Nel nostro Paese abbiamo una domanda di salute in continuo aumento e il Servizio Sanitario Nazionale deve sostenere una spesa in costante crescita per garantire il benessere di tutti i cittadini. Molti farmaci cosiddetti innovativi sono stati commercializzati e molti altri lo saranno nel prossimo futuro, consentendo di raggiungere risultati clinici un tempo inimmaginabili.
Peraltro il sistema di sostenibilità ed in particolare di governance della spesa si sta rivelando inadeguato, proprio a causa dei farmaci innovativi e specialistici ad alto costo. Queste considerazioni, se da un lato trovano soluzioni parziali in alcune iniziative quali i fondi per i farmaci innovativi e gli innovativi oncologici, che da temporanei diventano strutturali, dall’altro richiedono un ripensamento profondo della governance, attraverso modelli e sistemi adeguati, che presentino elementi di dinamicità e flessibilità. Tutto ciò è ancora più evidente se si pensa all’invecchiamento della popolazione che va di pari passo con il sempre maggiore impatto che le malattie croniche hanno sul Servizio Sanitario. I dati ISTAT riportano al 1 gennaio 2016 una percentuale di ultrasessantacinquenni del 22% e tale percentuale è destinata ad aumentare: più del 30% nel 2050 (UN http://www.un.org/esa/population/publications/Repl MigED/Italy). Il Piano Nazionale della Cronicità, pubblicato dal Ministero della Salute a luglio 2016, evidenzia come la percentuale di persone che dichiara di avere almeno una malattia cronica è pari al 38%, il 48,7% delle persone dai 65 ai 74 anni si dichiara affetto da almeno due malattie croniche e questa percentuale sale al 68,1% in quelle dai 75 anni in su. In termini economici la cronicità incide per il 70% circa della spesa sanitaria (113,1 mld finanziamento SSN), escludendo naturalmente la spesa privata.
Il fenomeno della cronicità ha una significativa portata nel Sistema Sanitario ed è in progressiva crescita: si stima che circa il 70-80% delle risorse sanitarie nei paesi avanzati sia oggi speso per la gestione delle malattie croniche e che nel 2020 le stesse rappresenteranno l’80% di tutte le patologie nel mondo. (Piano Nazionale della Cronicità).
In tale contesto di grande criticità è necessaria una riflessione profonda e allo stesso tempo rapidamente operativa sull’opportunità di promuovere la salute attraverso processi e progetti di prevenzione, quale leva primaria per generare risparmio. Alcune iniziative sono state intraprese, come ad esempio il Piano Nazionale Vaccini con il relativo fondo di finanziamento, che rappresenta un valido strumento di efficienza per il SSN: basti pensare al rapporto fra il costo di una vaccinazione e i risparmi derivanti dalle malattie evitate. Pur se apprezzabili, tali iniziative dovrebbero essere estese ad un concetto di prevenzione più ampio che prenda in considerazione gli stili di vita, le abitudini alimentari, le malattie stagionali, le malattie croniche, l’invecchiamento, ecc. In relazione agli stili di vita e alle abitudini alimentari, basta ricordare la riduzione ormai nota dell’incidenza delle malattie cardiovascolari nei soggetti con un regime alimentare ricco di pesce; lo stesso dicasi per i soggetti che seguono una dieta sana, con un moderato consumo alcolico, che non fumano, che praticano attività fisica e non presentano adiposità addominale, nei quali si evidenzia una diminuzione del rischio di infarto rispetto ai soggetti che non presentano tali caratteristiche (1).
Forse in questo “spazio preventivo” potrebbero essere presi in considerazione anche i nutraceutici e/o gli integratori alimentari, fermo restando la necessità di un’attenta e rigorosa valutazione scientifica ed economica delle loro caratteristiche. I prodotti “salutistici” se da un lato evidenziano un trend in continua crescita (“Positivi i dati degli integratori (+7,1%), con risultati superiori all’andamento generale per vitamine, ginecologici-urologici e apparato circolatorio” (Pharmastar 20 luglio 2016)), dall’altro necessitano di una maggiore evidenza scientifica, che deriva prevalentemente da una rigorosa ricerca scientifico-clinica. Una review scientifica sull’integrazione alimentare è stata pubblicata, a giugno 2016, da Integratori Italia (AIIPA Associazione Italiana Industrie Prodotti Alimentari), dove viene riportato lo stato dell’arte alla luce delle evidenze scientifiche.
Questa review, cui hanno contribuito alcuni fra i maggiori esperti italiani in ambito nutrizione e salute, propone, attraverso l’analisi delle principali pubblicazioni scientifiche, alcune considerazioni e valutazioni sul ruolo degli integratori in aree quali la salute della donna, l’invecchiamento (alterazioni metaboliche e cerebrali), le malattie cardiovascolari, qualità e sicurezza degli integratori stessi. Il tentativo di riassumere le principali conoscenze scientifiche sul ruolo degli integratori dovrebbe però essere considerato come un primo passo verso la strutturazione di un percorso di ricerca scientifica, che possa, attraverso metodologie e sistemi accurati, assicurare nel tempo una validazione degli effetti clinici di queste sostanze su alcune patologie, in particolare quelle croniche e quelle legate all’invecchiamento. Ci sono infatti numerose indicazioni suggestive ed in alcuni casi evidenze relative all’efficacia ad esempio degli acidi grassi polinsaturi Omega-3 nella prevenzione cardiovascolare e tali sostanze sono presenti in commercio sia come integratori sia, soprattutto, come farmaci. Occorre però fare chiarezza su questo punto: è noto che gli acidi grassi polinsaturi possiedono una attività antiaritmica, antitrombotica, riducono i livelli di trigliceridi e proprio per queste caratteristiche sono in grado di ridurre gli eventi cardiaci. Se prendiamo in considerazione gli integratori a base di Omega-3 non sono disponibili studi che dimostrino l’efficacia di un’azione preventiva del rischio cardiovascolare; tali integratori contengono una quantità inferiore di Omega-3 rispetto ai farmaci (il cui contenuto in Omega-3 è superiore all’85%) ed eventualmente il loro utilizzo può essere indicato in quei soggetti, che per vari motivi, non hanno un apporto adeguato di tali sostanze, come ad esempio gli anziani. Ma anche in questo caso sarebbe opportuno adottare una dieta che consenta di ottimizzare i benefici derivanti dal consumo di pesce (ricco di acidi grassi polinsaturi), verdura, legumi, cereali integrali, frutta (secca), evitando il più possibile grassi e proteine di origine animale.
Differenti sono le considerazioni e le valutazioni per i farmaci a base di Omega-3: la loro indicazione terapeutica è frutto dei cosiddetti studi clinici controllati (Randomized Clinical Trial – RCT), la concentrazione di sostanza attiva è decisamente superiore rispetto a quella degli integratori e la loro autorizzazione all’immissione in commercio segue procedure rigorose; proprio per tale motivo per questa tipologia di farmaci ritroviamo fra le indicazioni anche la prevenzione secondaria nel paziente con pregresso infarto miocardico.
Detto ciò, possiamo pensare ad uno “spazio” per integratori e nutraceutici per generare risparmio, in particolare in campo “farmacoeconomico”?
Una prima considerazione ci deriva da un articolo di Alessandro Colombo (Presidente di Integratori Italia – AIIPA), pubblicato su Sanità 24, il 29 luglio 2016 dove viene riportato lo studio “Il risparmio sulla spesa sanitaria degli integratori alimentari di Omega 3 nell’Unione Europea” realizzato dall’istituto di ricerca e consulenza Frost & Sullivan e commissionato da Food Supplements Europe (Associazione europea alla quale aderisce Integratori Italia).
In questo studio sono stati valutati i potenziali benefici economici derivanti dall’uso di integratori alimentari di Omega-3 EPA+DHA, nei soggetti di età >55 anni, cioè con rischio elevato di sviluppare patologie cardiovascolari (157,6 milioni di persone nella popolazione europea – 31% del totale).
Sono stati identificati 18 studi randomizzati controllati dove veniva valutata la possibile correlazione fra l’assunzione di Omega-3 e la riduzione di un evento cardiovascolare.
I risultati della simulazione indicano che il consumo giornaliero di un integratore a base di 1,0 g di olio di pesce con Omega 3 negli over 55, si tradurrebbe in oltre 1,5 milioni di ricoveri per eventi cardiovascolari in meno in tutta l’Ue da adesso fino al 2020, generando un risparmio totale di 64,5 miliardi di euro per minori ospedalizzazioni pari a 12,9 miliardi l’anno per minori ospedalizzazioni (con un risparmio netto di circa 7,3 miliardi di euro/anno)………In Italia si tradurrebbe in un risparmio per minori ospedalizzazioni di oltre 1,3 miliardi di euro l’anno (oltre 720 milioni di risparmio netti/anno).
Anche in questo caso è opportuna una riflessione e il riferimento alla letteratura ci aiuta.
Il primo concetto è che i risultati sopra citati sono, necessariamente, legati ad una simulazione; inoltre, come riportato precedentemente, sebbene siano presenti in commercio numerose preparazioni di integratori alimentari contenenti Omega-3, non sono disponibili studi che ne dimostrino l’efficacia nella prevenzione cardiovascolare.
Di contro numerosi studi hanno dimostrato come le diete ricche di Omega-3, agenti antiossidanti e fibre, siano in grado di esercitare un effetto protettivo sugli eventi cardiovascolari come pure, a titolo di esempio, il consumo di noci è strettamente correlato non solo alla riduzione del rischio cardiovascolare, ma anche alla riduzione della possibilità di sviluppare diabete di tipo 2 (2).
Alla luce di questo quadro risulta opportuno, anzi necessario, avviare e realizzare eventuali valutazioni economiche (sul potenziale risparmio della spesa), partendo da basi scientifiche, che tengano conto del reale effetto della sostanza, nel caso specifico, sia in prevenzione primaria, sia in prevenzione secondaria. A puro titolo di esempio, basti ricordare come l’utilizzo di dosi terapeutiche di Omega-3 nei pazienti con scompenso cardiaco, sia in grado di ridurre sia la mortalità in generale, sia i ricoveri ospedalieri (3).
In Italia e negli altri Paesi occidentali lo scompenso cardiaco cronico costituisce il motivo più frequente di ricovero nei soggetti con più di 65 anni. In generale, è la causa del maggior numero di giornate di degenza in ospedale, rappresentando un costo estremamente elevato per il Servizio Sanitario Nazionale.
Applicare una terapia con Omega-3 a tutti i pazienti con scompenso cardiaco, potrebbe comportare un risparmio per il Servizio Sanitario di oltre settantacinque milioni di euro. Ovviamente queste sono inferenze, sono conti indiretti, però un’applicazione ampia di un trattamento che riduce le ospedalizzazioni, comporta un miglioramento della qualità di vita ….e come conseguenza importante per il Sistema Sanitario Nazionale, comporta una riduzione dei costi (4).
Ulteriori conferme ci vengono da un recente studio (5) che ha evidenziato come alte dosi di farmaci Omega-3, somministrate nel post infarto, sono associate ad un positivo rimodellamento del muscolo cardiaco. Non è certamente facile realizzare le valutazioni economiche in questo ambito, ma è chiaro che emerge sempre di più la necessità di affrontare il problema cercando di realizzarle, in modo da poter fornire agli stakeholder, alla comunità scientifica, agli operatori tutti del settore e alla popolazione dati certi sui costi e, conseguentemente, sui potenziali risparmi della spesa. Investire in salute è un ottimo investimento da un punto di vista economico, ma finanziariamente non lo è soprattutto quando le risorse non ci sono. L’obiettivo non deve, pertanto, essere la limitazione della spesa in assoluto, bensì il tentativo di ottimizzare l’impiego delle risorse destinate alla sanità in generale.
In tale contesto il sistema di governance della spesa sanitaria ha bisogno di processi e modelli adeguati che consentano da un lato di garantire il diritto alla migliore terapia per il paziente e, dall’altro, oltre al riconoscimento degli investimenti alla base dell’innovazione, anche e soprattutto, la possibilità di promuovere la salute attraverso processi e progetti di prevenzione, quale leva primaria per generare risparmio.
Gli “spazi” della prevenzione e dell’invecchiamento e delle malattie croniche potrebbero essere adatti alle caratteristiche di alcuni prodotti nutraceutici e/o integratori?
La strada per confermarlo è ancora molto lunga e deve necessariamente passare attraverso una solida metodologia di ricerca, come pure una attenta e rigorosa valutazione scientifica delle loro caratteristiche. Solo allora sarà possibile applicare i modelli “farmacoeconomici” per stabilire la reale portata del potenziale risparmio derivante da un corretto utilizzo.
Bibliografia
1. Åkesson A, Larsson SC, Discacciati A, Wolk A (2014) Low-risk diet and lifestyle habits in the primary prevention of myocardial infarction in men: a population-based prospective cohort study. J Am Coll Cardiol 64 (13):1299-1306
2. Bao Y, Han J, Hu FB, Giovannucci EL, Stampfer MJ et al (2013) Association of Nut Consumption with Total and Cause-Specific Mortality. N Engl J Med 369(21):2001-2011
3. Tavazzi L, Maggioni AP, Marchioli R, Barlera S, Franzosi MG et al (2008) Effect of n-3 polyunsaturated fatty acids in patients with chronic heart failure (the GISSI-HF trial): a randomised, double-blind, placebo-controlled trial. Lancet 372(9645):1223-1230
4. Maggioni AP, Il Portale della Salute, Post-Infarto.it
5. Heydari B, Abdullah S, Pottala JV, Shah R, Abbasi S et al (2016) Effect of Omega-3 Acid Ethyl Esters on Left Ventricular Remodeling After Acute Myocardial Infarction: The Omega-Remodel Randomized Clinical Trial. Circulation 134(5):378-391