melograno, di Primula, di Zucca, di Oliva, di Lino, di Cotone e di Vinaccioli che compongono in perfetto equilibrio tre formulazioni, in una composizione leggera e nutriente per viso, corpo e capelli.

L’olio di Lino, ricco in acido linolenico e vitamina E, è considerato un efficace antiossidante in grado di regolare l’idratazione cutanea, perfetto per lucidare i capelli. L’olio di Cotone, ricco di tocoferoli, protegge dallo stress ossidativo e nutre in profondità la pelle che apparirà morbida e sana. L’olio di Melograno ricco di tocoferoli, fitosteroli e acido punicico, apporta nutrimento alla pelle. L’olio di Primula, grazie all’elevato contenuto di omega-6, protegge dalla disidratazione. L’olio di Oliva, ricco di trigliceridi, gode di proprietà anti invecchiamento e contrasta i radicali liberi. L’olio di Zucca, dall’elevato contenuto di acido oleico, linoleico e cucurbitina, mantiene in buono stato la cute, rendendo la pelle tonica ed elastica. L’olio di Vinaccioli, con i suoi trigliceridi, agisce come emolliente sulla pelle e riduce la permeabilità dei capelli.

www.pdtcosmetici.it

Il benessere è in circolazione

Schermata 2016-12-28 alle 15.50.23Arterie, vene e capillari, sebbene diversi per struttura e funzione, convergono nella continuità della rete vascolare, un insieme regolato da complessi flussi di comunicazione. L’integrazione delle loro funzioni assicura l’equilibrio dell’intero organismo e si traduce in una percezione generale di benessere. Quando fattori famigliari predisponenti, stile di vita o età compromettono l’efficienza circolatoria, un disordine inizialmente circoscritto tende ad estendersi progressivamente e a trasmettersi ad altri comparti circolatori. Ciò suggerisce non solo di sostenere l’efficienza vascolare dei punti più vulnerabili, come le vene degli arti inferiori, ma anche di prevenire squilibri nella perfusione di altri distretti: ad esempio la pelle (couperose), il derma (cellulite), l’intestino (emorroidi).

Fitomedical propone VegeVen® Omeostat Capsule, una formulazione studiata per preservare l’equilibrio d’insieme della circolazione. Nella sua formulazione VegeVen® Capsule racchiude la Salvia cinese, conosciuta per la sua azione regolatrice delle funzioni del microcircolo e della circolazione sanguigna. Protegge la pavimentazione dei vasi (endotelio) e il suo ruolo cruciale nel mantenimento degli equilibri cellulari, delle comunicazioni e degli scambi. Il Rusco che agisce sulle pareti di vene e arterie, riducendo la permeabilità e lo stato infiammatorio, consolida le pareti vascolari, rendendole meno permeabili e soggette all’edema. La Centella che favorisce il mantenimento della normale struttura dei tessuti che circondano e rivestono vene e arterie; stabilizza e consolida i connettivi che circondano i vasi sanguigni, favorendo il mantenimento dell’elasticità fisiologica.

VegeVen® Omeostat Capsule agisce sul tono delle pareti dei vasi sanguigni, favorendo l’equilibrio omeostatico dell’intera circolazione arteriosa e venosa. È sostenuta dalla formulazione, costituita da piante preziose per la salute vascolare, le cui azioni si integrano in una valida sinergia, e dal corretto dosaggio di ciascun componente, utilizzato nelle quantità idonee, indicate dalla letteratura scientifica. Un gel, VegeVen®Omeostat Cremagel, per uso topico, può ottimizzare e prolungare i benefici apportati dalle capsule.

www.fitomedical.com

Reazioni avverse di integratori alimentari a base di piante

Anche se gli integratori alimentari a base di piante (plant food supplement: PFS) sono sempre più popolari e ampiamente disponibili, le informazioni sui loro potenziali rischi sono scarse. Le reazioni avverse collegate al consumo di PFS sono state riportate da diversi Autori, ma la maggior parte delle pubblicazioni sono case report che descrivono un evento acuto specifico, oppure recensioni di casi in una particolare area clinica (cardiovascolare, gastrointestinale, ecc.). Un importante limite delle informazioni riportate finora nella letteratura scientifica è la mancanza di valutazione di causalità; infatti l’associazione tra l’assunzione di uno specifico derivato botanico e l’evento clinico è raramente dimostrata utilizzando biomarker o con sospensione e successiva riesposizione (dechallenge/rechallenge).

Inoltre, il consumo di PFS è di solito stimato sulla base dei dati di mercato e l’import/export di materie prime. Tuttavia, poiché le piante sono utilizzate sia nel campo alimentare che in altre tipologie di prodottii, l’estrapolazione al consumo di PFS è piuttosto difficile. I dati sull’uso di integratori alimentari segnalati dai consumatori sono molto limitati e normalmente includono solo quei prodotti che contengono vitamine e minerali, mentre altri dati disponibili provengono da studi relativi alla medicina complementare/tradizionale.

Allo scopo di fornire nuovi dati sull’utilizzo di PFS, è stata effettuata un’indagine tra i consumatori nel 2011-2012, nell’ambito del progetto PlantLIBRA, finanziato dal Settimo programma quadro della Comunità Europea (1). Recentemente, i ricercatori che hanno pubblicato un nuovo lavoro scientifico (2) in cui vengono descritte le reazioni avverse auto-riferite dai consumatori coinvolti nell’indagine. Gli autori hanno inoltre valutato criticamente la plausibilità dei sintomi riportati utilizzando i dati provenienti dalla letteratura e dallo studio PlantLIBRA sulla rilevazione dei centri antiveleno. Quest’ultimo è uno studio retrospettivo multicentrico di dati provenienti da centri antiveleno europei e brasiliani, riguardanti casi di eventi avversi causati da piante consumate come alimento o come ingredienti di integratori alimentari, raccolti tra il 2006 e il 2010 (3).

L’indagine tra i consumatori PlantLIBRA è stata condotto in sei paesi europei (Finlandia, Germania, Italia, Romania, Spagna e Regno Unito), ed i partecipanti sono stati reclutati in quattro città in ogni paese, per un totale di 2359 adulti. I prodotti da considerare nel sondaggio erano chiaramente definiti: potevano essere inclusi solo gli integratori alimentari con ingredienti vegetali, escludendo farmaci tradizionali, tisane e succhi di frutta. Ottantadue dei soggetti arruolati (3,5%) hanno riferito eventi avversi dopo il consumo di 87 PFS. Sono state osservate differenze tra i Paesi: il numero di consumatori che hanno segnalato effetti indesiderati variava tra il 5 e il 6% del totale degli intervistati in Finlandia, Germania e Spagna, mentre erano meno numerosi in Romania (2%), Italia (1%) e Regno Unito (0,3%). Non ci sono state differenze significative per sesso o età.

I casi erano auto-riportati, di conseguenza la causalità non è stata classificata sulla base di prove cliniche ma utilizzando la frequenza e il peso degli effetti avversi descritti in pubblicazioni scientifiche: 52 su 87 casi sono stati definiti possibili (59,8%) e quattro come probabili (4,6%). L’associazione non è stata confermata per 28 casi. L’interazione con farmaci convenzionali è stata considerata possibile in tre casi. La maggior parte degli eventi avversi riguardava il tratto gastrointestinale (60%), il sistema nervoso (17%) e cardiovascolare (4,6%).

Il numero totale di ingredienti botanici contenuti nei PFS per i quali sono stati riportati eventi avversi era 72. Nella maggior parte dei casi (46%), i PFS contenevano un solo ingrediente. Quaranta (55,6%) dei 72 ingredienti a base di piante sono stati associati a un singolo evento avverso, e l’80% dei PFS con eventi avversi conteneva due o più ingredienti.

Considerando le piante più diffuse associate a effetti avversi, 14 sono state associate a 68 effetti indesiderati riportati, pari al 47,2% degli eventi totali. In particolare, otto eventi avversi sono stati attribuiti a Valeriana officinalis (sette dei quali in Spagna), sette a Camellia sinensis (tè), sei a Ginkgo biloba e sei a Paullinia cupana (guaranà).
Gli elenchi di piante più segnalate dai centri antiveleno e dall’indagine dei consumatori erano simili, condividendo cinque su 13 piante; tra queste Valeriana officinalis e Camellia sinensis occupano le prime due posizioni. Inoltre, una posizione simile nella classifica era occupata da Paullinia cupana (sesta posizione), Panax ginseng (nona) e Cynara scolymus (undicesima).

Sulla base di questi risultati, gli Autori concludono che effetti avversi gravi a seguito del consumo di PFS sono piuttosto rari (sebbene possibili). Gli eventi avversi lievi e moderati sono più frequenti e comunemente non richiedono supporto clinico. Inoltre, i dati riportati confermano che alcune piante sono più frequentemente associate ad effetti avversi che altre. Queste informazioni potrebbero aiutare i medici di famiglia e altri operatori sanitari ad essere consapevoli delle possibili conseguenze dell’uso di PFS, e potrebbero anche essere utilizzate per educare il pubblico sui possibili eventi avversi associati con il consumo di integratori alimentari a base di piante.

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da L’Integratore Nutrizionale 4 – 2016

Il Dattero

Datteri-Medjoul-Jumbo

Un gustoso, dolcissimo frutto esotico a consumo “natalizio”.

Si tratta invece di un frutto contenente microelementi importanti per una corretta salutistica nutrizione.

Di solito, dalle nostre parti, belle reste di questo gradevole frutto delle calde regioni africane fanno bella mostra di sé nelle tavole natalizie imbandite a festa in una capace fruttiera con fichi secchi, noci e mandorle.

Ma il dolce frutto della palma da Dattero (Phoenix dactylifera L.) ha vari pregi, tali da consigliarne il consumo anche in altre occasioni.

Nell’alimentazione umana, di grande importanza è anche la presenza nella dieta quotidiana di oligoelementi, o micronutrienti che, seppure presenti nel cibo in quantità minime, possono concorrere in maniera importante e significativa ad una corretta e salutistica alimentazione.

Scarsa presenza nella dieta di ferro, zinco e vitamina A rappresenta in genere la più importante carenza di micronutrienti. Il consumo di una porzione di 100 g di Dattero da palma fresco può rappresentare l’assunzione della quota giornaliera raccomandata e necessaria dei sopra citati micronutrienti.

Nello studio – riportato su un recente numero di Journal Science Food and Agriculture – si riferisce di progetti e strategie governative e di organizzazioni agricole ai fini di identificare nuove idonee aree ove intensificare la coltivazione, la raccolta, la lavorazione e la commercializzazione di questo frutto al fine di renderne sempre maggiore la disponibilità, visto il suo interesse a fini nutrizionali salutistici.

da Erboristeria Domani 6 – 2016

Caratterizzazione di nanomateriali in matrici alimentari

Le nanotecnologie offrono grandi prospettive di innovazione per l’industria del settore agroalimentare. La nanoscala, infatti, conferisce ai materiali proprietà chimico-fisiche peculiari da cui possono derivare vantaggi, quali una maggiore reattività chimico/biologica che ne consente l’impiego nella produzione, nel processamento e nella conservazione degli alimenti, nella realizzazione di additivi ed ingredienti, e nello sviluppo di materiali innovativi a contatto con il cibo.

La maggior parte dei nanomateriali utilizzati nel settore agroalimentare sono inorganici (Tab.1), con metalli e ossidi metallici presenti nel 55% delle applicazioni, e nanotubi, fullereni ed argille impiegati nel 12% dei casi (1). I nanomateriali a base organica, come ad esempio micelle, liposomi o dendrimeri, vengono per lo più utilizzati per incapsulare e veicolare additivi, nutrienti o farmaci e rappresentano il 26% delle applicazioni. Vi sono infine i materiali nanocompositi, costituiti da strutture inorganiche come le argille, la cui superficie viene modificata o funzionalizzata con componenti organiche o polimeriche modificate o funzionalizzate con componenti nanometriche per ottimizzarne le proprietà barriera o conferirvi attività antimicrobiche, e che costituiscono circa il 7% delle applicazioni.

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A ciascuna tipologia di nanomateriale e modalità di utilizzo corrisponde uno scenario di esposizione per il consumatore, che può essere diretto nel caso di ingredienti e/o additivi costituiti da nanomateriali, o indiretto nel caso di nanoparticelle rilasciate negli alimenti dal materiale di confezionamento (2). Per entrambe le tipologie di esposizione, diretta e indiretta, è importante valutare la natura chimica, la quantità (esposizione) ed il comportamento del nanomateriale nell’alimento o nei simulanti alimentari. Come sottolinea la European Food Safety Authority (EFSA) nelle sue linee guida per la valutazione dell’esposizione ai nanomateriali (3), non è sufficiente caratterizzarli nella loro forma di materia prima in quanto a contatto con matrici biologiche potrebbero subire sostanziali trasformazioni chimico-fisiche che ne alterano l’impatto biologico. La capacità di identificare, quantificare e caratterizzare i nanomateriali negli alimenti e nei simulanti alimentari diventa quindi un requisito fondamentale per ottimizzarne l’efficacia, riducendo i rischi connessi al loro utilizzo in accordo con Raccomandazioni e Normative, come i Regolamenti (EU) n.1169/2011 e n.2283/2015 (4,5).

Essendo i nanomateriali definiti sulla base di un criterio dimensionale (2), determinarne le dimensioni è un requisito imprescindibile per la loro identificazione. Come riportato in Tabella 2, il concetto di “dimensioni” di un nanomateriale o nanoparticella ha diverse accezioni, tutte ugualmente adottabili, a cui corrispondono tecniche analitiche specifiche (6). In un contesto normativo dove un nanomateriale viene definito come …un materiale naturale, accidentale o prodotto intenzionalmente, contenente particelle libere o strutturate in aggregati/agglomerati con il 50% o più delle particelle aventi una distribuzione dimensionale compresa tra 1 nm e 100 nm. In alcuni casi e per ragioni di sicurezza la soglia del 50% può essere abbassata ad un valore compreso tra 1 e 50%, le tecniche di riferimento per la determinazione della distribuzione dimensionale di una popolazione di oggetti nanometrici sono la microscopia elettronica a trasmissione (TEM) e a scansione (SEM), che consentono di valutarne la morfologia, il diametro geometrico e la frequenza relativa di particelle che ricade nella definizione.

Il comportamento di un nanomateriale in matrici complesse come quelle alimentari è determinato da una grande varietà di caratteristiche chimico-fisiche che si influenzano reciprocamente, tra cui dimensioni e distribuzione dimensionale, morfologia, stato di aggregazione/agglomerazione, struttura cristallina, concentrazione e quantità totali, composizione chimica interna e superficiale, carica ed area superficiali (7). Se da un lato la scelta della proprietà di interesse condiziona la scelta della tecnica analitica per la sua determinazione (Tab.2), dall’altro il numero e l’interdipendenza delle proprietà impone l’integrazione di più approcci per ottenere informazioni adeguatamente complete. È altrettanto importante sottolineare che ciascuna tecnica per la caratterizzazione dei nanomateriali presenta limitazioni specifiche, spesso determinate dal modo in cui le componenti della matrice interferiscono con la proprietà misurata. Per questo motivo è a maggior ragione utile, quando possibile, utilizzare due o più tecniche per determinare una singola proprietà, in modo da consolidarne reciprocamente il risultato.

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Queste considerazioni contribuiscono a rendere la caratterizzazione dei nanomateriali in matrici di interesse agroalimentare una frontiera anche per la ricerca, oltre che operativamente complessa e dispendiosa. L’adozione di approcci sperimentali standardizzati e strutturati, ad esempio organizzando le prove su basi gerarchiche e sequenziali, può aiutare sensibilmente ad ottimizzare il processo analitico, e a renderlo più accessibile ad un ambito rutinario.

Molti approcci analitici per la determinazione di nanomateriali in matrici e simulanti alimentari richiedono campioni liquidi, e pertanto un’estrazione preliminare dei nanomateriali dalle matrici solide o semi-solide. Tra queste tecniche, il dynamic light scattering (DLS) fornisce una misura del diametro idrodinamico di una popolazione di nanoparticelle, garantendo una buona precisione in un ampio intervallo dimensionale. Rapido ed economico, ma poco sensibile e inadatto a materiali polidispersi, il DLS è generalmente utilizzato per effettuare screening preliminari. Sulla stessa definizione di dimensione idrodinamica si basano le tecniche per la separazione su base dimensionale di nanoparticelle in sospensione, quali la field flow fractionation (FFF) e la cromatografia
idrodinamica (HDC). Rispetto al DLS, queste tecniche sono potenzialmente più sensibili per le basse concentrazioni e più affidabili per nanomateriali eterogenei e polidispersi, ma richiedono accoppiamento con opportuni rivelatori quali multiangle light scattering (MALS), spettroscopia di assorbimento o fluorescenza, spettrometria di massa o di emissione atomica al plasma accoppiato induttivamente (ICP-MS e ICP-AES, solo per materiali inorganici). Il detector ICP-MS, utilizzato individualmente in modalità single-particle (sp), consente invece di ricavare le dimensioni di nanoparticelle inorganiche come diametro sferico equivalente alla massa. La diffrazione a raggi X (XRD) e la sua derivata small angle X-ray scattering (SAXS) sono altre tecniche ampiamente utilizzate per la caratterizzazione dimensionale di nanomateriali (solamente cristallini nel caso della XRD). La ridotta sensibilità le rende più adatte all’analisi diretta delle materie prime o dei materiali nanocompositi, anziché di campioni alimentari reali, in cui la concentrazione degli analiti è generalmente molto bassa.

Tra le tecniche separative si possono annoverare anche la centrifugal particle sedimentation (CPS) e l’ultracentrifugazione analitica (AUC), che abbinate ad un rivelatore spettrofotometrico forniscono una misura del diametro di sedimentazione di nanoparticelle in sospensione.

Verificare la presenza di un nanomateriale in matrici alimentari, e successivamente determinarne la concentrazione e composizione chimica, è di fondamentale importanza per valutazioni tossicologiche e di ottimizzazione di prodotto/processo. Molte delle tecniche utili a stimare le dimensioni dei nanomateriali consentono anche di ottenere informazioni quantitative, poiché la distribuzione dimensionale si esprime facendo riferimento ad un numero o ad una massa di particelle, o ad un’intensità di segnale. È il caso del DLS e delle tecniche separative, mentre le tecniche di microscopia non sono adatte a valutazioni quantitative. Tra i rivelatori accoppiabili (on-line) o combinabili (off-line) con le tecniche separative, gli strumenti ICP-AES e ancor più ICP-MS offrono la maggiore sensibilità assoluta e precisione nella quantificazione dei nanomateriali inorganici, ricavate misurando la massa degli elementi metallici o semimetallici che li costituiscono. La particle induced X-ray emission (PIXE) e l’ablazione laser (LA)–ICP-MS sono tecniche di imaging particolarmente sensibili per la determinazione di concentrazioni elementari, che in più permettono l’analisi diretta di campioni solidi anche senza particolari preparazioni. Tuttavia, utilizzate da sole sono poco affidabili per campioni reali in quanto non discriminano specie diverse di uno stesso elemento, come ad esempio nanoparticolata e non nanoparticolata. Anche detector basati sulla rifrattometria differenziale (DRI) o sulla spettroscopia UV-vis possono essere accoppiati/combinati con tecniche separative per ottenere dati quantitativi, con sensibilità inferiori alle precedenti, ma offrono il vantaggio di essere applicabili ai nanomateriali sia inorganici che organici.

La composizione chimica di un nanomateriale nella matrice alimentare è un’altra proprietà che consente di verificare la sua corretta identificazione, e di tracciare eventuali trasformazioni nelle matrici alimentari. Tecniche quantitative come ICP-AES/MS e PIXE effettuano misure elemento-specifiche su base spettrale, eventualmente multielementari, e quindi forniscono dati diretti sulla composizione chimica elementare. Tuttavia, con questi rivelatori la certezza di associare univocamente le specie determinate ad un nanomateriale di interesse, senza interferenze della matrice, può essere garantita solo dalla combinazione con una tecnica separativa di provata efficienza per l’applicazione in oggetto.

Diversamente, accoppiando uno spettrometro energy dispersive X-ray (EDS, anche noto come EDX o EDAX) a strumenti di microscopia elettronica a trasmissione (TEM) o scansione (SEM), è possibile ottenere direttamente la composizione elementare (semi-quantitativa) di singoli oggetti nanometrici, anche all’interno di una matrice complessa. L’identificazione di un nanomateriale organico in matrici alimentari è altresì difficile in quanto le sue componenti caratteristiche sono simili a quelle intrinseche della matrice. Per questo motivo, sebbene una grande varietà di tecniche analitiche sia teoricamente utilizzabile per questa determinazione (Tab.2), la loro applicazione spesso non può prescindere da complesse procedure di estrazione e purificazione, risultanti in potenzialmente significative alterazioni degli analiti, e formazione di artefatti analitici.

Sebbene ulteriore ricerca sia necessaria per superare i limiti di molte delle tecniche presentate, le potenzialità analitiche per individuare, caratterizzare e quantificare un nanomateriale in matrici alimentari sono già oggi consistenti. L’approccio ideale deve consentire l’analisi di matrici complesse ed eterogenee, minimizzare la produzione di artefatti derivanti dalla preparazione del campione, e fornire il maggior numero possibile di informazioni mantenendo il minor numero di passaggi operativi. Una strategia di questo tipo può essere realizzata attraverso l’integrazione di più tecniche in grado di produrre dati complementari e reciprocamente confirmatori, organizzate in procedure decisionali che consentano di bilanciare costi e benefici. Lo schema in Figura 1 rappresenta un efficace esempio di tale strategia, finalizzata all’individuazione di un nanomateriale inorganico in matrici alimentari (8).

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La messa a punto di metodiche analitiche e protocolli operativi standardizzati, applicabili quotidianamente e in grado di rispondere alle nuove normative, è un obiettivo su cui le istituzioni nazionali ed europee e i centri di ricerca stanno investendo molte energie. Le calibrazioni inter-laboratorio per la validazione delle metodiche e lo sviluppo di materiali di riferimento sono una parte fondamentale di queste strategie, cui il Laboratorio ECSIN partecipa attivamente nell’ambito di importanti progetti europei come NanoValid, NANoReg e NANoReg (2).

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da L’Integratore Nutrizionale 4 – 2016

DNA barcoding per le piante officinali:

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L’Ateneo di Milano-Bicocca è il più giovane polo universitario di Milano. La presenza e il ruolo culturale di questa Università nella vita della metropoli lombarda è in rapido sviluppo, come attestano i dati delle iscrizioni in costante aumento grazie alle moderne strutture e al recente collegamento con il centro e con le aree più dinamiche della città realizzato dalla nuova linea metropolitana. Accanto alla vocazione originaria dell’Ateneo nell’ambito socio-economico, è venuta via via affermandosi l’area scientifica, in particolare nel campo medico-farmaceutico e in quello alimentare (grazie all’impulso, pre e post, di Expo2015).

Schermata 2016-11-30 alle 17.51.29FEM2-Ambiente è uno spin-off universitario nato nel 2010 con l’intento di mettere a punto metodiche e servizi tecnico-scientifici innovativi per le imprese presenti nel campo ecologico-ambientale e nei settori legati all’utilizzo dei prodotti naturali e dei loro derivati.

L’identificazione genetica attraverso la metodologia del DNA Barcoding è un’attività nel quale FEM2-Ambiente ha raggiunto una particolare specializzazione, accreditandosi come uno dei nodi del network IBOL (International Barcode of Life), l’organizzazione scientifica internazionale che unisce gli enti impegnati nella costituzione delle banche dati dedicate.

I vantaggi offerti dal servizio di analisi DNA barcoding per il settore erboristico sono davvero molti”, ci dice Fabrizio De Mattia, amministratore delegato di FEM2-Ambiente. “La prima e più immediata applicazione riguarda la possibilità di identificare in modo certo una partita di prodotto erboristico; è possibile farlo praticamente partendo da qualsiasi materiale disponibile, un campione fresco o essiccato, parti triturate, una polvere o anche un estratto. 

Si tratta di un processo analitico che realizziamo a costi contenuti e in tempi rapidi per una ampia gamma di specie delle quali abbiamo già a disposizione il profilo identificativo. Naturalmente ogni caso ci può porre di fronte alla eventualità di dovere riconoscere una specie officinale, una sua adulterazione o un agente biologico contaminante non ancora tracciati, il che comporta un lavoro di ricerca più ampio che richiede anche l’analisi di banche dati specializzate. Oltre alla identificazione specifica certa, è possibile approfondire lo studio di matrici vegetali più complesse composte da miscele di piante, o di valutare la provenienza di una determinata specie. L’identificazione botanica dell’origine della droga vegetale non è il solo campo di applicazione del DNA Barcoding. L’analisi può essere utile anche nel controllo delle fasi di un processo di lavorazione nel quale il prodotto vegetale originario può venire in contatto con altri ingredienti di derivazione naturale, come ad esempio nella produzione di un cosmetico. Il prodotto intermedio può essere controllato velocemente attraverso la ricerca di eventuali contaminanti, non solo di natura vegetale ma anche microbica”.

Schermata 2016-11-30 alle 17.51.53Per ogni matrice controllata viene rilasciato un certificato di analisi che garantisce al cliente la bontà e la qualità del prodotto. In settori, come quello erboristico, dove la naturalità del prodotto è un scelta etica e strategica, dimostrare una particolare attenzione all’origine della materia prima è un elemento di credibilità dell’impresa e del professionista.

Verificare l’identità genetica dei prodotti naturali utilizzati è indice di consapevolezza ed attenzione per tutte quelle problematiche legate alla sostenibilità ambientale, alla difesa della biodiversità, alle politiche di fair trade che chi opera nel campo della salute, come tutte le aziende erboristiche, non può più trascurare,” dice ancora Fabrizio De Mattia. “In questo senso, oltre ai certificati analitici che forniamo, abbiamo registrato il marchio Verified DNA che può essere un utile strumento di marketing per le aziende che decidono di effettuare questi controlli valorizzando la purezza e quindi la qualità del loro prodotto”. L’applicazione della tecnica del DNA Barcoding alle specie officinali è anche alla base di un interessante progetto di cui FEM2-Ambiente, con il supporto di Università Bicocca, sarà protagonista: “Il passaporto biologico delle erbe”. Obiettivo primario è l’implementazione di una banca dati specializzata per i botanicals presenti sul mercato salutistico italiano e europeo, la cui struttura è già stata creata con il contributo scientifico delle Università di Genova e di Cagliari e con la collaborazione di imprese e orti botanici (da vedere in proposito l’articolo di Massimo Labra e Ilaria Bruni su questo stesso numero).

Oggi FEM2-Ambiente è presente presso i laboratori del Dipartimento di Biotecnologie e Bioscienze con un team composto da biologi molecolari che operano in laboratorio (Dr. Valerio Mezzasalma, Dr.ssa Jessica Frigerio e Dr.ssa Alice Rossi), da una responsabile commerciale (Dr.ssa Monica Pozzi) e da una responsabile della comunicazione (Dr.ssa Paola Re) coordinati dal Dr. Fabrizio De Mattia.

I nostri interlocutori devono sempre tenere conto del fatto che la nostra realtà aziendale è radicata all’interno dell’Università – ci ricorda ancora De Mattia – e questo significa che possiamo offrire risposte ad hoc per specifiche esigenze tecniche e di innovazione che possono provenire dalle aziende grazie alla costante interazione con diversi gruppi di ricerca.

Per Informazioni
www.fem2ambiente.com

da Erboristeria Domani 6/2016

Sperimentazione sugli animali

La Corte di Giustizia CE chiarisce la portata della norma che le vieta per i cosmetici distribuiti in Europa e la Commissione nell’ambito del regolamento REACH ammette il ricorso a metodi alternativi per le prove di sensibilizzazione cutanea

In data 21 settembre 2016 la Corte di Giustizia ha pronunciato una sentenza accolta con grande favore da ambientalisti e animalisti. Secondo la sentenza, che ha deciso la causa C-592/14, “l’art.18, paragrafo 1, lettera b), del regolamento (CE) n.1223/2009 del Parlamento e del Consiglio, del 30 novembre 2009, sui prodotti cosmetici, deve essere interpretato nel senso che esso può vietare l’immissione sul mercato dell’Unione europea di prodotti cosmetici alcuni ingredienti dei quali sono stati oggetto di sperimentazioni animali al di fuori dell’Unione, al fine di consentire la commercializzazione di prodotti cosmetici in paesi terzi, se i dati che ne risultano sono utilizzati per dimostrare la sicurezza dei suddetti prodotti ai fini della loro immissione sul mercato dell’Unione”.

Il testo dell’art.18 par.1 lett.b) la cui interpretazione è stata oggetto della sentenza è il seguente: “…è vietato quanto segue: a)(omissis)…; b) l’immissione sul mercato di prodotti cosmetici contenenti ingredienti o combinazioni di ingredienti che siano stati oggetto, allo scopo di conformarsi alle disposizioni del presente regolamento, di una sperimentazione animale con un metodo diverso da un metodo alternativo…”.

Il caso è sorto quando la federazione europea per gli ingredienti cosmetici (EFFCI), associazione di categoria che opera all’interno dell’Unione Europea e rappresenta i fabbricanti di ingredienti impiegati nei prodotti cosmetici, ha presentato ricorso all’High Court of Justice (England and Wales) per verificare la portata della norma. EFFCI ha chiesto alla Corte di accertare se il fatto che tre società, associate a EFFCI, avessero sottoposto alcuni ingredienti a sperimentazione animale al di fuori dell’Unione al fine di ottenere dati necessari per poter utilizzare gli ingredienti in questione in cosmetici destinati alla vendita in Giappone e Cina, potesse dar luogo a responsabilità penali e alla conseguente irrogazione di sanzioni qualora le società avessero commercializzato tali cosmetici nel Regno Unito.

I Giudici inglesi hanno ritenuto la norma di difficile interpretazione e hanno investito la Corte di Giustizia chiedendo di chiarire:

“1) se l’art.18, paragrafo 1 lett.b) del regolamento (CE) n.1223/2009 del Parlamento Europeo e del Consiglio del 30.11.2009, sui prodotti cosmetici debba essere interpretato nel senso che vieta l’immissione sul mercato comunitario di prodotti cosmetici contenenti ingredienti o combinazioni di ingredienti che siano stati oggetto di una sperimentazione animale, nel caso in cui detta sperimentazione sia stata effettuata al di fuori dell’Unione Europea allo scopo di soddisfare i requisiti legislativi o regolamentari dei paesi terzi, al fine di commercializzare in tali paesi prodotti cosmetici contenenti detti ingredienti. 

2) Se la risposta alla prima questione dipenda a) dal fatto che la valutazione della sicurezza svolta a norma dell’art.10 del regolamento in parola per dimostrare la sicurezza del prodotto cosmetico per la salute umana prima di renderlo disponibile sul mercato comunitario comporti l’uso di dati risultanti dalla sperimentazione animale effettuati al di fuori dell’Unione Europea; b) dal fatto che i requisiti legislativi o regolamentari dei paesi terzi si riferiscano alla sicurezza dei prodotti cosmetici; c) dal fatto che fosse ragionevolmente prevedibile, al momento della realizzazione al di fuori dell’Unione della sperimentazione su animali di un (omissis) ingrediente, che chiunque potesse tentare di immettere prima o poi sul mercato comunitario un cosmetico contenente tale ingrediente; e/o d) da un altro fattore, e, in caso affermativo, quale”.

Nel procedimento innanzi ai giudici europei l’avvocato generale della Corte, nelle sue conclusioni, ha pure dichiarato che l’articolo sottoposto ad interpretazione “Non è ben formulato” ed è comprensibile “la difficile situazione di chiunque cerchi di dare un senso all’art.18 par.1 lett.b) del regolamento sui cosmetici”. Infatti, la Corte di Giustizia per affrontare la questione ha dovuto sviluppare un articolato ragionamento.

Il fatto che non possano essere effettuati nel territorio della comunità europea sperimentazioni su animali per ingredienti o combinazioni di ingredienti per cosmetici è indiscusso. Il nocciolo della questione, sulla quale verte la causa, riguarda invece i casi in cui le sperimentazioni animali su un ingrediente o una combinazione di ingredienti siano state effettuate all’estero per adempiere a richieste di paesi extraeuropei. Ci si chiede cioè se il solo fatto di aver fatto ricorso alla sperimentazione animale sia sufficiente a rendere attivo il divieto di commercializzazione del cosmetico che li contiene nel mercato europeo, oppure ci siano casi in cui tali cosmetici possono trovare comunque legittimamente distribuzione.

I giudici hanno ritenuto che l’interpretazione della norma verta soprattutto sul significato da attribuire all’espressione “allo scopo di conformarsi alle disposizioni del presente regolamento” ed ha quindi analizzato il significato dell’espressione mediante un esame letterale, in relazione alla sua collocazione nel contesto del regolamento e dal suo rapporto rispetto gli obiettivi perseguiti dalla disciplina.

Da un punto di vista letterale la formulazione della norma è stata ritenuta ambigua dai giudici. Attenendosi strettamente alle parole utilizzate nella norma si potrebbe ritenere che il fatto dirimente per ritenere o meno vietata la condotta di chi effettua sperimentazioni su animali all’estero sia l’intenzione di utilizzare i dati sperimentali per “conformarsi alle disposizioni” del regolamento cosmetici. Se si accettasse tale interpretazione però si aprirebbero problemi di difficile soluzione in termini di individuazione e prova dello scopo perseguito dal professionista. Per questa ragione è apparso opportuno approfondire la ricerca del significato della norma ricorrendo ad un’interpretazione fondata sul contesto in cui l’articolo è inserito e sugli obiettivi generali perseguiti dalla disciplina sui cosmetici.

I giudici evidenziano dunque che l’obiettivo principale della disciplina sui cosmetici è quello della tutela della salute umana. Il cosmetico deve essere sicuro nelle normali condizioni d’uso (art.3) ed elemento fondamentale per dare prova della sicurezza è la relazione nella quale devono essere valutate tutte le informazioni pertinenti al prodotto ed ai suoi ingredienti (art.10), relazione che è documento chiave del fascicolo informativo sul prodotto che la persona responsabile deve tenere a disposizione dell’autorità (art.11).

Altro bene cui il regolamento cosmetico assicura un livello di tutela elevato, anzi più elevato rispetto a quello applicabile in altri settori, è il benessere degli animali. Infatti condizione per l’accesso dei cosmetici sul mercato europeo è proprio l’esclusione del ricorso alla sperimentazioni su animali, sostituita da metodi alternativi convalidati, per provare la sicurezza dei prodotti (art.18).

La Corte riconosce poi che il divieto di sperimentazione su animali, pur non essendo assoluto – a dimostrazione i giudici richiamano l’art.11, che riguarda la documentazione informativa sul prodotto e prevede al par.2 lett.e) che siano conservati “i dati concernenti le sperimentazioni animali effettuate dal fabbricante, dai suoi agenti o dai suoi fornitori relativamente allo sviluppo o alla valutazione della sicurezza del prodotto cosmetico o dei suoi ingredienti, inclusi gli esperimenti sugli animali effettuati per soddisfare i requisiti legislativi o regolamentari dei paesi terzi” ma si può ricordare anche che nella valutazione di sicurezza può tenersi conto dei dati ottenuti con sperimentazioni animali condotte anteriormente all’entrata in vigore del divieto – ha l’obiettivo primario di promuovere l’applicazione di metodi alternativi che non comportino l’impiego di animali per garantire la sicurezza nel settore cosmetico e che dunque tale obiettivo sarebbe seriamente compromesso se fosse possibile sfruttare la richiesta di dati sperimentali su animali di paesi terzi per assicurare la sicurezza del cosmetico da immettere sul mercato comunitario.

La Corte giunge quindi alla conclusione che “letta alla luce del suo contesto e dei suoi obiettivi, detta disposizione deve essere interpretata nel senso che devono essere ritenute come effettuate “allo scopo di conformarsi alle disposizioni di tale regolamento” le sperimentazioni animali, effettuate fuori dell’Unione al fine di permettere la commercializzazione di prodotti cosmetici in paesi terzi, i cui risultati sono utilizzati per dimostrare la sicurezza di tali prodotti per la loro immissione sul mercato dell’Unione”.

Dal tenore della sentenza potrebbe ammettersi la presenza nel fascicolo informativo di dati ottenuti da sperimentazioni su animali qualora gli stessi non siano tenuti in conto per la valutazione di sicurezza, da basarsi esclusivamente su dati ottenuti attraverso metodi alternativi.

La conclusione è dunque che nella relazione sulla sicurezza di un cosmetico, gli ingredienti o le miscele di ingredienti cosmetici non devono mai essere valutati su dati ottenuti nell’ambito di sperimentazioni animali; unica esclusione prevista è costituita dai casi in cui tali dati siano stati ottenuti prima delle date limite per l’eliminazione progressiva delle diverse sperimentazioni animali.

Anche in un settore diverso ma che ha punti di contatto con il mondo dei cosmetici sono da segnalarsi importanti modifiche dirette ad un più elevato livello di protezione degli animali. Infatti, anche nel settore delle sostanze chimiche disciplinate dal regolamento “REACH” (CE) 1907/2006 si sta cercando di sostituire e ridurre il ricorso alla sperimentazione animale. In questo senso infatti il regolamento (UE) 2016/1688 della Commissione del 20 settembre 2016 che modifica l’allegato VII del regolamento CE n.1907/2006 del Parlamento europeo e del Consiglio concernente la registrazione, la valutazione, l’autorizzazione e la restrizione delle sostanze chimiche per quanto riguarda la sensibilizzazione cutanea.

La modifica portata dal regolamento 2016/1688 riguarda infatti la possibilità, resa oggi possibile dal progredire della scienza, di sostituire le prove in vivo per la sensibilizzazione cutanea con nuovi metodi alternativi convalidati. Benchè le prove in vivo non siano state vietate del tutto, essendo possibile il ricorso alle sperimentazioni animali nei casi in cui i metodi alternativi non siano applicabili a specifiche sostanze, oppure se i risultati di tali studi non siano ritenuti adeguati ai fini della classificazione e valutazione dei rischi della sostanza valutata, si tratta di un sostanziale passo avanti per la tutela del benessere degli animali.

da Cosmetic Technology 5 – 2016