Dal laboratorio dell’università
alla creazione di uno spin-off

Dal laboratorio dell’università
alla creazione di uno spin-off

L’esperienza di UNIRED

Due chiacchiere con...

Alessandra Semenzato
Direttore scientifico UNIRED e docente presso l’Università degli Studi di Padova

Ascoltare una presentazione della Prof.ssa Semenzato durante un convegno è come partire per un viaggio dal quale si tornerà arricchiti; si viene condotti per mano dalla sua determinatezza e indiscutibilmente rapiti dalla sua capacità di accogliere gli stimoli dall'esterno, di osservare oltre a vivere nel reale. Curiosi di conoscere qual è stata la sua carriera accademica fin dai primi esordi e di sapere come è nato UNIRED, spin-off dell’Università degli Studi di Padova, abbiamo fatto quattro chiacchere con Alessandra Semenzato.

R. Mi sono iscritta a Chimica e Tecnologie Farmaceutiche (CTF) con moltissima convinzione, perché fin dal liceo mi ero innamorata della chimica e quindi non ho mai avuto dubbi su cosa volessi fare. Ero inizialmente orientata a iscrivermi alla Facoltà di Chimica, ma nello stesso anno della mia immatricolazione universitaria è stato avviato il Corso di Laurea in CTF, proprio nella mia città. Ho quindi deciso di orientarmi alla chimica applicata anziché alla chimica pura. Mi sono laureata con una tesi in biochimica supervisionata da un professore che mi ha stimolato a proseguire la carriera accademica, avendo visto in me delle doti che io stessa non sapevo di avere. Ammetto che, prima di allora, non ci avevo mai pensato, ma insegnare è tutt’ora la cosa che mi piace di più del mio lavoro universitario, quindi gli sono davvero grata.
Il referente del gruppo di biochimica in cui lavoravo era il Prof. Benassi, da poco rientrato a Padova da Ferrara, dove aveva avviato l’iter per la realizzazione della scuola di specializzazione in cosmetica (oggi Cosmast) e aveva deciso di mettere in piedi insieme al Prof. Bettero un gruppo che si occupasse di cosmetica, in particolare di analitica, in appoggio alla richiesta crescente da parte delle aziende di metodologie, in vista del recepimento in Italia della Direttiva europea del ‘76.
Pochi giorni dopo la laurea il Prof. Benassi mi offrì una borsa di studio che accettai, nonostante la cosmetica fosse per me una disciplina sconosciuta e (lo confesso) lontana dai miei interessi. Catapultata a Ferrara alla scuola di specializzazione in cosmetica, ho scoperto un mondo che da una parte mi affascinava ma dall’altra mi spaventava, perché molto lontano dall’idea della ricerca “ideale” in cui mi ero formata.
Nel giro di pochi anni sono riuscita a entrare come ricercatrice all’Università degli Studi di Padova, dove ancora insegno Chimica dei prodotti cosmetici dal 2006 e dove nel corso degli anni ho scoperto una vera passione per la cosmetica, ampliando i miei interessi dall’analitica alla formulazione e alle tecniche fisiche di caratterizzazione dei materiali, in un processo naturale e continuo.
Se all’inizio la cosmetica non rientrava nel mio immaginario (anche perché avevo molti preconcetti al riguardo), alla fine si è rivelata una strada che mi corrispondeva pienamente, forse proprio in quanto non preordinata.
D’altronde John Lennon disse: “La vita è quello che ti accade mentre sei occupato a fare altri progetti” (N.d.R).

R. Uno dei primi lavori che ho pubblicato riguardava un metodo per valutare la quantità di formaldeide derivante dall’uso dei preservanti; un metodo innovativo che rendeva la procedura molto semplice e rapida. Dopo la pubblicazione, il responsabile del Controllo Qualità di una multinazionale cosmetica mi inviò una lettera (le mail non esistevano ancora!) per ringraziarmi, in cui mi diceva come quel metodo aveva di gran lunga semplificato l’iter dei controlli, liberando tempo prezioso per i suoi collaboratori. Avevo gettato il primo seme. Il mio obiettivo, infatti, è sempre stato quello di fornire alle aziende delle soluzioni ma anche un metodo di lavoro. In molte realtà produttive mancano gli approcci metodologici che invece sono propri del bagaglio di chi lavora all’università. Provo molta soddisfazione quando la collaborazione crea qualcosa di utile che spesso si concretizza anche in nuovi prodotti. È un po’ come il lavoro dello chef… e a me piace cucinare, oltre che mangiare!
Da questo desiderio di relazione con le aziende è nato dunque UNIRED.

R. “UNI” sta per “università” e in origine il nome completo era UNIR&D, con un chiaro richiamo al reparto Research & Development delle aziende. Sfortunatamente la scelta di avere nel nome una lettera come la & commerciale non si è rivelata in linea con le logiche dei motori di ricerca, così quando abbiamo deciso di rivedere la nostra comunicazione digitale abbiamo scelto il nome UNIRED.

R. La prima idea di spin-off mi è venuta nel 2000 quando ho partecipato alla prima edizione di una competizione (Start Cup) proposta dall’Università degli Studi di Padova per la selezione di idee imprenditoriali innovative derivanti dalla ricerca dei propri laboratori. Sono arrivata in finale ma non sono stata finanziata. Meglio così perché i tempi non erano ancora maturi…!
UNIRED invece è nata nel 2012 in seguito alla collaborazione pluriennale con il Dott. Baratto, responsabile scientifico di UNIFARCO. Nella creazione dello spin-off ho coinvolto da subito altri colleghi con competenze molto diverse ma strategiche per il mondo healthcare e abituati a lavorare con le aziende. UNIRED cerca quindi di mettere l’approccio universitario al servizio e ai bisogni dell’azienda, costruendo soluzioni personalizzate. Credo che, come universitari, abbiamo questo “dovere”, ovvero vedere “al di là del nostro naso” al fine di proporre un’idea di ricerca applicata e rispondente a un bisogno ben preciso, per aiutare le aziende nel percorso di innovazione.
Spesso le aziende rinunciano a innovare per paura che approcci metodologici diversi portino via tempo e risorse senza dare un ritorno immediato, mentre l’innovazione è la chiave per capitalizzare e offrire al consumatore qualcosa di nuovo in una prospettiva di breve e medio termine. Il mercato sta diventando sempre più competitivo e le offerte sono sempre più ampie e variegate; è quindi necessario reinventarsi e per farlo è indispensabile un approccio scientifico di fondo.

R. Sì… nel mio percorso professionale ho intrapreso una collaborazione ultraventennale con la Facoltà di Economia, grazie alla quale abbiamo dato vita a un Master in Business and Management nel settore cosmetico conosciuto a livello internazionale, in quanto parte di un progetto denominato EFCM. Vedere che molti degli studenti che si sono formati presso questo Master oggi ricoprono ruoli chiave nel management delle aziende è motivo di orgoglio e conferma l’importanza del dialogo tra il mondo tecnico-scientifico e quello aziendale nel campo della cosmetica.
L’interdisciplinarietà è proprio ciò su cui dovremmo maggiormente puntare nella ricerca e nella didattica, come nei team di lavoro aziendale. Finalmente oggi anche l’università sembra muovere i primi passi in questa direzione, anche se persistono delle resistenze burocratiche e organizzative.

R. Naturalmente sì, sia tra i soci che tra i dipendenti e i collaboratori. Attualmente in UNIRED ci sono 5 dipendenti (un laureato in Economia Aziendale e 4 farmacisti), a cui si aggiungono un consulente psicologo e psicoterapeuta che si occupa di neuromarketing e qualità della vita, e un altro consulente, esperto di polimeri, che si occupa di packaging sostenibile. A queste persone si aggiunge altro personale dell’università come borsisti, assegnisti e laureandi. Quindi in totale siamo tra le 8 e le 10 persone. La differenza tra la mia prima idea di spin-off e UNIRED risiede nel fatto di avere al suo interno una squadra in cui ciascuno ha una sua specifica competenza e predisposizione.
Questa interdisciplinarietà e l’ottimo gioco di squadra sono alla base anche dai nostri podcast, un’idea nata durante il lockdown e con cui andiamo ad analizzare, con un linguaggio semplice e andando dritti al punto (da qui il nome del podcast Dritti al punto), le notizie scientifiche, spaziando dal settore chimico-farmaceutico al mondo dei cosmetici e del personal care, portando l’ascoltatore ad allenare il pensiero critico, utile ad approcciarsi razionalmente nei confronti della vastità di informazioni e delle fake news che riceviamo ogni giorno.

R. Il cosmetico è un prodotto per la persona; non nasce per rispondere solo alle esigenze della sua pelle o per evocare emozioni. Puntare sull’innovazione e sulla tecnologia significa dare risposte scientifiche ai bisogni della salute e del benessere della persona. Per fare questo ci vogliono però degli strumenti nuovi. Il successo del cosmetico è la risultante delle sue caratteristiche fisiche e applicative, ed è solo attraverso una vera conoscenza di come le materie prime si mettono in relazione tra di loro che si possono migliorare le performance dei prodotti. Oggi con gli studi di neuromarketing si possono misurare i benefici che essi sono in grado di apportare e quindi comprendere meglio come far diventare i nostri prodotti un vero successo di mercato.

R. Innanzitutto è importante prendere consapevolezza del fatto che la sostenibilità è un processo complesso che riguarda molte fasi della realizzazione di un prodotto.
Per questo la prima cosa che proponiamo è un ciclo di formazione aziendale che coinvolga tutti i reparti, dalla Ricerca e Sviluppo al Marketing, per allineare l’azienda ed evitare così di cadere nel noto fenomeno del greenwashing. Si capisce facilmente, quindi, come la sostenibilità sia un percorso di lungo periodo che include diversi obiettivi, realizzabili con tempistiche diverse.
Ad esempio, la sostituzione del packaging con materiali biodegradabili e compostabili richiede tempi di sviluppo lunghi e investimenti ingenti, mentre quando si parla di ingredienti e biodegradabilità della formulazione gli obiettivi sono più a breve termine. Un grande spazio della nostra ricerca è anche dedicato allo studio di nuovi principi attivi da materiali di scarto, che si inseriscono molto bene nel concetto di economia circolare, in quanto affronta il problema dello smaltimento dei rifiuti.

R. Il problema più grosso è quello delle impurezze perché ci sono delle criticità da governare.
Ma ci sono anche materiali di scarto che non presentano grosse criticità: c’è scarto e scarto. Più si va verso lo scarto di lavorazione e più ci saranno problemi, ma tutto è risolvibile. Anche in questo caso ci vuole tempo e sperimentazione.
Oltre alla rivalutazione dei materiali di scarto, la nostra ricerca si concentra anche sulla rivalutazione di prodotti del territorio a filiera corta che possono rappresentare una fonte di biodiversità ma sono poco appetibili per il settore alimentare, ad esempio la mela cotogna.
La sfida principale per le aziende che realizzano prodotti healthcare rimane quella di coniugare la sostenibilità con le performance del prodotto, non solo per gli attivi funzionali ma anche per le materie prime che strutturano il veicolo. Questo richiede l’utilizzo di tecniche di caratterizzazione fisica che possano supportare la sostituzione razionale di materie sintetiche come modificatori reologici e texturizzanti con materie prime naturali compatibili con l’eco-design del prodotto, in grado di mantenerne le proprietà applicative.

R. Secondo me le aziende non dovrebbero mai adattarsi e sedimentarsi su determinati procedimenti aziendali, perché non è detto che ciò che è sempre andato bene continuerà ad andare bene; gli scenari possono cambiare da un momento all’altro e il COVID-19 ne è la dimostrazione.
Una delle citazioni a me più care è la seguente: “Molta osservazione e poco ragionamento conducono alla verità” (Alex Carrel). Concordo pienamente con questa affermazione e cerco di applicarla sia nel lavoro che nella mia vita personale. Essere buoni osservatori della realtà senza innamorarsi dei propri ragionamenti ci rende molto più aperti alla possibilità di cogliere le novità e, tradotto sul piano pratico per un’azienda, a ricordarci che i consumatori sono prima di tutto persone e non semplicemente dei target.
Quello che invece consiglierei di fare è creare delle figure di raccordo tra i vari reparti: un dialogo tra R&D e produzione e tra R&D e marketing rende i processi più fluidi. Questo dialogo porta allo sviluppo di team che sono realmente interdisciplinari, che riescono meglio a governare le complessità e in cui le competenze di ciascuno possono emergere ed essere valorizzate.
Riportare l’attenzione sulle persone, inoltre, è uno dei fattori che contribuisce a realizzare un’azienda sostenibile.

COSMETIC TECHNOLOGY

Alessandra Semenzato

tel 049 776766
alessandra.semenzato@unired.it
www.unired.it

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UNIRED - HEALTH AND PERSONAL CARE INNOVATION

Soluzioni personalizzate per l’innovazione di prodotto
e la crescita del know-how delle aziende Health & Personal Care.

Notte dei ricercatori

Dai vasetti ai sacchetti

Un nuovo modo di concepire il packaging cosmetico

Università: mai stata così vicina

In quest’anno profondamente segnato dalla pandemia è emersa ancora di più la necessità di instaurare un dialogo costruttivo tra scienza e popolazione. La scienza, infatti, si interroga da decenni su come coinvolgere e interessare i cittadini alle sue scoperte. A tal fine, ogni anno dal 2005 viene organizzata in diverse città europee la notte delle ricercatrici e dei ricercatori, che nel caso degli atenei di Padova, Venezia e Verona prende il nome di Venetonight. A causa della pandemia, quest’anno è stata organizzata un’edizione interamente online che ha visto la realizzazione di webinar, esperimenti di laboratorio online e video informativi su domande che posso sorgere spontanee a chiunque, ad esempio come nasce un vaccino, come avviene l’effetto serra o che cosa sono e a che cosa servono le emozioni.
Scopo dell’iniziativa è quello di portare fuori dai laboratori la ricerca accademica, mostrando alla popolazione quanto la ricerca affronti ogni giorno problemi che interessano tutti noi, ma soprattutto quanto questa possa offrire soluzioni che hanno una ricaduta pratica nella società. Quest’ultimo aspetto in particolare è parte della mission degli spin-off universitari che si pongono come veri e propri luoghi di incontro tra accademia e impresa, al fine di favorire il trasferimento tecnologico della ricerca.
Ne è un esempio il video realizzato da Unired, spin-off dell’Università degli Studi di Padova, che da più di otto anni collabora con aziende del settore cosmetico e nutraceutico con lo scopo di favorire l’innovazione di prodotto e la crescita del know-how. Il video in questione  riguarda il frutto dell’ultimo anno di ricerca di Unired sulla sostenibilità dei packaging cosmetici. Tale ricerca ha portato recentemente allo sviluppo di ECO PIPING BAGS, un packaging cosmetico dal design innovativo e in materiale completamente biodegradabile e compostabile.

Quanti contenitori di plastica abbiamo in casa? L’industria cosmetica da anni predilige questo tipo di vasetti e flaconi che rendono facile l’utilizzo del prodotto e la conservazione. Ma un’ottima alternativa che guarda al nostro pianeta in un’ottica ecologica e sostenibile c’è!

La rivoluzione del packaging in un sacchetto

La maggior parte dei prodotti cosmetici è contenuta in vasetti, flaconi o tubetti di plastica, i quali hanno un ruolo fondamentale nel garantire la corretta conservazione del prodotto, proteggendolo efficacemente dagli agenti esterni, oltre che a permettere il giusto dosaggio e una consona applicazione. I classici contenitori cosmetici sono però voluminosi, aumentano notevolmente la produzione di rifiuti e spesso non possono essere inclusi nella filiera del riciclaggio.
In un mondo in cui l’attenzione all’ambiente è sempre più impellente e una delle tematiche più dibattute è come ridurre i rifiuti, è necessario cercare soluzioni sostenibili. Proprio in quest’ottica è nato il progetto ECO PIPING BAGS.
Esso sostituisce il classico flacone o vasetto di plastica con un sacchetto sottile, leggero e dal design unico, realizzato in materiale completamente biodegradabile e compostabile. Il nuovo contenitore per prodotti per la pelle, innovativo e sostenibile, mira a cambiare l’idea del cosmetico e il suo impiego, richiamando il mondo della pasticceria. L’innovazione di questo imballaggio consiste, infatti, nel trasferire e adattare al mondo cosmetico un contenitore come la sac à poche, che è proprio di una realtà, la pasticceria, altrettanto costellata di creme.

Come si presenta il sacchetto e da cosa è composto

Il contenitore a sacchetto (Fig.1A) è realizzato con polimeri biobased, biodegradabili e compostabili provenienti dal mondo dell’agricoltura, ed è avvolto da carta biodegradabile che ne favorisce la presa e garantisce una sensazione tattile piacevole, aspetto fondamentale della gestualità cosmetica (Fig.1B). Il corretto svuotamento della confezione viene favorito dall’impugnatura “da pasticceria”, evitando così il contatto diretto del dito con il prodotto, come avviene ad esempio con i vasetti, e riducendo quindi la possibile contaminazione.
L’erogazione del prodotto dal “contenitore a sacchetto” avviene grazie a un dispositivo di erogazione anch’esso biodegradabile e compostabile, dal design ideato su misura e dotato di tappo richiudibile. Questo sistema “apri e chiudi” permette di dosare facilmente il prodotto. Infine il sacchetto viene riposto in un contenitore di carta rettangolare che permette di metterlo a scaffale. Anche tale contenitore è stato realizzato ad hoc per assicurare la funzionalità, riducendo al minimo il materiale che lo compone.
La realizzazione di un sacchetto rispetto a un flacone si traduce in una riduzione di oltre il 90% della quantità di plastica utilizzata per produrlo, abbattendo drasticamente gli spazi necessari per stoccare i pezzi nei magazzini e l’inquinamento derivante dal loro trasporto.
Il progetto ha partecipato al Best Packaging 2020, contest promosso dall’Istituto Italiano di Imballaggio volto a premiare i migliori packaging in relazione a innovazione e sostenibilità, aggiudicandosi il premio Quality Design con la seguente motivazione: “Il prototipo introduce una nuova visione e una nuova concezione del flacone per skin care. Il trasferimento tecnologico della forma, che ricorda una sac à poche da pasticceria, afferma nuove coordinate espressive e propone al consumatore la sperimentazione di nuovi modelli di utilizzo”.
Come sottolinea anche la motivazione, oltre a essere sostenibile introduce una nuova gestualità e fa da apripista a nuovi modi di concepire il packaging cosmetico e non solo.
L’esperienza data dalla realizzazione di questo progetto mostra, ancora una volta, come la sinergia tra ricerca accademica e impresa porti allo sviluppo di modelli virtuosi che possono essere adottati anche da altre industrie, non solo cosmetiche.

COSMETIC TECHNOLOGY

Vasetti flaconi e contenitori
ci sommergeranno?
speciale video

Alessandra Semenzato
Dipartimento di Scienze del Farmaco, Università di Padova, Padova

Alessia Costantini,
Marco Scatto, Gianni Baratto

Unired, Spin-off Università di Padova, Padova

alessandra.semenzato@unipd.it

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unired - università di padova, dipartimento del farmaco

Vasetti flaconi e contenitori ci sommergeranno?

Sicurezza di prodotti MAKEUP

Sicurezza di prodotti MAKEUP

L’importanza dell’analisi dei metalli pesanti

di MARTA FAGGIAN1, JESSICA DE PRÀ2, STEFANO FRANCESCATO2, GIANNI BARATTO2,  ALESSANDRA SEMENZATO3, STEFANO DELL’ACQUA3
1Unired, Spin-off Università di Padova, Padova
2Unifarco, Santa Giustina (BL)
3Dipartimento di Scienze del Farmaco, Università di Padova, Padova
alessandra.semenzato@unipd.it

Il gesto di truccarsi fa parte della vita sociale dell’uomo da sempre e, come ci conferma la storia dell’arte, ogni epoca ha avuto le sue mode, tendenze specifiche e testimonial d’eccezione: da Cleopatra alla regina Elisabetta I d’Inghilterra e Maria Antonietta di Francia, fino alle donne simbolo degli anni Sessanta, prime fra tutte Audrey Hepburn e Marilyn Monroe. L’uso del makeup rappresenta ancora oggi un modo di esprimersi e un gesto piacevole e imprescindibile per relazionarsi con gli altri a cui è difficile rinunciare, anche quando la pelle presenta problematiche dermatologiche e/o una predisposizione del sistema immunitario a sviluppare allergie cutanee.
Nei prodotti makeup è infatti molto diffuso l’uso di pigmenti colorati, per lo più di origine naturale, come gli ossidi di ferro che sono alla base di terre e fondotinta. Questi pigmenti contengono quantità più o meno rilevanti di metalli pesanti come nichel, cromo, cobalto e piombo. I metalli pesanti, in quanto nocivi, sono ingredienti vietati per l’uso cosmetico (Allegato II del Regolamento europeo 1223/2009); la loro presenza è ammessa solo in tracce come residui dei processi di produzione o impurezze degli ingredienti, come nel caso dei pigmenti presenti nei prodotti makeup. Per questo l’Istituto Superiore di Sanità fornisce solamente delle indicazioni riguardanti il controllo della presenza di metalli pesanti nel prodotto, suggerendo all’azienda produttrice una valutazione di sicurezza dei prodotti immessi sul mercato in relazione non solo al tipo di metallo pesante, ma anche alla via di esposizione e alla tipologia di prodotto (1).
Le tecnologie disponibili ad oggi consentono di raggiungere un buon grado di purezza del pigmento rispetto agli effetti tossici, ma non permettono di eliminare in modo completo questi elementi che, anche se presenti in quantitativi estremamente limitati, possono generare problematiche di sensibilizzazione. Infatti, il contatto cutaneo ripetuto, anche con quantità molto piccole e non tossiche, può determinare in soggetti predisposti fenomeni di sensibilizzazione e dermatiti da contatto di tipo allergico*.
L’obiettivo di chi formula è quindi quello di utilizzare materie prime e processi produttivi che consentano la produzione di prodotti finiti con il livello più basso possibile di metalli pesanti, dal momento che la soglia di sensibilizzazione identificata da dermatologi e allergologi si attesta intorno a 1 ppm (1mg/kg). Quando si utilizzano pigmenti colorati questa soglia rappresenta una sfida non facile da raggiungere: la presenza di metalli pesanti in tracce risulta infatti uno degli aspetti critici più rilevanti nella formulazione del makeup per le pelli sensibili e/o predisposte a sviluppare allergie.
Le dermatiti da contatto da metalli pesanti sono ampiamente diffuse in tutto il mondo e sono in continua crescita, dal momento che l’uomo entra in contatto con queste sostanze non solo attraverso i cosmetici ma anche con gioielli di metallo, anche prezioso (oro, argento e platino), e monete di uso comune.
Nel caso del makeup destinato agli occhi, le reazioni che possono osservarsi vanno da semplici fastidi a irritazioni oculari e dermatiti palpebrali. Queste reazioni possono essere prevenute innanzitutto educando la popolazione a un uso corretto del makeup: struccarsi sempre a fine giornata con prodotti delicati, non strofinare la zona oculare e pulire periodicamente i pennelli utilizzati per l’applicazione. Altrettanto importante è però utilizzare prodotti formulati ad hoc per ridurre al minimo il rischio di sensibilizzazione.
Il design formulativo di questi prodotti deve quindi partire da un’attenta selezione delle materie prime per garantire il massimo livello di sicurezza del prodotto finito.
La selezione dei pigmenti da utilizzare nei prodotti di makeup rende obbligatorio per l’azienda il ricorso a metodologie analitiche specifiche che consentono di determinare la concentrazione di metalli pesanti presenti. Esistono diverse metodologie per l’analisi dei metalli pesanti e la legislazione cosmetica non individua tuttora un metodo unico e universalmente riconosciuto. Tra le analisi più utilizzate vi è la spettroscopia di assorbimento atomico che si può applicare dopo mineralizzazione acida o in seguito al trattamento con il “sudore artificiale”. La metodica del “sudore artificiale” rappresenta il protocollo ufficiale impiegato in oreficeria per determinare la quantità di nichel rilasciata sulla pelle da gioielli e oggetti metallici, e prevede che il campione venga trattato con una soluzione debolmente acida (pH=4,7) contenente acido lattico, cloruro di sodio e urea che riproduce il sudore. Questa metodica, pur simulando in modo più fedele l’interazione tra cosmetico e pelle, presenta dei limiti, in quanto è pensata per una matrice metallica e non per una matrice di natura organica come quella cosmetica. Non permette, quindi, di discriminare in modo univoco e preciso tra i diversi pigmenti e prodotti cosmetici. Con questo metodo, infatti, la maggior parte degli item testati non raggiunge il valore soglia di 0,1 ppm, indipendentemente dal metallo analizzato, dal tipo di prodotto cosmetico e dal colore.
La mineralizzazione acida prevede, invece, l’utilizzo di solventi capaci di liberare i metalli dalla matrice e di misurarne le quantità effettivamente presenti. In questo modo un’azienda che produce o commercializza prodotti makeup può ottenere informazioni utili per selezionare il fornitore di materie prime più adatto alle proprie esigenze, ma anche per distinguere tra le gamme di prodotti proposte da uno stesso fornitore.
L’analisi dei metalli dopo mineralizzazione acida può essere applicata con successo non solo per il controllo qualità del pigmento (lotto per lotto) che, soprattutto se di origine naturale, può incorrere in una maggiore variabilità nel contenuto di impurezze, ma anche nella fase di design formulativo del prodotto.
Come mostrano i risultati di questo studio, l’approccio analitico di controllo in fase di sviluppo formula o di selezione di prodotti dal portfolio dei produttori specializzati in makeup può essere molto utile all’azienda per garantire la qualità del prodotto finito e la sua conformità ai test di cessione e ai test oftalmologici, ottimizzando i tempi e le risorse economiche. Lo studio è stato condotto, mediante spettroscopia di assorbimento atomico in seguito a mineralizzazione acida, su 67 campioni tra materie prime e prodotti finiti: sono stati analizzati nello specifico i contenuti di metalli pesanti – nichel, cromo, cobalto e piombo presenti all’interno di 28 pigmenti, 7 fondotinta, 12 ombretti e 20 matite occhi. […]