Sperimentazione sugli animali


Sperimentazione sugli animali

Un problema superato?

Gabriella Ferraris, Avvocato in Milano • avv.gabriella.ferraris@gmail.com

Dal 2004, prima ancora che entrasse in vigore il Regolamento (CE) n.1223/2009, la sperimentazione animale è stata gradualmente messa al bando nel settore cosmetico. In un primo momento i test sugli animali sono stati vietati per i prodotti finiti e successivamente, con l’art.18 del Regolamento (CE) n.1223/2009, sono stati via via sostituiti anche per gli ingredienti e le miscele di ingredienti con metodi alternativi convalidati. L’applicazione del divieto è stata graduale, in modo da non compromettere la raccolta dei dati necessari per provare la sicurezza delle sostanze, delle miscele di ingredienti e dei prodotti finiti ottenuti con diversi tipi di prove. Nel 2013 il processo di implementazione del divieto di sperimentazione animale si è completato e da quell’anno, a norma dell’art.18 del Regolamento, nel territorio europeo nessun cosmetico o suo componente, prodotto o importato, deve essere testato sugli animali.
La sensibilità del pubblico dei consumatori nei confronti della sofferenza degli animali causata dai test aveva indotto molte aziende, già prima dell’introduzione dei divieti, a cercare soluzioni alternative alle sperimentazioni animali. Le associazioni per la tutela degli animali avevano premiato questi operatori rilasciando, a chi lo richiedeva, delle certificazioni attestanti che i loro prodotti erano cruelty free. A partire dal 2013 è stato però sollevato il problema dell’ingannevolezza di tali certificazioni; poiché le sperimentazioni sono vietate dalla legge, il fatto che alcune aziende vantino i loro prodotti come cruelty free risulta discriminatorio verso le altre che pure hanno la stessa caratteristica. A questo riguardo è significativa la pronuncia n.37/2014 del Giurì dell’Autodisciplina Pubblicitaria dove si afferma, con riferimento al claim “non sono testati sugli animali”, che: “Dal momento che le norme europee (Regolamento (UE) n.655/2013) proibiscono a tutti i prodotti cosmetici di essere testati sugli animali, il Giurì ravvisa nell’espressione impiegata dallo spot non una ridondanza pleonastica, ma l’enunciazione di un inesistente ma vantato pregio differenziale che, mirando all’acquisizione di un indebito beneficio, genera ingannevolezza nel consumatore”.
Perché allora parlare ancora di sperimentazione sugli animali visto che il problema pare essere superato? Le associazioni per la protezione degli animali da subito hanno denunciato come i divieti introdotti dalla disciplina cosmetica non fossero assoluti e rimanessero possibili diverse eccezioni, e che dunque prodotti davvero esenti da tale problematica fossero pochi. Uno degli scopi principali perseguiti dalla disciplina sui cosmetici è la tutela della salute degli utilizzatori e, di conseguenza, salvaguardare la sicurezza di questi prodotti e dei loro componenti costituisce un fine primario. La Commissione europea persegue tale obiettivo avvalendosi della consulenza di una commissione di esperti e del Scientific Commettee on Consumer Safety (SCCS) che la consiglia nello stabilire se una sostanza chimica possa essere o meno consentita come ingrediente nei cosmetici e, nel caso, con quali limiti o condizioni. Per la verifica della sicurezza degli ingredienti cosmetici si fa ricorso, come per tutte le sostanze chimiche, a dati sui possibili effetti dannosi che le diverse sostanze possono causare all’uomo e storicamente tali dati sono stati ricavati da test effettuati sugli animali. Ci sono quindi molti ingredienti cosmetici di uso attuale che in passato sono stati testati sugli animali. Se solo questa fosse l’eccezione però il problema sarebbe circoscritto.
Il fatto è che ci sono anche ingredienti presenti nelle formulazioni in commercio in Europa che, malgrado i divieti, sono tuttora sperimentati sugli animali. Interessante è la questione affrontata dalla Corte di Giustizia europea su impulso della High Court of Justice (England and Wales) e decisa nella sentenza del 21 settembre 2016. In questa causa, promossa dalla Federazione europea per gli ingredienti cosmetici (EFFCI), associazione di categoria che opera all’interno dell’Unione europea e rappresenta i fabbricanti di ingredienti impiegati nei prodotti cosmetici, si è valutata la portata dell’art.18 co.1 lett.b. Questa disposizione vieta l’importazione dei cosmetici contenenti ingredienti o combinazioni di ingredienti testati sugli animali fuori dalla Comunità europea, come avviene nei casi in cui tali test sono effettuati per ottenere dati necessari per espletare procedure di immissione in commercio in Paesi extraeuropei (come Giappone e Cina). La conclusione cui sono giunti i giudici è che il divieto riguarda le sperimentazioni sugli animali effettuate all’estero “allo scopo di conformarsi alle disposizioni di tale Regolamento” e cioè quando “i risultati sono utilizzati per dimostrare la sicurezza di tali prodotti per la loro immissione sul mercato dell’Unione”. Di conseguenza, nessun dato ottenuto nell’ambito di sperimentazioni animali, indipendentemente se effettuate in territorio europeo o extraeuropeo (unica esclusione previsa è costituita dai casi in cui tali dati siano stati ottenuti prima delle date limite per l’eliminazione progressiva delle diverse sperimentazioni animali), può mai essere posto a fondamento della valutazione di sicurezza di ingredienti e miscele di ingredienti cosmetici, ma, nondimeno, poiché il divieto non è assoluto, dati ottenuti fuori dall’UE possono comunque entrare a far parte della documentazione informativa sul prodotto (l’art.11 che riguarda la documentazione informativa sul prodotto prevede al par.2 lett.e che siano conservati “i dati concernenti le sperimentazioni animali effettuate dal fabbricante, dai suoi agenti o dai suoi fornitori relativamente allo sviluppo o alla valutazione della sicurezza del prodotto cosmetico o dei suoi ingredienti, inclusi gli esperimenti sugli animali effettuati per soddisfare i requisiti legislativi o regolamentari dei paesi terzi”). Ciò accade per le sostanze di uso nell’ambito cosmetico, ma bisogna anche tener conto del fatto che in questo settore vengono utilizzati come ingredienti cosmetici anche sostanze in uso in altre filiere dove le sperimentazioni animali sono ancora ammesse, come quella farmaceutica e alimentare. Infatti, un’eccezione al divieto è ammessa se la sperimentazione animale è richiesta per soddisfare gli obblighi di altre normative, come ad esempio la disciplina REACH, ciò benché lo stesso Regolamento REACH all’art.13 stabilisca che “per quanto riguarda la tossicità umana, le informazioni sono acquisite, ove possibile, ricorrendo a mezzi diversi dai test su animali vertebrati, attraverso l’uso di metodi alternativi, ad esempio metodi in vitro o modelli di relazioni qualitative o quantitative struttura-attività o dati relativi a sostanze strutturalmente affini”.
Nel 2016 lo stesso Parlamento europeo, riconosciuto che il divieto di sperimentazione animale prescritto dal Regolamento (CE) n.1223/2009 non è sufficiente a tutelare gli animali nel territorio comunitario e che nel mondo ben l’80% degli stati ancora ricorrono alla sperimentazione animale nel settore cosmetico, ha approvato una risoluzione per rafforzare il principio e anche sollecitare iniziative a livello internazionale per estendere il divieto nei Paesi extraeuropei.
La posizione europea in materia di cosmetici si colloca nell’ambito di un orientamento più generale iniziato con l’approvazione nel 1991 a Maastricht di una Dichiarazione sulla protezione degli animali, in cui veniva riconosciuta la qualità di esseri senzienti, e seguita, nel 1997, ad Amsterdam dall’approvazione di un Protocollo sul benessere degli animali poi diventato parte integrante del Trattato di Lisbona. Proprio partendo da questi principi, in Europa sono state introdotte regole più severe anche nel settore della sperimentazione medica e farmacologica. Con la Direttiva 2010/63/UE del 22.9.10 sulla protezione degli animali utilizzati a fini scientifici, infatti, con l’obiettivo di migliorare il benessere animale si è introdotto il principio delle 3 R (Replacement, completa sostituzione degli animali con metodi alternativi come scopo finale; Reduction, riduzione del numero di animali utilizzati, tale comunque da ottenere una quantità di dati statisticamente significativa; Refinement, raffinamento delle condizioni sperimentali per ridurre al massimo la sofferenza provocata all’animale). Anche in settori diversi da quello cosmetico è stato quindi posto l’obiettivo di eliminare gradualmente i test mettendo a punto metodi alternativi convalidati. La Direttiva 2010/63/UE prevede che i ricercatori possano utilizzare metodi di sperimentazione alternativi, purché siano preventivamente approvati dalla legislazione europea attraverso un preciso iter di validazione. L’organismo incaricato della validazione dei metodi alternativi è il Laboratorio di Riferimento dell’Unione europea (EURL- ECVAM). L’ EURL-ECVAM è ospitato presso il Joint Research Centre, Institute for Health and Consumer Protection (IHCP) che si trova in Italia, a Ispra. EURL ECVAM recepisce le richieste di validazione di nuovi metodi e ne valuta la rilevanza a livello regolamentare e l’affidabilità tecnica. I metodi vengono poi sottoposti a un processo di validazione che si completa con la pubblicazione di una raccomandazione. Lo stesso organismo poi può farsi promotore dello sviluppo e diffusione di metodi e approcci alternativi. Il Parlamento italiano, nel recepire la Direttiva europea ha deciso di modificarla applicando misure particolarmente restrittive. In Italia l’art.37 del D.Lgs. 4 marzo 2014, n.26, attribuisce al Ministero della Salute lo sviluppo e la ricerca di approcci alternativi che non prevedano l’uso di animali o utilizzano un minor numero di animali o che comportano procedure meno dolorose, nonché la formazione e aggiornamento per gli operatori degli stabilimenti autorizzati. Sono stati previsti stanziamenti per finanziare le ricerche in questo senso ed è stato anche creato un gruppo di lavoro per la promozione di nuovi metodi alternativi.
Malgrado questo generale consenso verso l’abbandono delle sperimentazioni sugli animali in tutti i settori, in seno all’Europa muovono ora indicazioni in senso opposto. Non solo per le proteste della comunità scientifica nazionale e internazionale da marzo 2014 è in vigore una moratoria sulle restrizioni al ricorso alle sperimentazioni animali per finalità mediche e scientifiche, ma anche con riferimento a sostanze di uso cosmetico si stanno facendo passi indietro. L’Agenzia europea per le sostanze chimiche (ECHA) nell’ottobre 2020 ha avanzato, infatti, la richiesta di testare sugli animali alcuni ingredienti ampiamente utilizzati nei cosmetici e in altri prodotti di largo consumo sulla base di alcune pieghe del Regolamento REACH che riguarda appunto le condizioni d’uso delle sostanze chimiche per assicurare la sicurezza d’uso per l’uomo. È stato affermato, in particolare, che le sperimentazioni sugli animali sono necessarie per testare la sicurezza anche di ingredienti cosmetici quando vi sia il rischio di una possibile esposizione dei lavoratori nel processo di fabbricazione. Le associazioni europee per la tutela degli animali e anche aziende di cosmetici hanno ora sottoscritto un appello ai vertici dell’UE (la Presidente della Commissione, Ursula von der Leyen; il Presidente del Consiglio europeo, Charles Michel e il Presidente dell’Europarlamento, David Sassoli) con la richiesta di non consentire il superamento del divieto delle sperimentazioni animali. Sarebbe un vero peccato che, ora che il buon esempio europeo ha spinto anche Paesi come la Cina a rinunciare alle sperimentazioni sugli animali in fase prevendita per almeno alcune categorie di cosmetici (legge entrata in vigore dal gennaio 2021), andassero persi in Europa risultati che si ritenevano definitivamente acquisiti. È comprensibile che la salute dei consumatori sia un valore importante e che debba essere difeso, ma la politica di graduale sostituzione dei test sugli animali con metodi alternativi convalidati ha dato fino ad ora risultati positivi, le aziende non risultano essere state penalizzate e i consumatori hanno apprezzato, e dunque ci si chiede perché si voglia invertire la tendenza.

Articolo pubblicato sulla rivista Cosmetic Technology 01/2021