Potremo davvero farne “senza…”?


Potremo davvero farne “senza…”?

Un viaggio tra i criteri comuni per l’attribuzione dei claim

Intervista a Cristina Emanuel, Direttore Scientifico & Regolamentare di L’Oréal Italia

“Senza siliconi”, “senza solfati” e “senza parabeni”; a partire da luglio 2019 l’uso di alcune rivendicazioni con l’indicazione “senza” (i cosiddetti free-from claim) potrebbe subire delle limitazioni. Scopo delle nuove disposizioni regolamentari è quello di controllare l’utilizzo di terminologie che potrebbero risultare ingannevoli per i consumatori o comportare il rischio di concorrenza sleale.

Ne abbiamo parlato con Cristina Emanuel, Direttore Scientifico & Regolamentare di L’Oréal Italia.


A partire da luglio 2019 i claim contenenti il termine “senza” non possono più comparire sui prodotti cosmetici? Potrebbe spiegarci il contesto di queste nuove disposizioni regolamentari?
Innanzitutto vorrei descrivere brevemente il quadro generale delle normative che regolano la comunicazione pubblicitaria dei prodotti cosmetici (il Regolamento (CE) n.1223/2009 e il successivo Regolamento (UE) n.655/2013), che hanno introdotto sei Criteri Comuni, ovvero conformità alle norme, veridicità, supporto probatorio, onestà, correttezza e decisione informata. Si tratta di criteri che permettono di verificare la veridicità di una rivendicazione pubblicitaria o di un claim, sulla base di un certo numero di parametri quali l’evidenza di prove e risultati di test, il fatto che una rivendicazione sia onesta, corretta, non ingannevole in termini giuridici, e così via. Questi criteri sono stati applicati a partire dal 2013.
Sin da luglio 2013, quindi, l’Europa ha fatto riferimento ai Criteri Comuni per approvare tutti i claim, inclusi quelli che riportano i termini “senza” e “ipoallergenico”.
Sebbene in origine i claim “senza” fossero perlopiù limitati alla rivendicazione “senza parabeni”, attualmente sono molti i claim di questo tipo che vengono utilizzati. Al contempo, dopo un periodo di monitoraggio intercorso tra luglio 2013 e settembre 2016, le Autorità hanno ritenuto che, di fatto, il termine “senza”, utilizzato nei free-from claim, non sempre fornisse ai consumatori un’informazione sufficientemente accurata.
È stato quindi deciso di rivedere e precisare i contenuti delle Linee Guida alla normativa.

Cosa ci può dire della nuova regolamentazione?
Si fa riferimento, per la precisione, all’aggiornamento delle Linee Guida della Commissione Europea sull’applicazione del citato Regolamento (UE) n.655/2013, che stabilisce i criteri comuni per la giustificazione delle dichiarazioni utilizzate in relazione ai prodotti cosmetici. Si tratta di un documento di orientamento per l’interpretazione delle normative in vigore, il cui scopo non è proibire, ma limitare il numero di free-from claim, in modo da assicurare che i consumatori non vengano erroneamente fuorviati e che venga salvaguardato in futuro l’uso di determinati ingredienti da parte del settore. Il principio di base è che se un ingrediente è autorizzato non si può pregiudicarne l’uso.
In poche parole, significa che l’indicazione di assenza di qualcosa (“senza…”) può essere utilizzata solamente qualora fornisca ai consumatori un’informazione effettiva relativa all’efficacia, alla percezione o alle proprietà sensoriali del prodotto e non deve invece essere impiegata per creare allarmismo ingiustificato.
La famosa dichiarazione “senza parabeni”, ad esempio, non dovrebbe più essere utilizzata. I parabeni sono ingredienti autorizzati e il loro utilizzo non pone rischi per la sicurezza dei consumatori. Un esempio in senso contrario, invece, è l’impiego della dicitura “senza alcool”: è possibile continuare a utilizzarla, in quanto l’assenza di alcool in alcuni prodotti, come i collutori, può essere utile per ragioni religiose o di dipendenza da questa sostanza.

Qual è stata la posizione di L’Oréal nel dibattito con le autorità europee?
Nel 2009, quando si iniziò a discutere di questo argomento, avevamo già cercato di anticipare al nostro interno la posizione successivamente espressa dalle autorità europee. Perché? Perché sebbene il fatto di evidenziare l’assenza di un ingrediente nella comunicazione pubblicitaria di un prodotto possa talvolta certamente essere utile e rilevante per i consumatori, questo non deve necessariamente indurre a pensare che tale ingrediente possa avere degli effetti sulla salute umana. A volte l’assenza di un ingrediente può essere giustificabile e comunicabile, ma non è sempre detto che sia così.
I lavori di ricerca e gli studi svolti all’epoca in Azienda, a livello nazionale ed europeo, avevano proprio questo obiettivo: contribuire a chiarire il dibattito iniziale all’interno del settore, permettendo di individuare un terreno comune e successivamente discutere i risultati insieme alla Commissione Europea e agli Stati Membri. Un processo che complessivamente si è protratto per circa sei anni.

In ultima battuta, non si corre il rischio di creare confusione tra i consumatori?
In Europa l’obiettivo è offrire la massima chiarezza ai consumatori. A meno di essere un chimico o un esperto, la lista degli ingredienti (riportata sulle confezioni dei prodotti) può effettivamente creare confusione. I regolamenti e le nuove Linee Guida sollecitano il settore a essere più trasparente, evitando di concentrarsi esclusivamente sulla “non presenza” di determinati ingredienti.
La realtà di cui faccio parte condivide questo approccio; cerchiamo di spiegare, direttamente sulle confezioni di alcuni dei nostri prodotti, la lista degli ingredienti, mentre sui siti internet sono spesso reperibili maggiori informazioni, insieme alle risposte a domande come: “A cosa servono i conservanti? E l’alcool?”, ecc. Il consumatore ha così accesso a ciò che desidera e a ciò che deve sapere, ed è più facilmente in grado di operare scelte informate.
I consumatori sono consapevoli ed esigenti; ambiscono a prodotti che realmente abbiano il minor impatto negativo possibile sulla salute, sull’ambiente e sulla società. Ancora troppo spesso queste ambizioni sono frustrate a fronte di un uso sovente disinvolto di determinate rivendicazioni e claim evocativi e allusivi, ma fuorvianti perché non supportati e giustificati da realtà tecniche e scientifiche.
Come qualcuno ha detto “la fiducia è un bene circolare”; così noi dobbiamo darla ai consumatori se vogliamo riceverla come settore nel suo complesso e come singole imprese. Anche se la nuova regolamentazione potrà comportare inizialmente delle problematiche, siamo fiduciosi che sarà in grado di offrire vantaggiose prospettive per il futuro, sia per le aziende sia per i consumatori, purchè si sia in grado di applicarla in modo responsabile e coerente.