EDITORIALE • CT 3, 2021


EDITORIALE • CT 3, 2021

Un pomeriggio di inizio primavera in città

Anna Caldiroli

“Here I am, on the road again
There I am, up on the stage
There I go playin’ the star again
There I go, turn the page”.
Turn the page, Metallica

Anche oggi vi porto in bicicletta. Questa volta niente bike sharing. Saltiamo in sella a una bicicletta da sciura (da signora) nera, con il cestino. Perché è importante curare i particolari e osservarne il risultato. E il cestino è un particolare che fa la differenza: il peso dello zaino si sposta dalle spalle alla bicicletta. È come passare la propria fatica a qualcun altro. Il cestino (o le borse laterali, per i più moderni) è un ottimo collaboratore dal quale non ti puoi separare.
La prospettiva cambia: si passa dal presente del pedalare affaticati a essere protesi al futuro; dei veri esploratori urbani, pronti a osservare. Oggi non faremo un viaggio nella storia: incontriamo la modernità e la semplicità di Milano vista un sabato qualunque di primavera. Una città che in questo momento si è spogliata. Non è meta turistica, non è sede di quei grandi eventi che riempiono gli hotel fino a chilometri di distanza. È una città che aspetta.
Parto da casa. Il sole è timido, la giornata è ventosa… farò fatica ma non sarà certo il vento a fermarmi: circondata dalle persone giuste si va. In poco più di una decina di minuti sono ai piedi del Bosco Verticale. Attraversando Isola su una pista ciclabile, incrocio diverse persone: qualcuno sfreccia veloce, qualcuno passeggia lento. Nella lista delle positività di questo “tempo di attesa” aggiungo: “(Forse) è aumentato il numero delle persone in bicicletta…e con i monopattini, va bene!”.
Nei pressi di quella che l’altr’anno è stata allestita a spiaggia (perché a Milano il mare, per ora, non c’è ma per il resto ci si attrezza) non mancano i gruppetti di ragazz*. Una mamma con una bambina nel passeggino. I bambini sui giochi. Coppie di signori anziani passeggiano lenti, a braccetto, con un ritmo di chi osserva i cambiamenti. Tutti fuori: è come se le persone avessero fame d’aria.
Naso in su a guardare i palazzi e la vegetazione in verticale. Non ho ancora capito se sia un concetto di vegetazione che mi appaga oppure no. Forse io arrivo a concepirla orizzontale. In effetti, la Biblioteca degli alberi mi è più familiare. Radici ben salde sprofondate nella terra, il prato curato soffice su cui qualcuno si è messo scalzo, erba tagliata da poco. Alle spalle di una storica trattoria del quartiere, una casa di ringhiera detta “Vecchia Milano”. Porticine e finestre corrono lungo ballatoi carichi di gerani dai colori ipnotici.
Dopo una sosta si riparte. Un passaggio dietro al Palazzo della Regione con le sue fontane a raso. Qui a terra, tra i palazzi alti, il vento non si avverte se non per la temperatura e una meravigliosa pioggia di petali di fiori rosa che vengono trasportati via leggeri dai rami gonfi. In un attimo siamo in piazza Carbonari, poi gira di qua e di là, passiamo tra le casette igloo di via Lepanto. Poco più avanti un altissimo glicine discreto e possente, aggrovigliato ai balconi di alcune villette nei dintorni del Villaggio dei Giornalisti; i cedri del Libano svettano maestosi da alcuni giardini condominiali; le siepi di alloro a proteggere l’intimità domestica.
Le architetture che incontro non so collocarle precisamente nel tempo e allora facciamo un gioco: “Somiglia a …?”. Qualcuna è appuntita come una casa del Nord, una sembra uno chalet di montagna, un’altra una villa Liberty dai colori delicati e dalle decorazioni ripassate di recente. Sbirciamo i giardini (nessuno con 7 nani e Biancaneve, noto).
“Ma adesso dove siamo?”. Passiamo la Collina dei Ciliegi, poi la Manifattura Tabacchi ora Museo Interattivo del Cinema (“Oh! Quando riaprono veniamo!”, “Sì, veramente”, “Non ci sono mai stata”. Sono queste le promesse che ci si scambia: faremo cose che non c’è stato il tempo di fare perché è con il senno del poi che rivalutiamo quanto c’è stato prima).