L’adesione in una misura sempre più generale ed estesa ai principi della produzione biologica rappresenterebbe per il comparto delle officinali un duplice vantaggio: l’opportunità di dimostrare la dimensione etica alla base delle proprie scelte imprenditoriali e professionali, e venire incontro a una richiesta sempre crescente del consumatore. Ma quali sono le specificità della certificazione biologica della filiera erboristica? Ne parliamo in questa intervista con Fabrizio Piva, amministratore delegato di CCPB.
L’attrazione per il biologico continua la sua sorprendente progressione: tra pochi giorni Biofach ospiterà oltre 50.000 operatori professionali da tutto il mondo, artefici di un mercato in costante crescita ormai da diversi anni. Come abbiamo già notato altre volte, le piante officinali potrebbero essere parte integrante di questo processo: ma le erbe non sono esattamente alimenti, e il loro inquadramento tra i prodotti certificati richiede qualche particolare attenzione.
Ne abbiamo parlato con Fabrizio Piva, amministratore delegato di CCPB Controllo e Certificazione srl, uno degli organismi di certificazione più attivi in Italia: “CCPB opera come organismo di ispezione e certificazione dei prodotti agroalimentari e “no food”, tra cui la cosmesi e il tessile, ottenuti nel settore della produzione biologica e in quella ecocompatibile ed ecosostenibile” precisa Piva.
CCPB certifica circa 11.000 aziende in Italia e in tutto il mondo secondo circa 50 differenti forme di certificazione e in base a 35 autorizzazioni internazionali, operando con 190 collaboratori: del totale, circa 9000 sono le aziende certificate nel settore delle produzioni biologiche. Tra queste figurano affermati gruppi industriali, grande distribuzione, piccole e medie imprese, aziende emergenti. Numeri che indicano come sia elevata l’attenzione del mondo delle imprese per i processi di certificazione. “Come mostrano numerose ricerche di mercato – ci spiega Fabrizio Piva – la certificazione migliora la qualità del prodotto e il suo impatto ambientale, rafforza la sicurezza alimentare, rende più efficiente e virtuoso il processo produttivo e costituisce un insostituibile servizio di garanzia e fiducia verso i consumatori”.
In modo essenziale, come potremmo definire l’agricoltura biologica, e cosa si intende per certificazione biologica?
“L’agricoltura biologica è un metodo di produzione agricola sostenibile che esalta la naturale fertilità dell’ecosistema suolo, la salubrità dei prodotti e rafforza la sostenibilità senza usare prodotti di sintesi (ad esempio fitofarmaci e concimi chimici). Chi vuole ottenere una certificazione biologica lo può fare secondo il Reg.CE 834/2007, che definisce il sistema di certificazione nell’Unione Europea, e in accordo con gli altri schemi internazionali (Stati Uniti, Giappone, Canada, Brasile, Corea del Sud, Svizzera e altri). I passaggi per ottenerla prevedono da parte dell’azienda la compilazione della notifica di attività con metodo biologico o della domanda di certificazione, da parte dell’organismo di certificazione la valutazione dei documenti, la verifica dei siti produttivi, il rilascio del certificato di conformità e l’iscrizione nel registro dei prodotti certificati, la valutazione di etichette/confezioni per prodotti biologici. Il regolamento di certificazione vale per aziende di produzione, preparazione, commercializzazione, distribuzione e importazione”.
La specificità delle piante officinali
Visto in sintesi il quadro di riferimento, vediamo meglio le modalità con le quali si certifica l’origine biologica di una specie officinale? Le officinali hanno una propria specificità rispetto alla certificazione biologica, o possono essere tutte omologate a prodotto agro-alimentare, anche quando non hanno una destinazione d’uso alimentare (come, per fare qualche esempio, potrebbe essere il caso di Echinacea, Arnica, Iperico, e tante le altre)?
“Le erbe officinali sono piante e come tali, se l’obiettivo consiste nell’ottenerle e certificarle come biologiche, è obbligatorio certificarle conformemente al Reg.CE 834/2007, ovvero alla disciplina comunitaria che definisce criteri e requisiti da rispettare affinchè i prodotti possano essere definiti biologici” precisa Fabrizio Piva. “Per poter essere definite biologiche è necessario che tali piante siano considerate come tali e pertanto rientrano nello scopo e campo d’applicazione del regolamento di cui sopra. Successivamente possono anche essere destinate ad usi non alimentari e, a partire da queste fasi, non possono più essere certificate come prodotti agroalimentari ma adottando, ad esempio, gli standard della cosmesi biologica. Il certificato rilasciato ai produttori di tali piante attesta che sono state prodotte secondo il metodo biologico e tale asserzione può accompagnare le piante fino alla prima trasformazione e successivamente è possibile tracciarne la presenza fino al prodotto finito”.
Una quota importante delle materie prime erboristiche proviene da piante spontanee: la raccolta ha tuttora una notevole incidenza sui volumi del mercato erboristico. Possiamo chiarire quando e come il prodotto di origine selvatica può essere certificato come biologico?
“La raccolta spontanea rientra nel Reg.CE 834/2007 a condizione che le aree di raccolta non siano state trattate da almeno tre anni prima della raccolta con prodotti non ammessi in detto regolamento, la raccolta non comprometta l’equilibrio dell’habitat naturale e la conservazione della specie nella zona di raccolta, e il prodotto e chi raccoglie sia sottoposto a controllo e certificazione da parte di uno degli organismi di certificazione accreditati ed autorizzati”.
La sensibilità tra le imprese del settore
Gran parte del successo che oggi incontra il prodotto biologico nasce dalla sensibilità del consumatore finale, che mostra sempre più chiaramente la sua preferenza a favore dell’origine naturale del prodotto che il concetto di biologico rappresenta quando ha la possibilità di scegliere al momento dell’acquisto. Ma produrre o selezionare le proprie materie prime e i prodotti offerti in base ad una origine naturale certa comporterebbe una scelta etica irrinunciabile per una impresa della filiera erboristica. Nella vostra ampia esperienza, che attenzione riscontrate rispetto alla necessità di offrire una garanzia dell’origine naturale e biologica nel nostro settore? è diversa tra i produttori, le imprese commerciali e gli operatori professionali?
“Sensibilità ed attenzione al biologico sono cresciute proporzionalmente all’attenzione del consumatore verso questo segmento di prodotti. Un po’ meno il concetto di naturalità, un po’ più difficile da dimostrare. La sensibilità si è dimostrata maggiore negli operatori professionali e nelle imprese commerciali quando queste si sono trovate di fronte ad una precisa domanda di mercato”, osserva Piva.
E il consumatore finale, invece, per la vostra esperienza, è più attento all’origine biologica quando deve scegliere un prodotto erboristico e salutistico, o quando si tratta di un cosmetico?
“Sulla base della nostra esperienza professionale sembra esserci maggiore attenzione verso il prodotto cosmetico rispetto a quello erboristico. Forse il consumatore vede nel prodotto erboristico maggiormente presente il concetto di naturale mentre nella cosmesi intravvede ancora molta chimica di sintesi e si sente spinto a chiedere una maggiore garanzia di naturalità tramite il concetto di biologico”.
La certificazione nella filiera delle officinali
Tra i produttori di officinali, quali sono le tipologie di aziende che si rivolgono a voi per la certificazione? Sono prevalentemente aziende specializzate, che effettuano solo la produzione di aromatiche e officinali, o sono agricoltori che dedicano solo una parte della loro attività a queste coltivazioni?
“Prevalentemente si tratta di aziende specializzate che hanno già avuto modo di sviluppare una solida esperienza nella coltivazione di aromatiche ed officinali ed oggi si sentono pronte a migliorare il metodo di coltivazione virando sul biologico”.
Le trasformazioni in atto nel mondo dell’agricoltura (la multifunzione, l’accesso diretto ai mercati locali, la filiera corta, la rete e il commercio online) stanno aprendo le porte a nuove esperienze produttive nel campo delle officinali, spesso condotte da giovani e da piccoli produttori. Per queste realtà l’accesso alla certificazione può essere piuttosto oneroso: quali passi possiamo consigliare per mantenere questi progetti nel movimento del biologico ed è possibile ricorrere a delle formule consociative?
“Credo sia da sfatare che il costo diretto della certificazione sia elevato; in Italia l’azienda media non spende in certificazione più di 350 euro/anno”, afferma Piva. “In questa cifra ovviamente non si tiene conto del maggiore costo di produzione, in quanto questo rientra nel costo di produzione aziendale legato alla coltivazione delle specie di interesse aziendale, così come non si tiene conto degli eventuali costi dovuti all’adeguamento aziendale, qualora necessario. Indipendentemente da ciò è sicuramente possibile creare cooperative, associazioni e collaborazioni che portino alla realizzazione di economie di scala, sia per quanto attiene la vendita dei prodotti, l’acquisto dei mezzi tecnici, la condivisione di spazi per la vendita o di strutture per la trasformazione, oppure strategie di marketing e di promozione condivise”.
Il laboratorio artigianale, che effettua la miscelazione o la trasformazione del prodotto erboristico e che sceglie di lavorare solo materia prima di origine biologica, deve provvedere ad una propria diretta certificazione? Avete seguito dei casi di questo genere?
“Come si accennava poc’anzi, se il laboratorio intende ottenere prodotti biologici destinati ad essere ingeriti ed assimilabili a prodotti agroalimentari vi è l’obbligo di essere certificati ai sensi del Reg.CE 834/2007 ed abbiamo esperienze in tal senso. Nel caso in cui, invece, il laboratorio produca prodotti non alimentari ed intenda certificare prodotti con l’asserzione di biologico o naturale, è possibile ricorrere a standard cosmetici o a standard privati aziendali di cui abbiamo comunque esperienza”.
Infine un pensiero ai molti laureati in tecniche erboristiche, che sono alla ricerca di nuove opportunità lavorative e di nuovi ruoli nel settore: pensate che sia una figura che potrebbe trovare una propria collocazione nella organizzazione del comparto del biologico?
“Allo stato attuale non disponiamo di collaboratori specificatamente laureati in tecniche erboristiche; a questo proposito occorre anche ricordare che l’esperienza del biologico nell’erboristeria e nella cosmesi è piuttosto recente rispetto all’agroalimentare, ove nasce e si sviluppa il concetto di biologico. Ritengo che se il settore dovesse raggiungere dimensioni più consistenti rispetto all’attuale, si renderà necessario allargare lo spettro delle competenze e valutare il coinvolgimento di specialisti nelle tecniche erboristiche”, conclude Fabrizio Piva.